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Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di crowdfunding. Il sistema di autofinanziamento basato sul microcredito e gestito da piattaforme ad hoc, sorte numerose in rete negli ultimi anni, fa registrare numeri in costante aumento. Anche il nostro giornale qualche mese fa ha deciso di avventurarsi in questa esperienza e, tramite Idea Ginger, è riuscito a raggiungere e superare l’obiettivo prefissato di 5000 euro [qui la nostra campagna]. E come noi, in Italia, tanti altri progetti emergenti e desiderosi di ottenere maggiore visibilità e maggiore sostegno si sono serviti di questo moderno strumento. Che in fondo poi tanto moderno non è…
Tania Palmier, accompagnatrice dei progetti italiani della piattaforma Ulule e ospite di un seminario svoltosi giovedì al dipartimento di Economia di Unife, ha ricordato infatti agli studenti del corso di marketing tenuto dal professor Fulvio Fortezza che “in passato anche alcune grandi opere architettoniche come la Statua della Libertà e la Sagrada Familia sono state finanziate dalla ‘folla’”. Baratto? Colletta? Finanziamento dal basso? Chiamatelo come volete, in tutti i modi la giovane collaboratrice di quella che risulta essere una delle maggiori piattaforme di crowdfunding a livello europeo conferma che in realtà “internet non ha fatto altro che accelerare una pratica che esiste già da moltissimo tempo”.
La presenza della Palmier è stata anche l’occasione per sfatare il mito del “crowdfunding come strumento magico e infallibile. In realtà – ha affermato – già dai primi passi dell’organizzazione della campagna bisogna mettere in conto fatica e sacrifici, un percorso lungo ma ragionato che darà i suoi frutti solo se curato minuziosamente in tutti i suoi dettagli”. La cerchia di possibili donatori incomincia dai familiari e dagli amici, che coinvolgono a loro volta altri amici, fino ad arrivare agli utenti sparsi nella rete: un sistema estremamente efficace, che sfrutta nella maggior parte dei casi la formula del ‘reward based’ (una ricompensa per ogni donazione ricevuta) e che permette soprattutto di tessere relazioni, creare una vera e propria community.
Valori importanti anche per Ulule, questi ultimi, poiché come ha specificato Tania “la cosa più importante per noi è riuscire a creare sinergie con il pubblico e le istituzioni, e per farlo ci basiamo sul training, sugli eventi e sulla partnership. Per questo oltre a Ferrara abbiamo incontrato altre venti città europee solo nel 2015”. L’azienda francese, nata cinque anni fa, si è prefissata l’obiettivo di diventare la piattaforma di riferimento per tutto il territorio continentale (più il Canada): presente in sette lingue e con oltre un milione di utenti, Ulule si è imposta sul mercato grazie al successo del 66% delle campagne promosse e a 42 milioni di euro raccolti. Tra i progetti di maggior successo spiccano quello italiano dell’artista Gipi e le sue carte da gioco fantasy, l’apertura di una grande birreria parigina, una moderna bicicletta in bambù, un casco richiudibile e un sistema per la produzione di luce non inquinante.
E la situazione del crowdfunding Italiano qual è? La Palmier, unica referente dell’azienda per il nostro Paese, spiega che il trend (positivo) ha portato “trenta milioni di euro raccolti da oltre quaranta piattaforme presenti sul territorio”, numeri confortanti se si pensa che molte altre aziende di crowdfunding sono in fase di lancio. In aggiunta, interessante è il dato delle richieste medie di finanziamento che si assesta attorno ai 3000 euro, a conferma dell’effettiva sostenibilità dello strumento alla portata di chiunque.
Se uniamo questi incoraggianti dati al fatto che, rispondendo al quesito posto all’inizio, solo una minoranza dei ragazzi presenti al seminario ha alzato la mano alla classica domanda “quanti di voi conoscevano prima il crowdfunding?”, possiamo sperare in una sempre più capillare e radicata diffusione di questa tipologia di finanziamento. Se è vero infatti che il crowdfunding non è adatto a sostenere progetti estremamente rivoluzionari in stile Silicon Valley, che richiederebbero ben altro tipo di fondi, è altrettanto vero che la sua filosofia basata su principi come la trasparenza e la sicurezza (da ricordare che tutti i soldi raccolti vengono restituiti ai proprietari in caso di campagna non andata a buon fine), unitamente alla reale possibilità di creare community in diversi settori, non può che essere un toccasana per la debole economia odierna.
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Andrea Vincenzi

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5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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