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“L’esperienza più importante che ha contribuito, io penso, a fare di me quel regista che sono – buono o cattivo non spetta a me dirlo – è l’ambiente in cui sono cresciuto, vale a dire l’ambiente borghese”.
(Michelangelo Antonioni)

Certo il ‘loro sguardo’ ha ‘ben’ modificato la storia del cinema: si parla, per non dimenticare di ricordarli, nell’11° anniversario della loro scomparsa, di due grandissimi registi – Autori a tutto tondo, per meglio dire – Antonioni e Bergman.
Il 30 luglio del 2007 ‘scelsero’ di andarsene insieme, i due europei, certo non a braccetto: in ispecie lo svedese, non amava troppo il nostro italo – ferrarese, ‘colpevole’ per lui di esser troppo pedante, giusto un film o due.
Ed invece son stati accomunati da molte cose e forse non solo dal ‘fare cinema’ che era per entrambi vivere – per parafrasare il titolo di un testo letterario antonioniano.
Quest’anno Antonioni viene ricordato a Milano per un evento non nuovo, certo, ma semisconosciuto ai più che chiuderà i battenti il 15 settembre prossimo – un evento molto particuliér ed imperdibile che si svolge tra due personalità straordinarie.
Nel contesto della Cripta di San Sepolcro, a Milano, è infatti, in visione, dopo anni dalla ‘fattura’, Lo sguardo di Michelangelo, il cortometraggio realizzato da Michelangelo Antonioni nel 2004, in collaborazione con la moglie Enrica Fico, ritenuto un po’ un suo testamento spirituale. L’iniziativa, in uno dei luoghi più suggestivi e visitati della città è curata da Giuseppe Frangi, prodotta da MilanoCard e Casa Testori, e promossa dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana. 
“La possibilità di assistere al cortometraggio di Michelangelo Antonioni sul Mosè di Michelangelo Buonarroti, offerta ai visitatori della Chiesa inferiore del Santo Sepolcro, diviene una rilevante occasione per riflettere in actu exercito ovvero nella concretezza dell’azione compiuta, sulla centralità dello sguardo” – spiega Mons. Francesco Braschi, Dottore della Biblioteca Ambrosiana.
Lo sguardo è quello, per eccellenza, quello a cui egli stesso attribuiva la genesi del suo Cinema che, attraversando la penombra della chiesa di San Pietro in Vincoli, a Roma, rimane improvvisamente immobile, come sopraffatto di fronte al Mosè, opera capitale di Michelangelo Buonarroti. La scultura, databile tra il 1513 e il 1515 e originariamente concepita per il complesso della Tomba di Papa Giulio II, rappresenta l’espressione più alta della spiritualità del marmo, capace di trasmettere all’osservatore tutta la bellezza che l’artista gli ha infuso, immutata a tutt’oggi.
I loro son due sguardi che idealmente s’incrociano, due grandi vite simboliche che meditano l’una ‘guardando’ l’altra sulla metafora dell’esistenza che scorre ma che rende comunque alcuni, come Michelangelo Antonioni per la ‘sua’ unica Settima Arte o l’altro Michelangelo, il Buonarroti, con la Sua Propria, due ‘eternità’ autentiche, imprescindibili, forse solo un tantino incomprensibili al common reader and observer / il visivo fruitore che intuirà, almeno, in tanta grandezza, il destino dell’umanità, il proprio.

Da: Maria Cristina Nascosi Sandri

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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