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12 Novembre 2015

Nessuno tocchi Abele

Tempo di lettura: 3 minuti


da: Gianni Corazza

Sono consapevole del fatto che sto per scrivere cose “politicamente scorrette” e che mi connoteranno negativamente e mi faranno perdere qualche amicizia. Un po’ mi dispiace; ma non riesco a tacere ciò che, da qualche giorno mi passa per la testa. D’altra parte, tra i miti del mio immaginario, ha sempre avuto un posto di privilegio quel bambino della fiaba che, unico tra tanti adulti fintamente ossequiosi, dice, senza alcun timore che … il re è nudo: a lui va la mia estrema fedeltà, anche se, spesso, risulta politicamente sconveniente.
La nostra è una “società civile”, fondata su solidi e, speriamo, incrollabili principi : democrazia, certezza del diritto, sacralità della vita, comprensione umana e solidarietà. Questi principi, che non possono essere disattesi, hanno radici profonde. Traggono linfa da epoche ed avvenimenti storici, culturali e/o religiosi fondamentali per l’uomo e la sua vita (la carità e il perdono cristiani, l’illuminismo, i principi del diritto ispirati a Beccaria, il materialismo storico, e molto altro ancora).
Se non fossimo espressione di questa “società civile”, se fossimo incivili ed insensibili alla complessità delle cose sociali, potremmo dire, dopo gli ennesimi (ma certamente non ultimi) episodi di brutale violenza nei confronti di persone inermi verificatisi qualche giorno fa a Renazzo e poco tempo prima ad Aguscello, che gli autori di queste barbarie dovrebbero essere, quanto prima, appesi per il collo a qualche alto pennone. Se poi non vivessimo in questa “civile società” ciò potrebbe essere non solo pensato o detto ma anche fatto; non appena accertata la colpevolezza. Tutt’al più si potrebbe riservare a questi barbari criminali un trattamento a carcere duro per il resto della loro vita (senza possibilità di sconti di sorta).
Cioè: se non fossimo condizionati dalla nostra cultura della tolleranza e della comprensione umana, sarebbe possibile cercare di arginare la crudeltà sanguinaria verso gli inermi o, quantomeno, non lasciare impuniti gli autori di efferate violenze! Viene da pensare che, la nostra società impedendoci, di fatto, di tutelare efficacemente i deboli, tanto “civile” poi non è! Nell’ambito della delinquenza e del delitto la nostra organizzazione sociale agisce, di fatto, come un Robin Hood alla rovescia: tutela i criminali a danno dei deboli e degli inermi.
Peraltro questo paradosso viene tranquillamente formalizzato, quando non addirittura istituzionalizzato. Esiste ed opera l’associazione “Nessuno tocchi Caino” che si preoccupa dell’abolizione della pena di morte nel mondo e, di fatto, della tutela dei criminali. Nel nostro Paese, codice penale e di procedura penale, regolamenti carcerari, amnistie ed indulti assicurano ai colpevoli garanzie, tutele ed impunità che le vittime dei reati non hanno.
Probabilmente non sarà civile e non corrisponderà ai valori di tolleranza e umanità che connotano il nostro mondo e il nostro tempo; probabilmente sto confondendo “giustizia e vendetta” (come direbbero i civilissimi membri di “Nessuno tocchi Caino”) ma io sento prepotente l’esigenza di dire basta!; sento prepotente l’esigenza di dire che Caino voglio appenderlo per il collo e che, invece, nessuno può più azzardarsi a toccare Abele e chi lo farà dovrà sopportarne le conseguenze più estreme (si tratti di vendetta o di giustizia: come si vuole). Oggi la nostra civiltà è, di fatto, in guerra: contro la sopraffazione, la violenza e la brutalità. Siamo in guerra e in prima linea ci sono i cittadini più deboli (pensionati, disabili, persone sole). Siamo in guerra e non possiamo preoccuparci di essere civili, tolleranti e ipergarantisti; in guerra non si va con l’abito da sera né ci si porta appresso un pezzo di biblioteca. Non possiamo continuare a far finta che le barbarie che si verificano sempre più spesso siano episodiche ed accidentali: il nostro “mondo globalizzato” ha creato tutti i presupposti perché violenza e sopraffazione siano la “normalità” e aumentino giorno dopo giorno. Ignorare ciò significa rendersi , se non complici dei barbari, colpevoli di favoreggiamento.
Credo che ci sia l’esigenza di un forte movimento di opinione ed azione che vada oltre l’espressione di indignazione e trovi gli strumenti per divenire ineludibile interlocutore delle istituzioni. E’ tempo di pretendere, in ogni luogo ed ogni occasione in cui ciò è possibile, una profonda ed urgente revisione delle regole della giustizia e del funzionamento della magistratura. Cominciamo ad organizzarci per essere operativi.
Gianni Corazza

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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