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La maglia granata numero sei. I polpacci muscolosi, più imponenti delle spalle. Lontano sullo sfondo, quasi fosse una visione, appare Superga: il sogno di un bambino, la sua meta, la sua morte; ma al tempo stesso la sua immortalità. L’istante eterno della vita.

Illustrata dall’arte di Rosanna Mezzanotte[1], la copertina di Rubens giocava a pallone, edizioni Pendragon, è sintesi limpida del romanzo che Stefano Muroni ha dedicato alla «vittima più giovane della più grande tragedia sportiva italiana»: Rubens Fadini, nato nel 1927 a Jolanda di Savoia, in provincia di Ferrara, e morto in un tragico volo. «Il 4 maggio del 1949, il Grande Torino, la squadra di calcio più forte del mondo, tornava da Lisbona dopo aver partecipato ad un’amichevole contro il Benfica. La nebbia, la stanchezza, forse un errore umano, portano l’aereo a schiantarsi contro la collina di Superga, alle porte di Torino».

La tragedia di Superga sconvolse tutti. Impossibile restare indifferenti; inaccettabile l’idea che quei ragazzi, nel pieno della forma fisica, potessero all’improvviso scomparire nel cielo sopra Torino, la città che li aveva appena battezzati promesse del calcio: sfracellarsi e dissolversi insieme al sogno del Grande Torino, ma soprattutto delle loro giovani vite.

Ma l’autore sa recuperare i brandelli di quello schianto crudele, restituendoci una storia personale: ci fa sentire la carne e il cuore del giovane Rubens, «la vita di un campione dimenticato, la cui breve parabola ha il respiro dell’epopea e la magia di una leggenda».
Ventuno capitoli, uno per ciascuno degli anni del giovane Rubens. Per raccontare un’infanzia sofferta sulla pelle, la caparbietà di un giovane uomo che resiste alla violenza per difendere il suo sogno: «Da grande avrebbe voluto fare il calciatore». E l’autore si specchia in quel sentimento tenace, in «quella straordinaria sensazione di sentirsi alla pari con se stessi, in una vita che ti voleva sempre in debito».

Un pallone di cuoio, il campo di calcio dietro la scuola, la vita spietata nei territori della Grande Bonifica; e sullo sfondo la storia maiuscola: il Fascismo, la guerra. Radici e cielo.
Da una stella cadente intravista in una notte di dolore, alla realizzazione del sogno che consacra Fadini astro nascente del calcio. Il settimo capitolo – cruciale nella narrazione – commuove e fa rabbrividire. Uno stile diretto, tinte forti, un espressionismo della parola che suscita emozioni profonde. E non manca mai il tocco poetico dell’autore, il segno che sa restituire un senso, che sublima anche la sofferenza. Tutto torna: nella rotondità di quel pallone di cuoio, la vita di Rubens si compie come un cerchio, affermandolo «campione per sempre».

Una storia unica. Un romanzo d’esordio avvincente per Stefano Muroni, già autore di due applauditi volumi: Tresigallo città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno (Pendragon, 2015) e Dall’alto della pianura. Storie perdute di amore e di follia (Pendragon, 2017).

La copertina del romanzo

Una vicenda che, come nei libri precedenti, si nutre nella storia dei suoi nonni e dei suoi bisnonni, dai racconti tramandati di generazione in generazione. ‘Fole’ e leggende che l’autore ha ascoltato con occhi scintillanti e avidi di curiosità. Cresciuto in una realtà di Provincia, Stefano Muroni è legato visceralmente alla storia della sua Terra, alle sue meravigliose corrispondenze con l’infinito: «Dalle nostri parti si dice che per il 2 novembre i morti ritornino a dormire nei loro letti[2]».
Da qui arriva l’ispirazione di Rubens giocava a pallone: «A volte le storie stanno nel vento, nel frastuono degli uragani di giugno, nelle nebbie dense di novembre, nella leggerezza delle spighe di grano, nei canti lontani che non ci sono più, nel silenzio della campagna. Basta solo saper ascoltare».

Basta solo saper ascoltare.

Note
[1] Tra le tante collaborazioni, R. Mezzanotte è illustratrice del video Jenny è pazza di Vasco Rossi
[2] Incipit del romanzo

Qualche pagina in anteprima del romanzo di Stefano Muroni è stata pubblicata da Ferraraitalia. Per leggerla clicca [Qui]   

Cover: Formazione Torino FC, conosciuta come Grande Torino1948-49, cartolina per i tifosi (Wikimedia Commons) 

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Eleonora Rossi


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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