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A tuo avviso, tra lo Stato e la mafia chi è più forte?
47,27% La mafia, 13,49% Lo Stato, 27,86% Sono ugualmente forti

La mafia potrà essere definitivamente sconfitta?
42,35% No, 29.80% Sì, 27,86% Non So

Quello che emerge da queste percentuali è un pessimismo preoccupante, soprattutto se si pensa che a rispondere sono giovani italiani del triennio delle scuole superiori: quale può essere il futuro del nostro paese se le nuove generazioni ritengono che le organizzazioni criminali sono più forti dello Stato e che non possano essere definitivamente sconfitte?
Le due domande citate fanno parte della rilevazione annuale della percezione del fenomeno mafioso fra i giovani da parte del Centro studi Pio La Torre, che per l’anno scolastico 2016-17 ha coinvolto più di tremila studenti degli istituti superiori di tutta Italia e i cui risultati sono stati presentati nei giorni scorsi, proprio in occasione dell’anniversario dell’assassinio del deputato palermitano del Pci.

Pio La Torre

Sono passati 35 anni da quel 30 aprile 1982 quando, alle nove del mattino, mentre sta raggiungendo insieme al suo autista Rosario Di Salvo la sede del partito a Palermo, due moto si affiancano all’auto di Pio La Torre e alcuni uomini con il casco e armati di pistole e mitragliette sparano decine di colpi. Un omicidio che soltanto nel 2007 la Corte d’Appello d’Assise di Palermo ha stabilito essere avvenuto per l’impegno antimafia del politico e sindacalista siciliano.
Tra i protagonisti del movimento di occupazione delle terre nella zona di Corleone nell’immediato dopoguerra, appena eletto in parlamento, nel 1972, entra a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia: nel 1976 La Torre sottoscrive come primo firmatario, la relazione di minoranza che mette in luce i legami tra la mafia e importanti uomini politici. Pio La Torre è anche colui che per primo intuisce che il carcere non basta e che bisogna colpire le mafie nel cuore dei loro interessi, nella ‘roba’, come diceva verganamente. Per questo si fa promotore di un disegno di legge, che prenderà il suo nome, approvato solo dopo la sua morte e l’uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nel frattempo diventato prefetto di Palermo. La legge Rognoni-La Torre prevede l’introduzione nell’ordinamento penale del reato di associazione mafiosa, 416-bis, e la confisca dei patrimoni illeciti.

Quella presentata a Palermo, alla presenza del Presidente Mattarella, è la decima indagine sul rapporto giovani-mafie del Centro Studi Pio la Torre, che quest’anno festeggia il suo trentesimo compleanno.
Per fortuna, la stragrande maggioranza dei giovani italiani intervistati, oltre il 90%, ripudia la mafia ed emerge la loro consapevolezza della natura economica del fenomeno mafioso: per sconfiggere la criminalità organizzata, il 25,01% suggerisce allo Stato di “colpire la mafia nei suoi interessi economici” e il 22,03% di “combattere la corruzione e/o il clientelismo”. I ragazzi sono ben coscienti anche che l’agire della mafia limita la libertà del singolo, influenzandone le scelte e le prospettive, scelte e prospettive individuali che sono in grado di fare la differenza per sconfiggere le mafie. Il 60,35%, la maggioranza assoluta, pensa che la mafia può condizionare la costruzione del proprio futuro. Mentre il 38,69% dei ragazzi che hanno risposto al questionario ritiene che il singolo può concorrere a sconfiggere la mafia non alimentandone l’economia attraverso, per esempio, l’acquisto di droghe o di merce contraffatta, il 21,32% sostiene che occorre non essere omertoso, il 20,35% ritiene che ciascun cittadino dovrebbe rivendicare i propri diritti e rispettare quelli degli altri se vuole fare qualcosa per contrastare le organizzazioni criminali. Da segnalare, tuttavia, che la percentuale di chi ritiene che il singolo può contribuire alla sconfitta della mafia non sostenendone l’economia è in calo: 41,55% nel 2015, 40,37% nel 2016 e, appunto, 38,69% quest’anno.
Quasi l’84% degli studenti interpellati ritiene che la mafia sia molto o abbastanza diffusa nella propria regione: una percentuale che raggiunge il 90% nelle regioni di insediamento tradizionale e si attesta al 69% in quelle centro-settentrionali, dove si registra un notevole balzo in avanti rispetto al 52% rilevato nell’indagine dello scorso anno. L’opinione largamente maggioritaria è che le organizzazioni mafiose sono forti perché utilizzano qualsiasi mezzo per raggiungere i loro scopi (83%), ma anche perché si infiltrano nello Stato (76%), che a sua volta è debole, perché non fa abbastanza per sconfiggerle (69%).

