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Un esame di maturità o una gara di sopravvivenza?

Gli esami oggi: un esame di maturità o una gara di sopravvivenza?

Un appello per una scuola diversa

Mi ha appassionato la vicenda degli studenti e delle studentesse che hanno protestato all’esame di Maturità rifiutando di sostenere il colloquio. Lo hanno fatto per critica un sistema scolastico che ritengono eccessivamente incentrato sui voti, a discapito del loro percorso di crescita quinquennale e dell’impegno costante, che spesso non hanno visto riconosciuto equamente. Sentono che un singolo numero o “pezzo di carta” non possa definire il loro valore. Lamentano inoltre una mancanza di comprensione ed empatia da parte dei docenti, percepiti come interessati solo ai voti e poco disponibili ad affrontare le loro difficoltà umane o a creare uno spazio di dialogo e supporto. La scuola è vista come un ambiente eccessivamente competitivo, che li mette sotto pressione e li spinge a vedere i compagni come rivali. Per questo, chiedono un ripensamento profondo del sistema scolastico e dell’esame di Stato, ispirandosi a modelli stranieri (come quelli del Nord Europa) che riducono la competitività e valorizzano autonomia e spirito critico. La loro protesta è l’espressione di un profondo disagio e richiede una scuola più equa, empatica e focalizzata sulla crescita integrale delle persone.

La reazione del ministro: bocciare

Il ministro Giuseppe Valditara nell’occasione ha fatto i soliti annunci minacciosi di circostanza, che a ben vedere sono inapplicabili se non si cambia la legge. Gli studenti e la studentessa hanno rispettato le regole, tant’è che il ministro non ha potuto rivedere la promozione come sarebbe stato lecito se le formalità non fossero state rispettate. D’altronde il funzionamento dell’Esame di Stato, ora non più di Maturità, è veramente macchinoso e poco rispettoso di una valutazione seria e aderente della preparazione degli studenti e studentesse. Si basa su un accumulo di punti, fino a un massimo di 100, che tende ad essere automatico, con un sistema molto simile a quello di una gara sportiva, dove un errore può costare un risultato.

Scuola e vita un allenamento per la vittoria?

Nei forum su Facebook la maggior parte dei commenti, spesso di insegnanti, ma anche di genitori, ha liquidato la scelta come un gesto da fannulloni scansafatiche. Invece molti esperti e influencer, tra cui Enrico Galiano, hanno sollecitato a considerare seriamente l’appello che questi giovani stanno mandando alla scuola

Lo psichiatra star dei media Paolo Crepet, a questo proposito, censurando il gesto, ha portato l’esempio del tennista Jannik Sinner che “accetta le sconfitte, quindi la valutazione negativa, e va avanti per cercare di migliorare” e che applica il suo impegno costante non per vincere a tutti i costi, ma per “affrontare le sfide senza paura”. L’accusa è di non affrontare la paura e di non accettare le sconfitte. Anche in questo caso mi stupisco della incongruenza nelle dichiarazioni di questo adulto considerato esperto: un esame scolastico non può essere una gara dove vinci o perdi, come in una partita di tennis. E la vita non è una partita di tennis ovviamente. In una partita puoi essere preparatissimo ma puoi perdere. Non può e non deve succedere questo nell’esame finale del percorso scolastico e non può succedere a scuola né nella vita.

La scuola non è una gara, è un percorso di crescita dove si apprende a conoscere se stessi con l’aiuto degli altri, compagni, professori e adulti tutti. Non c’è una meta dove arrivare, non c’è un avversario di cui essere migliore; non si fa tutti lo stesso percorso, ma ognuno, ognuna ha il suo che deve essere una trovato, non esiste a priori. Una scuola che chieda di ripetere quello che gli insegnanti sanno già è una scuola perdente che non prepara allo spirito critico rivendicato da chi condanna gli studenti protestatari e non prepara a un futuro che rinnovi il mondo come abbiamo bisogno.

Una scuola al servizio della comunità ha bisogno dei voti?

Anche i critici, perfino Crepet, riconoscono che nel mondo della scuola non c’è ascolto per gli studenti e le studentesse, a nessuno interessa come stanno. Chiedimi come sto è stata una delle prime grandi indagini in Italia sul disagio psicologico dei giovani al tempo della pandemia: ce ne siamo presto dimenticati. Chi ha protestato si è lamentato che a scuola  si chieda il massimo impegno prestazionale senza interesse per chi si sia e per cosa si stia vivendo. Un ambiente che assomiglia  ad un’azienda che persegua il massimo della produttività e del profitto senza considerare minimamente gli esseri umani che vi operano.

