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Nei vari articoli che ho scritto sulla rubrica “Ecologicamente” ho cercato di proporre (forse con toni teorici e poco accattivanti) alcuni principi ambientali su acqua e rifiuti che mi stanno particolarmente a cuore. Mi rimane da trattare un punto che taglia trasversalmente tutti i temi e che, a mio avviso, rappresenta il principio base di ogni impostazione. Mi riferisco all’Etica della responsabilità: si tratta di un concetto generale su cui ritengo importante fare qualche ragionamento conclusivo.
La mia opinione infatti è che siano necessari elementi “alti” di caratterizzazione dei servizi pubblici locali in quanto indispensabili per realizzare un reale processo di miglioramento che richiami alla sostenibilità, alla trasparenza, alla certificazione, alla accountability, all’etica.
Bisogna mantenere alta la sensibilità e la domanda di sostenibilità e qualità sui servizi pubblici ambientali, e più in generale di ambiente, perché la crescita di qualità ambientale è un bisogno di tutti. Il bisogno di fiducia e partecipazione deve sostituire il crescente disagio e la diffidenza dei cittadini. La qualità della vita, la sicurezza, il rispetto ambientale, la coscienza civica devono contrastare la mancanza di dialogo, la scarsa informazione, le scarse competenze e l’iniqua distribuzione.
Non vorrei dare nessuna lezione di morale né fare demagogiche riflessioni, ma solo rafforzare la consapevolezza di poter ritrovare in questi territori, con questo sistema istituzionale e industriale, dei valori alti che hanno caratterizzato e che si pensa caratterizzeranno ancora i servizi pubblici collettivi in questa regione e in questa provincia.
Il bisogno di qualità sta diventando un importante elemento di riferimento anche nella politica economico-industriale dei servizi pubblici; vi è uno stretto legame tra sistema di gestione e livello di qualità ed efficienza economica, e i sistemi di regolazione devono fronteggiare il tipico dilemma fra incentivare l’efficienza produttiva e trasferire quote della rendita.
La Qualità è destinata ad assumere un ruolo fondamentale nella logica di apertura regolamentata dei mercati e dunque come fattore di competizione per la scelta concorrenziale del gestore. Si arriva così alla centralità dell’accountability, come insieme di momenti atti a “rendere conto in modo responsabile per tenere fede agli impegni presi”; l’accountability è dunque un insieme di modalità attraverso cui rapportarsi con i vari portatori di interesse per ottenere consensi. Questo ci porta ad un tema fondamentale: il capitale sociale. Quest’ultimo, come fondamentale valore da difendere, rappresenta infatti quella risorsa che permette di valorizzare il capitale culturale, il capitale simbolico e il capitale economico, e metterla a disposizione dei singoli individui.
Va rilevato come in particolare si stia passando da una fase di partecipazione e coinvolgimento ad una fase di distacco, di cinismo e dunque di sfiducia. E’ difficile distinguere quanto sia causa di un malessere generale; certo è che questa sfiducia indebolisce il capitale sociale come elemento di successo e di distinzione. Il capitale sociale è un importante valore di sviluppo e deve essere monitorato e analizzato in continuo per meglio comprendere il gradimento dei cittadini e più in generale il loro livello di qualità della vita.
Abbiamo bisogno di analizzare più a fondo come possono coesistere reali processi di miglioramento in contrasto con crescenti segnali di disagio e di insoddisfazione. In sintesi si stanno allentando i rapporti fiduciari che fortemente caratterizzavano il territorio e si vanno rafforzando al contrario strumenti di difesa e di autotutela.
Gli individui interagiscono quando si riconoscono reciprocamente come fini e non come mezzi. Si sente il bisogno di trasparenza e di fiducia; spesso invece si avverte una pregiudiziale diffidenza.
Conoscere cosa la gente spera sarà obiettivo fondamentale di ogni politica futura. Indagare sulle dimensioni di fiducia diffusa e di fiducia condizionata nelle relazioni fra erogatori di servizi pubblici e utenti è un impegno che bisogna assumersi collettivamente.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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