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Da: Organizzatori

Presso l’istituto di Storia Contemporanea di Ferrara in Vicolo santo Spirito 11, sarà la volta di
68 – quei giorni di maggio a cura di Ivano Artioli.
Ospiti oltre allo stesso Artioli gli autori Sergio Gnudi e Massimo Cobianchi.

Sono 23 in tutto gli autori dei vari racconti. La regola seguita è stata quella del rispetto degli eventi che si sono dipanati da gennaio a dicembre 1968, passando per il Maggio francese. Storie brevi: un momento, un giorno, massimo una settimana. Si va dal ferrarese campione di basket in città e studente a Bologna nel giorno della pesante rissa fascisti-compagni del 16 gennaio, agli studenti a Milano che per S’Ambroeus, alla Prima della Scala con il giovane talentuoso Claudio Abbado che dirigeva il Don Carlos, accolsero la ricchezza opulente al lancio di uova marce e mandarini.

Il Sessantotto ebbe nel maggio francese il suo momento di esplosione. La televisione ne diede una grande enfasi: barricate e macchine incendiate e pugni chiusi e gendarmerie, molta gendarmerie. Fu una porta che si spalancò e l’attraversarono giovani della generazione nata a guerra finita. Si sentivano uguali tra di loro, senza più frontiere. E sapevano comunicarsela quest’uguaglianza, con il francese amabilissimo e garbato e con l’inglese, a partire da quello delle voci e chitarre dei Beatles, gli scarafaggi di Liverpool, e delle voci e chitarre dei Rolling Stones, le pietre rotolanti.

Fu contestazione, innovazione nel cinema, nelle ardite forme architettoniche, nella musica, nel linguaggio, nella filosofia con la Scuola di Francoforte, nel leaderismo: ci piaceva Kennedy e venne ucciso; anche Luther King ci piaceva e venne ucciso; ci piaceva il Che e i suoi compañeros e venne ucciso. Vennero uccisi. Leader che diventeranno icone. Icone che diventeranno poster nelle case degli operai e studenti, uniti nella lotta. Marx diceva che non ci poteva essere alcun dialogo con il capitalismo. Serviva la Lotta di Classe. Sarebbe scoppiata nei paesi maggiormente avanzati e molti pensarono che l’Italia fosse pronta.

Keynes, invece, aveva scritto dello Stato imprenditore e venne studiato nelle nostre università (Bologna, Modena, Ferrara…). Venne messa in pratica l’economia della partecipazione. Erano gli anni della vittoria del Welfare State sul libero mercato e sull’economia di Stato: punti di eccellenza per le municipalità furono gli assessori ai servizi sociali, come nei paesi scandinavi socialmente avanzati. Il sindacato non fu solo contro: fu partecipativo per un interesse generale che era di tutti i lavoratori, donne e uomini senza più distinzione di genere. Era il primato della Politica, ovvero della lotta politica accettata dalle parti all’interno di una polis sempre più estesa, senza confini.

Tutto facile?… No!… Tutto difficile!… Difficilissimo e luttuoso. Il Sessantotto fu anche l’anno dei continui scontri di piazza tra neri e rossi, con la polizia che non si risparmiava e non ti risparmiava un “educativo interessamento”.

“Ma s’io avessi previsto tutto questo, dati, causa e pretesto, le attuali conclusioni, credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni…” era Guccini nell’Avvelenata che dopo analisi, riferimenti, assonanze, concludeva con “… forse farei lo stesso”:

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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