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Molti giornali, in questi giorni, riportano la notizia riguardante la triste vicenda di cui sono protagonisti il sindaco di Pomezia Terme, la sua giunta ed i bambini delle scuola materne di quel comune.
Il fatto che ha suscitato l’indignazione di molti è questo: dal prossimo anno nelle mense delle scuole materne di Pomezia saranno presenti due menù: uno del costo di 4 euro ed uno di euro 4,40.
La differenza fra i due menu è che nel secondo è compreso il dolce.
In pratica, il dessert lo potranno avere solo quei bambini e quelle bambine i cui genitori saranno disponibili a spendere la cifra più elevata.
Il sindaco Fabio Fucci, del Movimento 5 Stelle, ha replicato che «È stata una decisione presa insieme con le rappresentanze dei genitori. Per la crisi l’anno scorso abbiamo dovuto aumentare i prezzi dei pasti in mensa dai 3 ai 5 euro e molti genitori hanno protestato, non ce la facevano. Tanto che molti sono arrivati a togliere i figli dalla refezione scolastica mandandoli a scuola con il pasto completo preparato a casa. A questo punto abbiamo cercato una soluzione assieme alle famiglie, ci siamo incontrati, parlati. Abbiamo preferito che fossero identici primo secondo e frutta, con la sola aggiunta del dolce per chi paga i 40 centesimi in più».
Walter Bianco, il coordinatore di Sel, ha denunciato l’intollerabile discriminazione operata sulla base delle capacità economiche delle loro famiglie.
Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato, ha parlato di scelta inaccettabile, ingiusta, discriminatoria.

Io, ironicamente, chiedo se il sindaco “grillino” e la sua giunta abbiano preso tale delirante decisione dopo aver consultato «’sti ragazzi meravigliosi che usano la rete».
Io, seriamente, riesco a comprendere le difficoltà degli amministratori che, in mancanza di adeguati finanziamenti da parte dello Stato, hanno di fronte la scelta di aumentare o no il prezzo dei servizi.
Io, onestamente, riesco a capire meglio le difficoltà delle famiglie che fanno fatica ad arrivare alle terza settimana del mese.
Io, criticamente, osservo che la scelta di differenziare i pasti ed i loro prezzi non è l’unica possibile.
Io, provocatoriamente, chiedo: perché non far pagare di più a chi ha di più?
Io, semplicemente, giudico la scelta della giunta di Pomezia come una decisione scellerata perché opera una distinzione netta fra bambini e fra famiglie, perché è una risoluzione che genera conflittualità, perché mette in pratica l’idea di una scuola come servizio a domanda individuale e non come bene collettivo.
Vivo e sono al corrente dei problemi che la cosiddetta crisi sta imponendo a moltissime famiglie e so bene che le scelte, per chi amministra, non sono facili.
Molte famiglie non ce la fanno a pagare, altre ce la fanno un poco alla volta, altre ancora ci riescono con forte ritardo, altre non ci riescono proprio e altre ancora non ci sono mai riuscite.
Lavoro da quasi trent’anni in una piccola scuola elementare a tempo pieno, a pochi chilometri dalla città.
È una delle due scuole della provincia di Ferrara che ha una mensa autogestita cioè, essendoci una cucina, ci sono anche una cuoca, una aiuto cuoca, un menu predisposto dall’Asl e molti genitori che aderendo al Comitato si tassano riuscendo a pagare le derrate alimentari, i materiali di pulizia e gli stipendi al personale.
Anche da noi ci sono problemi di rette non pagate, o pagate in forte ritardo o addirittura mai pagate. I motivi di tale situazione sono diversi ma io penso che, laddove sussistono condizioni sociali disagiate, debbano intervenire quei servizi sociali dei Comuni che esistono proprio per occuparsi anche di questo. Conosco la risposta: i servizi non sono più finanziati come prima, ci sono forti tagli, c’è la spending review e noi non sappiamo più cosa fare.

Propongo umilmente che, per prima cosa, quel’Amministrazione declami chiaramente le proprie priorità e poi cerchi di agire con coerenza, protestando, coinvolgendo, informando ma anche e soprattutto destinando i finanziamenti in maniera direttamente proporzionale alle priorità che si è data.
Per piacere però, certi amministratori non ci vengano più a parlare di scuola come priorità se poi continuano a giustificare le delibere discriminatorie come scelte obbligate dalla crisi perché, con l’alibi di questa maledetta crisi, si sta affermando un’idea di scuola sempre più smaccatamente di classe, dei modelli di comportamento sempre più spietatamente competitivi ed una società sempre più squallidamente ingiusta.
Non si può pensare a soluzioni come far portare i panini ai bambini le cui famiglie non riescono a pagare, o mandare a mangiare a casa gli alunni iscritti ad una scuola che prevede la frequenza a tempo pieno, o ideare menu di serie A e di serie C, o ancora proporre digiuni o addirittura esclusioni.
A scuola non ci sono momenti meno importanti degli altri in cui si può fare a meno di qualcosa e soprattutto non ci sono studenti meno importanti degli altri di cui si può fare a meno per un po’.
A mio modo di vedere, oltre ad un importante finanziamento ai servizi sociali, c’è bisogno di una sincera e determinata volontà politica di rimuovere le cause del bisogno e di collegare l’eventuale bisogno al sistema dei servizi.
Nel concreto dei contesti educativi, si possono trovare diverse soluzioni per tentare di risolvere il problema delle rette mancanti.
Nel mio piccolo, penso che le iniziative ‘creative’ proposte finora, insieme alle famiglie (e quelle che sono in cantiere), abbiano avuto successo (e potranno continuare ad averlo) perché supportate da un grande senso di solidarietà e di corresponsabilità di intenti da parte di tutta la comunità scolastica: genitori, docenti, collaboratori, studenti, personale di cucina ed operatori extrascolastici.
Credo che soltanto la ricostruzione lenta di un’altra idea di scuola, fondata sulla costruzione di solidi legami fra tutte le anime che la vivono, possa diventare l’unica vera rete con cui cucire quel tessuto sociale indispensabile per la creazione di un diverso abito mentale.

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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