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La brigata dei sandwich ai gamberi

È la sera dell’8 novembre 2000, e a Old Trafford si è appena conclusa l’ultima gara del girone G di Champions League. Grazie a questo gol di Sheringham il Manchester United ha battuto 1-0 la Dinamo Kiev e si è classificato al secondo posto del girone alle spalle dell’Anderlecht. È stata un partita piuttosto delicata per l’undici di Ferguson: d’altronde, se qualcosa fosse andato storto, avrebbe potuto ritrovarsi addirittura al terzo posto della graduatoria, qualificandosi così ai sedicesimi di finale di Coppa Uefa anziché alla seconda fase a gironi della Champions League.

Tra le immancabili interviste post-partita, ce n’è una che spicca sulle altre: è quella del capitano del Manchester United Roy Keane – non propriamente un diplomatico – il quale se la prende con i 66,776 spettatori presenti ad Old Trafford, rei di non aver creato un’atmosfera sufficientemente calorosa durante l’incontro. In particolare, la sua critica si rivolge ai tifosi presenti nei cosiddetti hospitality box, cioè quelle tribune che offrono dei servizi in più rispetto al biglietto ordinario, tra cui il ristorante, un’area relax privata e il tour guidato dello stadio. Sta di fatto che l’invettiva del giocatore irlandese darà il via all’utilizzo di un’espressione sarcastica con cui etichettare quei tifosi: la prawn sandwich brigade, cioè la “brigata del sandwich ai gamberi” [Qui].

“I don’t think some of them can spell “football”, let alone understand it. Away from home our fans are fantastic, I would call them the hardcore fans. But at home they have a few drinks and probably the prawn sandwiches, and they don’t realise what’s going on out on the pitch.”

Ebbene, i sandwich ai gamberi sono tutt’oggi l’emblema di una tifoseria più rilassata e meno partecipe rispetto a quella tradizionale, nonché in costante aumento negli stadi della Premier League. Tuttavia, i suddetti sandwich non sono poi così popolari tra gli habitué degli hospitality box, e, a dirla tutta, non figuravano nei menù proposti a Old Trafford durante la stagione 2000/2001. Nell’autunno del 2014, invece, la catena di supermercati Tesco li ha addirittura offerti gratuitamente in uno dei suoi punti vendita di Cork; in cambio, però, bisognava presentare alla cassa una copia dell’autobiografia di Roy Keane [Qui].

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Paolo Moneti

Sono un pendolare incallito a cui piacciono un sacco le lingue straniere e i dialetti italiani. Tra un viaggio e l’altro passo il mio tempo a insegnare, a scrivere articoli e a parlare davanti a un microfono. Attualmente collaboro con Eleven Sports, Accordi & Spartiti, Periscopio e Web Radio Giardino.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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