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Si continua a invocare il ritorno alla normalità e io mi chiedo a quale normalità si riferiscano quelli che sono così insistenti, a quella normalità che ci ha portato a questo punto? Spero di no, anche perché veniamo da un anno scandito dai cortei di giovani di Friday For Future che chiedevano a gran voce di cambiare marcia perché il rischio imminente è la sopravvivenza dell’umanità e questa pandemia ce ne ha dato solo un piccolo assaggio, credo. Le misure per contrastarla e le loro conseguenze ci stanno indicando la via che dovremmo intraprendere perché la lezione ci sia servita.

Da un lato la pandemia ci ha indicato che i mezzi di trasporto sono l’emblema negativo del modello di vita consumistico e frenetico che stavamo conducendo e che continuavamo a incrementare, dall’altro il disagio l’isolamento necessario a bloccarla ha messo in evidenza l’importanza cruciale delle relazioni e dell’attenzione all’altro per la nostra vita come società umana. In particolare questa situazione ha evidenziato come sia fondamentale prestare attenzione soprattutto a coloro che sono più deboli, e non mi riferisco necessariamente solo i più piccoli in quanto più deboli e vulnerabili perché dipendenti dagli adulti, ma intendo come deboli tutti quelli che dipendono in qualche misura da altri. Ha messo in evidenza che la qualità umana si esprime nella condivisione e altrettanto sta sottolineando che la giustizia sociale cioè la possibilità per tutti di vivere secondo i propri desideri, finalità della democrazia, non è stata ancora raggiunta.

In questo momento le persone più ‘forti’  ‘possono’, se lo vogliono, e non ‘devono’ prendersi cura degli altri, concretizzando con le loro azioni una libera scelta perché da questa cura non dipende ne’ la loro sopravvivenza ne’ un guadagno, anzi,  con questa riconoscono il valore della vita e della sua qualità. Per questo le società civili più evolute hanno tentato di costruire una società democratica che rendesse giustizia all’ingiustizia del ‘dove si nasce’ che è assolutamente casuale e certo non scelta da alcuno. Con la democrazia si è tentato di offrire a ciascuno le stesse possibilità di sviluppo individuale, di realizzazione della propria aspirazione personale e della propria esistenza secondo le proprie capacità.

Per questo nelle democrazie più evolute la scuola, così come i servizi finalizzati alla persona e alla qualità della vita, è pubblica ed  è stata il fondamento fin dall’origine delle democrazie; l’educazione alla cittadinanza è centrale e perciò dovrebbero essere usati tutti gli spazi di comunicazione perché questa si sviluppi come una realtà concreta  e non solo come un’aspirazione dei più lungimiranti.
Quindi investire sulla scuola, sull’educazione in tutte le sue forme, dalle scuole primarie alle università, dai teatri e i cinema fino ai musei e alle manifestazioni culturali in genere, è urgente ed è prioritario. Non perché siano prodotti da vendere ma perché questi eventi sono i luoghi in cui si cura la persona fin dal suo nascere per educarla alla cittadinanza e a riconoscersi come soggetto propulsivo, attore di sviluppo e rinnovamento nella società.
Gli spazi culturali, fisici o metaforici che siano, sono da intendere come luoghi dove le persone possono ricevere e elaborare strumenti di realizzazione per una migliore qualità della vita, per se’ come per gli altri, dovunque vogliano vivere.

Questa è la traiettoria che in nostri genitori ci avevano indicato, preparando la via perché noi potessimo costruire la nostra strada autonomamente, senza avere limiti di prospettiva. Guidati invece dal desiderio di condividere questa libertà creativa, nello spazio che le è proprio, ossia quello della democrazia, ambito in cui essa diventa nutrimento per coloro che la sperimentano.
Se non si capisce che in questo momento più che mai  è importante concentrare la maggior parte degli investimenti sulla scuola e sulla cultura,  sull’educazione tutta, per ricostruire la vita sociale che desideriamo, questa pandemia non sarà servita a niente, anzi tutti i morti, tutte le sofferenze di questi giorni ci cadranno addosso e ci faranno vivere giorni terribili di rabbia e di delusione, di una speranza perduta quasi definitivamente.

Non credo di essere catastrofista a dire queste cose, poiché non ci sono più scuse: gli ultimi avvenimenti hanno dimostrato che se si vuole il cambiamento lo si può fare e in tempi brevissimi, come si è fatto per gli ospedali. Perciò bisogna aprire le scuole in modo tale che i ragazzi di ogni ordine e grado possano frequentarle in modo normale, senza bisogno di frequenza pomeridiana, perché gli spazi utilizzabili a questo scopo ci sono, sia per un uso momentaneo sia per un necessario restauro per il loro utilizzo stabile nel futuro. Perché si possono aprire scuole in disuso, utilizzare spazi vuoti riadattandoli, assumere il necessario personale docente e il personale addetto al funzionamento delle strutture in modo da mantenere, adesso la distanza sanitaria civica, e nel futuro una didattica più moderna. La Germania in questo momento non ha chiuso le scuole, ha sempre fornito il servizio, garantendo anche l’igiene, perché dotata di personale e spazi adeguati.
Questo non solo sarebbe un segnale palpabile che finalmente i governanti hanno a cuore il valore della cittadinanza, perché chi ha a cuore i più piccoli e indifesi dimostra di essere guidato da un’attenzione disinteressata e sincera, ma rappresenterebbe inoltre il volano economico e produttivo per migliaia di lavoratori, per molte di quelle imprese edili, della cultura, dell’educazione e dell’intrattenimento, tutto ciò che riguarda la civiltà di una società umana.

Spero quindi che quando si parla di tornare alla normalità si pensi alla normalità della vita sociale di una umanità evoluta e civile, che ha capito finalmente che il valore è la persona. La sua creatività, la sua capacità di trasformare desideri, immagini e speranze in realtà concrete è la vera risorsa insita in ciascuno di noi che possiamo coltivare fino a riconoscere che il gusto di condividere il frutto del nostro lavoro è ciò a cui ognuno di noi aspira e che dà senso alla nostra vita per la realizzazione della comunità umana.

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Grazia Baroni

Grazia Baroni, è nata a Torino nel 1951. Dopo il diploma di liceo artistico e l’abilitazione all’insegnamento si è laureata in architettura e ha insegnato disegno e storia dell’arte nella scuola superiore durante la sua trentennale carriera. Ha partecipato alla fondazione della cooperativa Centro Ricerche di Sviluppo del Territorio (CRST) e collaborato ad alcuni lavori del Centro Lavoro Integrato sul Territorio (CELIT). E’ socia e collaboratrice del Centro Culturale e Associazione Familiare Nova Cana. Dal 2016, anno della sua fondazione, fa parte del gruppo Molecole, un momento di ricerca e di lavoro sul bene, per creare e conoscere, scoprendo e dialogando con altre molecole positive e provare a porsi come elementi catalizzatori del cambiamento. Fra i temi affrontati dal gruppo c’è lo studio e dibattito sulla Burocrazia, studio e invio di un questionario allargato sulla felicità, sul suo significato e visione, lavori progettuali sulla felicità, in corso.


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