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Parole europee e Treccani: Massimo Bray, Michele Ainis e Maria Vittoria Dell’Anna ci conducono in un interessante viaggio alla (ri)scoperta di alcuni concetti fondanti della cultura europea.

Allo European Projects Festival, che si sta tenendo a Ferrara dal 4 al 6 aprile, ieri pomeriggio è andata in scena la prestigiosa Fondazione Treccani Cultura, luogo di sapere per eccellenza, con tre relatori di eccellenza a introdurre cinque parole dell’Europa: democrazia, libertà, pace, giustizia e plurilinguismo. Massimo Bray (in collegamento video), direttore generale dell’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani dal 2015, Michele Ainis, professore emerito di Istituzioni di diritto pubblico all’università di Roma Tre e Maria Vittoria Dell’Anna, Professoressa associata di Linguistica italiana all’Università del Salento.

A tali illustri personalità il non semplice compito di presentare, a una platea di giovani, parole fondanti della cultura europea, fondamenta imprescindibili di una costruzione solida, legate a un concetto di cittadinanza attiva. Parole di cui oggi abbiamo più che mai bisogno. Giovani e meno giovani.

Di fronte a un deficit comunicativo dell’Unione europea, spesso dovuto alle diverse prospettive di 27 governi nazionali e all’utilizzo di parole ambigue (si pensi al Consiglio dell’Unione Europea, al Consiglio Europeo e al Consiglio d’Europa che hanno ben diversa accezione), non sempre il linguaggio delle nostre istituzioni comuni è intellegibile ai più.

“La stessa parola democrazia è talmente usata”, spiega Michele Ainis “da subire una sorta di azzeramento semantico. Ogni regime ormai si definisce democratico e nella storia la democrazia è, in realtà, un’eccezione; abbiamo osservato, nei tempi, come, di regola, ci siano stati molti più sistemi autoritari. La parola democrazia contiene, tuttavia, tutte le parole di cui si parla in questa tavola rotonda, soprattutto contiene la parola libertà”, continua.

“Dobbiamo distinguere”, si rivolge ai ragazzi, “la democrazia diretta del referendum, quella indiretta della delega e quella partecipativa, che significa concorrere al governo della polis, fare politica riunendosi con altri in movimenti e partiti”.

“La parola democrazia ne contiene molte altre del vivere civile, fondamento del rispetto altrui”, sottolinea, a sua volta, Massimo Bray. Il concetto di libertà, ad esempio, è connaturato a quello di democrazia. Libertà, tuttavia, è un termine anch’esso con una sua ambiguità lessicale. In Europa è anzitutto economica, associata inizialmente alla libera circolazione delle merci e delle persone; solo in seguito ha assunto sfaccettature più ampie, affondando, anch’essa nella storia. Si può esercitare la propria libertà con la semplice non interferenza da parte del potere pubblico, altre volte, invece, per alcune libertà, come quella di cura o istruzione, c’è bisogno del potere pubblico, serve un suo intervento per rendere alcune libertà effettive. Anche Dante, ricorda Bray, percorre il suo viaggio alla ricerca della libertà.

Serve poi spazio per la pace, un termine che pare dimenticato. Eppure, nel 1693, il quacchero William Penn scrisse il “Discorso intorno alla Pace presente e futura dell’Europa. Per la costituzione di un’Europa ordinata in una Dieta, Parlamento o in Stati generali”, prendendo in prestito da Cicerone l’epigrafe Cedant arma togae!. Immanuel Kant ha definito con assoluta precisione la pace e l’ha distinta radicalmente dalla guerra, in “Per la pace perpetua” (1795). La pace, infatti, o è perpetua o non è. Su questa base, il grande filosofo tedesco distingue tra pace e tregua. La prima è la condizione in cui la guerra risulta impossibile, la seconda una semplice pausa tra due guerre. Inevitabile concludere che nella storia dell’umanità vi sono state tregue più o meno lunghe, pace mai.

L’Europa nasce, allora, come progetto di pace, di convivenza pacifica tra popoli che nei secoli si erano fatti la guerra. Vengono anche ricordate le lezioni di Benedetto Croce sull’importanza della libertà e della ricostruzione della pace, di come, per Tahar Ben Jalloun, con la pace si impari a essere cittadini e a vivere insieme, di quanto la pace sia un antidoto alla paura e alla violenza, come diceva Norberto Bobbio. Oggi pare davvero lontana la volontà dei padri costituenti di difendere i valori da cui proveniamo. Serve un impegno quotidiano per costruire la pace. Lo stesso impegno che dobbiamo mettere per coniugare progresso e la tutela del mondo intorno noi. Perché, come ricordano i bellissimi passaggi della “Laudato sì del Santo Padre Francesco, di questo paesaggio, la nostra casa comune, siamo ospiti e non proprietari, e, per questo, non dobbiamo e possiamo sfruttarlo ma gestirlo nel modo migliore in quanto fonte inesauribile di diritti e libertà. Per tutti. Perché la giustizia, soprattutto quella climatica, oggi non può più attendere. Non c’è più tempo. E questo festival ce lo ricorda, anche con la settima arte (vedi 1, 2, 3  4, e 5).

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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