L’indagine evidenzia soprattutto una netta sfiducia nelle istituzioni, o meglio nella classe dirigente politica.
Alla domanda “A tuo parere, quanto è forte il rapporto tra mafia e politica?” Il 
41,18% ha risposto “molto forte” e il 
48,72% “abbastanza forte”, in totale siamo in pratica al 90% del campione. Al quesito “Secondo il tuo parere, cosa permette alle organizzazioni di stampo mafioso di continuare ad esistere?” In prima posizione si trova “La corruzione della classe dirigente” con il 51,34% delle preferenze; a seguire: “la mentalità dei cittadini” con il 40,54%, “la mancanza di coraggio dei cittadini”, con il 32,09%, “le scarse opportunità di lavoro” con il 31,80% delle preferenze, infine “la poca fiducia nelle istituzioni” (22,52%), “il clientelismo” (13,56%) e “il basso livello di sviluppo” (11,68%). Interrogati sulle cause della diffusione del fenomeno mafioso nelle regioni centro-settentrionali, il 59,95% la attribuisce alla “corruzione della classe politica locale”, poi torna il fattore economico, identificato nella “ricerca di nuovi territori per il riciclaggio del denaro sporco” (29,28%), seguito dalla “mancanza di senso civico” (20,19%) e dalla “sottovalutazione del fenomeno da parte delle forze dell’ordine” (17,92%).
Infine è significativo – anche se forse non desta stupore – il fatto che la categoria che riscuote minore fiducia da parte dei ragazzi è quella dei politici, sia quelli nazionali (15,46%) sia quelli locali (20,09%), seguita da sindacalisti (32,32%), parroci (45,55%), banchieri (45,72%), non risultano troppo credibili neppure giornalisti (46,52%) e impiegati pubblici (47,66%). Solo tre delle dieci categorie oggetto di domanda presentano una prevalenza di fiducia positiva, ovvero la somma delle risposte “molta” e “abbastanza” è superiore al 50%: al primo posto – per fortuna – gli insegnanti (84,6%), seguiti da poliziotti, carabinieri e finanzieri (70,56%) e dai magistrati (55,13%).

Questa sfiducia nelle rappresentanze sociali e istituzionali non è solo sconfortante, è soprattutto pericolosa perché rischia di innescarsi un circolo vizioso nel quale la diffidenza e l’insoddisfazione verso la funzione della rappresentanza alimentano un sentire comune che percepisce come largamente diffusi atteggiamenti e pratiche in qualche misura complici dell’illegalità, finendo con favorire così l’attecchimento delle associazioni criminali.
Non è dunque un caso se, nel discorso che ha preceduto la presentazione dell’indagine, il presidente del Centro Studi Pio La Torre, Vito Lo Monaco, ha affermato: “La lotta antimafia è lotta per il cambiamento del potere politico, sociale, economico e della sua rappresentanza”. E ha aggiunto: “Lo fu per Piersanti Mattarella, democristiano, Presidente della Regione per la quale rivendicò le “carte in regola” contro una parte del suo stesso partito espressione del sistema politico-mafioso. Lo fu per Pio La Torre, capo dell’opposizione, comunista, capace di mobilitare milioni di siciliani contro i missili nucleari a Comiso e contro la mafia, autore di quel disegno di legge che introdusse nel codice penale italiano il reato di associazione di stampo mafioso e la confisca dei beni proventi di reato, approvato solo dopo l’uccisione anche del prefetto Dalla Chiesa”.

Leggi su ‘asud’europa’ i risultati della decima indagine annuale del Centro Studi Pio La Torre sulla percezione dei giovani italiani del fenomeno mafioso.

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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