Morrissey: panic in the streets of Lucca
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Steven Patrick Morrissey è uno degli artisti musicali pop più amati e discussi (va di moda la parola “controversi”) degli ultimi 40 anni. Abbiamo chiesto a un grande fan italiano (precisamente ferrarese) di evitare la classica recensione istituzionale – di quelle ne trovate a profusione sul web – in cambio di un resoconto/minidiario personale di una delle date del suo tour 2025.
Morrissey: panic in the streets of Lucca
Quando a febbraio è uscita la notizia della tournèe estiva di Morrissey in Italia, subito dopo aver comprato immediatamente il biglietto per il concerto del 26 luglio in quel di Lucca (attività evidentemente non procrastinabile), mi sono chiesto (“well, i wonder” tanto per entrare in un mood smithsiano) se il genio mancuniano sarebbe venuto davvero nel Belpaese (dopo gli strali contro la polizia romana del 2017) oppure se ci avrebbe “paccato”, vista l’attitudine del Moz a cancellare concerti per i motivi più assortiti. Vieppiù, a ridosso dell’arrivo in Italia, alcuni concerti nell’est Europa erano stati appunto cancellati.
E invece LUI è venuto davvero e quando alle 21,30 di sabato 26 luglio è apparso sul palco del Lucca Summer Festival in Piazza Napoleone, reduce dalla molto ben recensita prima data italiana a Gardone Riviera al Vittoriale (luogo da istrionici poeti evidentemente, D’Annunzio docet), mi sono semplicemente abbandonato all’emozione di rivedere e riascoltare l’artista che ha accompagnato la mia esistenza, il “ragazzo con la spina nel fianco” che sin dalla giovinezza ha saputo tradurre in parole e musica (con l’aiuto dell’allora sodale Johnny “Fucking” Marr) tutte le mie ansie, aspettative, disillusioni, sentimenti vari frullati in un magico mix musicale poetico, unico nel suo genere, inarrivabile ma poi fatalmente assai imitato (il Bripop come minimo deve parecchio agli Smiths ed a Morrissey).
Sinceramente tutte le polemiche che in questi anni hanno accompagnato il personaggio Morrissey, le sue (presunte) dichiarazioni, le sue (presunte) simpatie politiche, le sue scelte personali non mi hanno mai toccato e per di più ho comunque sempre rispettato tutto ciò che va contro il pensiero dominante e l’ansia da revisionismo woke e del politicamente corretto. Come in uno sportivo mi limito ad ammirarne le gesta sul campo, così in un cantante (anche se limitarsi a questa categoria è limitante per Moz) voglio solo godere della sua musica, delle sue canzoni, del suo essere artista. Del resto, Moz mi perdonerà, non sono vegano…
Il sabato lucchese è stata una meravigliosa attesa dell’evento, di quel ritrovare un amico che ha significato tanto per te: moltissime t-shirts degli Smiths e altrettante di Morrissey, sguardi che si incrociavano come tra sodali della stessa gang, addirittura un ragazzo con l’accento dell’Italia centrale che dentro al Duomo di San Martino mi ha fatto i complimenti per la mia maglietta smithsiana (gli ho confessato di averla penosamente acquistata su Temu a 5 euro…) dandomi appuntamento al concerto serale ed ancora le note inconfondibili del soundcheck mattutino e pomeridiano che hanno accompagnato la passeggiata per le magnifiche strade di Lucca (“panic in the streets of…“) con noi smithsiani/morrisseyiani a intonare le parole della canzone anche con poche note accennate.
Come Fantozzi in partenza per Montecarlo con il Duca Conte Semenzara, anche il sottoscritto si è portato in Piazza Napoleone con un anticipo pazzesco, umanamente supportato (o sopportato?) dalla mia povera moglie che anche stavolta, come a Bologna nel 2014, ha voluto condividere questa mia gioia; ma l’arrivare presto mi ha permesso di godermi tutta la fauna smithsiana, di confrontare le t-shirt (io per la sera mi ero agghindato con le maglietta dell'”Oye Esteban Tour” del 1999, quando vidi il Moz per la prima volta al Vox di Nonantola), di percepire la fremente attesa di tanti appassionati, i sorrisi, i volti, le capigliature di un popolo variegato, di ogni estrazione sociale e tutto sommato di ogni età (anche se ovviamente era predominante la mia fascia, diciamo over 50).
