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La laurea ad honorem ad Abbado, nel 1990, fu una delle tante iniziative del prof. Thomas Walker a favore della ‘sua’ Università. Erano gli anni più brillanti di Ferrara Musica, e l’Università di Ferrara faceva la sua parte. Io, che allora ero strutturato altrove (all’Ateneo di Udine), richiesto da lui diedi solo una mano marginale, dietro le quinte.
Ricordo una cerimonia singolare. Il festeggiato ringraziò in breve e poi — giustamente — ‘parlò’ la musica. Tra il pubblico era presente un coro ferrarese che, sotto la guida del proprio maestro, intonò un brano della Missa “Hercules dux Ferrariae” di Josquin Des Prez: una composizione dei primi anni del ‘500 che Abbado certo non aveva mai diretto né poi dirigerà, essendo molto diversa dal suo repertorio. Ma l’interesse dimostrato in anni recenti per il cinquecentesco Gesualdo da Venosa testimonia passioni che andavano ben oltre gli ambiti di sua stretta competenza. Azzardo perciò che non gli sia dispiaciuto quell’inopinato omaggio — da parte degli spettatori — di musica dotta anziché di rumorosi applausi indisciplinati e informi.
Non di rado le lauree d’onore a personaggi famosi si riducono a occasioni di straordinaria visibilità. La laurea ad Abbado fu invece il riconoscimento di finalità comuni, le stesse di un’istituzione come l’Università: ricerca e didattica.
Da fondatore e maestro di orchestre giovanili europee (la Mahler, la Mozart), o sostenitore di pedagogie musicali ‘rivoluzionarie’ (il Sistema Abreu), Abbado ha mostrato costantemente la sua vocazione didattica.
Mirabile interprete di Mahler, Verdi, Mozart, Prokof’ev, del Novecento storico e contemporaneo, nel caso però di Rossini Abbado ha lasciato un segno che ha inciso profondamente anche nel modo di ascoltare, eseguire e ‘leggere’ questo autore: nella ricerca sulla sua produzione, di fatto. Non mi riferisco al fin troppo citato Viaggio a Reims del 1984, golosa ed eccentrica trouvaille che avrebbe trionfato quasi con chiunque, ma al suo Barbiere di Siviglia e alla sua Cenerentola di un buon decennio prima, esemplari nel far trasparire meccanismi e congegni di quei concentrati d’energia motoria: una visione che rappresenta uno spartiacque, una svolta irreversibile.
Nel 1990, a Ferrara, Abbado non pronunciò una lectio magistralis: davanti a un’orchestra, con tutta naturalezza ce l’avrebbe fatta ascoltare.
Paolo Fabbri
Universita’ di Ferrara

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Riceviamo e pubblichiamo


PAESE REALE

di Piermaria Romani

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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