Mi chiedo se sia questo l’interesse della collettività. Si argomenta che tutti noi desideriamo che il medico che ci cura sappia fare il suo lavoro e sia il migliore, ma non si considera se assegnare voti numerici sia il modo migliore per formare bravi professionisti e per far rendere al massimo uno studente o una studentessa.

Esperti come Daniele Novara e Matteo Lancini lo vedono come un sistema obsoleto che ostacola la crescita completa e il benessere degli studenti e propongono invece valutazioni più formative e descrittive.

Provo a sintetizzare, perché molto ci sarebbe da dire.

Il voto semplifica e sminuzza, non cattura la complessità del percorso di apprendimento. Ha un’apparenza di oggettività, ma i criteri di misurazione sono stabiliti dal docente sulla base di quello che ritiene, non si adatta a quello che uno studente o una studentessa può presentare in seguito a un percorso di ricerca personale. Genera ansia, stress e demotivazione, essendo, come si diceva prima, un giudizio insindacabile, immodificabile una volta ricevuto e inserito in una media che calerà ogni volta che si sbaglierà. Si può essere portati a identificarsi con il numero e a confrontarsi non per apprendere l’una dall’altro e migliorare, ma per misurare il proprio valore: questo ovviamente è un’illusione distruttiva, sia per chi ha brutti voti che per chi li ha ottimi. Una volta ricevuto un bel voto, poi, la soddisfazione è raggiunta e non c’è motivo di procedere a nuove esplorazioni, anche perché un numero non offre le indicazioni concrete per migliorare che invece verrebbero date con una valutazione descrittiva dei punti di forza e di quelli carenti.

A chi mancano spirito critico e coraggio?

Le giovani generazioni non hanno più una spinta alla ribellione come è stato in passato: questa protesta l’ho vista come un atto nonviolento di cui si paga il prezzo personalmente. Ritengo ingiusta l’accusa di una scelta di comodo. Accusare di vigliaccheria chi ha fatto un percorso di cinque anni con ottimi risultati enfatizzando il valore di una prova di venti minuti che molto spesso si riduce ad un ridicolo quiz (ho fatto la commissaria interna od esterna per molti anni) mi sembra veramente riduttivo e mi colpisce la mancanza di curiosità e di ascolto, perfino nel momento dell’esame, dove si fa credere che lo studente possa e debba esprimersi pienamente  nella sua individualità.

Mi colpisce che in qualche caso si sia ammesso che il sistema non è adeguato, ma non si è riconosciuto che quindi la protesta è una forma di lotta per cambiare, mentre si è sollecitato ad accettare lo status quo. Io invece vedo il coraggio di esporsi di fronte a un tavolo di adulti che sta per giudicare il tuo valore in una fase unica della tua vita e vedo invece la rassegnazione e la rinuncia da parte di adulti che dovrebbero educare allo spirito critico e coraggio che pretendono. Non escludo che nel contesto dell’esame, dove è richiesto il massimo del rispetto delle formalità, i commissari e le commissarie si siano preoccupati di mantenere la regolarità delle procedure non rendendosi conto di quanto di prezioso stessero perdendo e di quale immagine mediocre stessero offrendo.

 

In copertina: Felice Casorati, Gli scolari, 1927-1928

 

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Daniela Cataldo

Scrivo regolarmente sul blog UnaScuolaFuoriclasse a partire dall’esperienza in prima persona, anche come insegnante. Ho riscontrato che non sempre la scuola sa orientarsi e orientare riguardo a certe problematiche, lasciando i genitori soli e incompresi. Quando insorgono difficoltà, più o meno temporanee, quali la dislessia, un disagio emotivo, un disagio psichico, il segnale principale è “andare male a scuola”. Per me, però, è la scuola che “va male” quando non si adatta alla extra-ordinarietà. Vorrei raccontare la mia esperienza sul tema, offrire ascolto a genitori e insegnanti e dare indicazioni su come e dove chiedere aiuto e informazioni. Mi piacerebbe che l’accoglienza e il supporto che i genitori, per necessità vitale, imparano a dare, giungessero ai ragazzi e alle ragazze direttamente, senza necessità di sollecitazioni, da insegnanti consapevoli e competenti che sanno osservare ed ascoltare

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