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Il mare, come la montagna, è l’inizio e la fine di tutto. E mentre la montagna ci permette lo sguardo al cielo, elevandoci alla spiritualità più intensa, il mare ci accosta alla ciclicità della vita e della morte, proprio come le onde che avanzano inarrestabili per infrangersi e poi riproporsi. Il mare attira, affascina, incute paura o rispetto, calma, inquietudine, serenità, perché è il tutto e il contrario di tutto. Ci nutre, ci lega, suscita i pensieri più diversi e ci conduce ad accostamenti e interpretazioni che hanno attraversato la storia dell’umanità.
Talete scriveva che il principio del mondo e della vita in generale sta nell’acqua e il suo discepolo, Anassimandro affermava che l’uomo trae origine dal pesce. Kant indicava metaforicamente il paese della verità in un’isola circondata da un minaccioso e tumultuoso oceano, simbolo dell’apparenza. Nietzsche vedeva le onde come paragone della volontà umana mossa da bramosia e cupidigia, mentre il taoista Lao Tse riconosceva l’indomabile e implacabile potere dell’acqua, capace di corrodere col tempo la roccia più dura. Per Euripide l’elemento marino è forza catartica purificatrice e lava tutto il male umano. Per la medicina inglese del Settecento, il bagno in mare era addirittura il rimedio consigliato per i mali di natura fisica come la rabbia e la sifilide.

Ma non c’è nessuna speculazione filosofica sofisticata nel pensiero e nell’idea del mare di alcuni ragazzi disabili che hanno manifestato la volontà di vedere l’oceano, partendo dall’Italia e recandosi fino in Francia. L’Oceano Atlantico ha solleticato la fantasia e il desiderio intenso di raggiungerlo e viverlo di Michele, Samuele, Laura, Matteo, Lorena, Anna, Luca, Andrea, i giovani ospiti della Cooperativa L’Eco Papa Giovanni XXIII di Carmignano di Brenta (Padova): un sogno che si è realizzato macinando chilometri e chilometri con camper e pulmino fino a Bordeaux, così, on the road. Trovarsi al cospetto dell’oceano non è stato solo l’arrivo alla meta agognata e la conclusione di un progetto preparato nel dettaglio con i loro validi operatori, ma è stata soprattutto l’affermazione di quel “Io valgo e anch’io ce la posso fare” per ciascuno dei giovani viaggiatori. Hanno piantato sulla riva una bandiera, simbolo di grande conquista personale e hanno vissuto quel momento con la gioia che solo la concretizzazione di un sogno offre.

Non hanno sicuramente formulato teorie filosofiche particolari nemmeno coloro che il mare l’hanno attraversato su un gommone da migranti, partendo dal Marocco alla volta della Spagna, alla mercè dello scafista guineano Oumar Diallo che si era fatto pagare 2.500 euro da ogni passeggero e che ha tagliato la testa a un giovane imbarcato, gettandola in acqua, tenendo il resto del corpo a bordo per 45 minuti, sotto gli occhi di tutti gli altri. Il motivo dell’atroce gesto sta in quel succo sottratto al trafficante, bevuto per la sete disperata accumulata negli oltre 200 chilometri in acqua, sotto il sole a picco.

Il mare amico-nemico, accogliente-pericoloso, speranza-disillusione, possibilità-condanna. In letteratura, l’Odissea rappresenta il viaggio dei viaggi per mare, quello che offre tutte le sfaccettature dell’elemento mare. Nel capolavoro di Stevenson ‘L’isola del tesoro’ (1883), il mare scatena l’immaginario popolare con mappe, golette, saccheggi, malvagi mendicanti e loschi individui, ciurme rivoltose, vecchie taverne di porto, anziani pescatori e pappagalli parlanti. Tra le pagine c’è il sapore dell’oceano e di un’isola che non compare in nessuna carta geografica. In ‘Ventimila leghe sotto i mari’ (1870), di Verne, il mare nasconde l’impensabile; mostri marini e presenza umana dotata di tecnologia fantascientifica, impensabile all’epoca, si scontrano e si affrontano nell’immensa massa scura. Anche Poe ci lascia la sua inquietante descrizione del mare nel racconto del 1841, ‘Una discesa nel Maelstrȍm’. Un gruppo di pescatori norvegesi si imbatte in una violenta tempesta. Un immenso vortice chiamato appunto Maelstrȍm impedisce loro la fuga e l’enorme abisso li inghiotte, catturando la barca e scaraventandola sul fondo. Uno solo di loro si salva, aggrappato a un barile finchè l’abisso non si chiude. Arriverà a riva trascinato dalla corrente, cambiato irreversibilmente nel corpo e nella psiche, invecchiato precocemente. In ‘Il mare’ di John Banville del 2005, Max Morden, storico dell’arte in fuga dai fantasmi di un lutto, arriva nella località balneare della sua infanzia sperando in modo illusorio di ritrovare se stesso attraverso i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza. Pagine di segreti, cose sepolte, ricordi sopiti, interrogativi e risposte mai date. Il mare accompagna le fasi della vita di Morden e assiste impietoso alle fragilità umane, agli spettri della memoria che a volte sostituiscono la vita e il presente. Sullo sfondo, l’oceano irlandese a volte calmo, altre gonfio di onde giganti: “Una fluida marea che pareva venire dagli abissi, come se laggiù qualcosa di immenso fosse mosso: nient’altro che una delle tante, indifferenti scrollate di spalle del vasto mondo”. E ancora il mare riempie le pagine di ‘Il libro del mare‘ (2017), di M. A. Strøksnes in cui l’autore scrive di due amici a pesca dello squalo della Groenlandia, al largo delle isole Lofoten a nord della Norvegia. L’elemento dominante indiscusso è il Mare del Nord e le sue battaglie meteorologiche, ma anche tutti gli altri mari, le misteriose creature che vi abitano, i colori distorti, le sfumature, la mente sgombra, i suoni ovattati che sembrano arrivare da ogni dove, perfino gli odori, l’odore di putrefazione dell’impianto di trasformazione Deception Bay, la distruzione delle barriere coralline a causa della pesca a strascico. Pagine che trasudano l’immenso amore per il mare, a volte romanzo, altre documentario. “Il nostro pianeta non dovrebbe chiamarsi Terra: dovrebbe chiamarsi Mare, occupato da oltre il 70% dall’acqua” scrive l’autore. Il mare è necessità, divertimento, sfida, opportunità, immensa risorsa, luogo di incommensurabile mistero e conoscenza. E come scrive Baricco: “E’ qualcosa da cui non puoi scappare. Il mare… Ma soprattutto: il mare chiama… Non smette mai, ti entra dentro, ce l’hai addosso, è te che vuole. Puoi anche far finta di niente, ma non serve. Continuerà a chiamarti, senza spiegare nulla, senza dirti dove, ci sarà sempre un mare che ti chiamerà.”

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

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Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

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Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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