Dopo un estenuante sessione video di canzoni che hanno avuto impatto nelle scelte artistiche di Morrissey (con rocamboleschi salti dai Ramones a Dionne Warwick, dai suoi amati New York Dolls a Rita Pavone e Massimo Ranieri !), finalmente è uscita la band (con la lucchese d’adozione Carmen Vandenberg ottima chitarrista, davvero emozionata di esibirsi nella città dove ha studiato) e LUI al seguito, con il suo bel mazzo di fiori in mano e camicia floreale a tono (poi ho appreso dai siti di noi fedeli che trattasi di un modello di Tom Ford): l’emozione di vederlo, per di più bello pimpante e chiacchierino (subito ha salutato la piazza in italiano con “Fantastica !“) è stata bellissima e liberatoria.
Sulle prime note di “Suedehead” (primo suo singolo del 1988 dopo lo scioglimento degli Smiths), come la stragrande maggioranza dei presenti, sono balzato in piedi e chissenefrega del posto a sedere pagato € 90 (unico appunto per l’organizzazione: un concerto del genere deve prevedere i posti in piedi davanti al palco) e mi sono messo a cantare a squarciagola, in un tripudio di mani festanti e cellulari onnipresenti a catturare ogni singolo ghigno, ogni singola mossa (il nostro è maestro nel giocare col filo del microfono), ogni singola nota di una voce che l’età non ha minimamente scalfito (siamo a quota 66 candeline dal 22 maggio 1959), con il suo inimitabile timbro nasale, coi falsetti, con i ruggiti, con la magia e la poesia insita nel personaggio.
Ogni canzone una emozione, un richiamo artistico, backdrops a tema (in partenza anche Pasolini, poi Bruce Lee, David Bowie con David Johansen, Peter Falk e l’amata madre sulle struggenti note di “I know it’s over“, una esecuzione da pelle d’oca), voglia di parlare al pubblico tra un brano e l’altro, in una totale rappresentazione teatrale del mondo morrisseyiano, fatta di contrasti, malinconia, prese di posizione forti ma sempre coerente e mai venduta al mainstream.
Poche canzoni epoca Smiths, anche se quando partono la gente freme e canta a memoria “Shoplifters of the world unite” e, “How soon in now” (sempre potentissima), soliti vezzi di inserire in scaletta b-sides solo per cultori (che a me vanno benissimo come “The Loop” ) e brani dell’ormai più che trentennale carriera solista, fatta di tanti alti e qualche basso, alcune amatissime come “Everyday is like Sunday” e “Speedway” (con la dichiarazione di fedeltà alla sua gente “In my own strange way, I’ve always been true to you“) o i due bis “Let me kiss you” e “First of the gang to die” (a chiudere il concerto con il canonico lancio di maglietta su cui si accapigliano sotto il palco), inedite dell’album prossimo venturo (sempre ammesso che una etichetta discografica si degni di pubblicarlo) quale “Sure enough, the telephone rings”.
Una band ormai affiatata, con due chitarre e tastiere, sound bello potente ma preciso nell’esecuzione, un portamento scenico da consumato artista teatrale, una scaletta variegata ma che poco concede alla massa (molti si attendevano capolavori quali “There is a light that never goes out” il cui iconico testo campeggiava sulla vetrina di un vicino negozio di dischi, divenuto il più fotografato di Lucca e ripreso da Morrissey stesso sui suoi social), una serata magica, linda, adrenalitica, nostalgica, struggente, INDIMENTICABILE.
Dopo un concerto così, riprendendo “Nowhere fast” degli Smiths (“And if the day came – When I felt a natural emotion – I’d get such a shock I’d probably lie – In the middle of the street and die – I’d lie down and die“), ecco, potrei serenamente distendermi nella placida notte di Lucca e abbandonare questa vita, perchè l’emozione naturale l’ho provata.
The Iceman
Cover photo taken from https://www.deviantart.com/elishba/art/Morrissey-Collage-76378854
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