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In questi momenti, per un tedesco parlare dell’Italia come attrazione non è davvero facile; ma io, nonostante tutti i problemi politici ed economici, nonostante i rapporti ufficiali e non ufficiali fra i due Paesi, non ho perso la voglia di essere fedele ad un forse troppo vecchio amore o, almeno, alla grande simpatia che mi lega all’Italia.

Nie Italienisch lernen
Eine Sprache, die klingt
als brächte sie einen besseren
Menschen hervor.
Blau sind die Worte und meergrün,
und in jedem O
steckt eine leuchtende Orange.
Ich bin nicht unterwegs,
um mich vor Illusionen zu hüten.
Ich bevorzuge Menschen,
die ich nur mangelhaft verstehe.
Fehldeutungen,
eine schöner als die andere
auf der Ebene der Arien
Rainer Malkowski

Mai imparar l’italiano
Una lingua che suona / come se generasse / un uomo migliore. / Blu e verde acqua son le parole / e in ogni O / luminoso un frutto si nasconde. / Non erro / per proteggermi dalle illusioni. / Preferisco persone / che limitatamente solo comprendo. / Incomprensioni, / una più bella dell’altra / quasi fossero arie musicali.
(Traduzione di Laura Melara Dürbeck)

Per un tedesco, tutta l’attrazione per l’Italia si trova dentro questa poesia: la meravigliosa e sensuale lingua italiana, il paese dei sogni, delle illusioni, dell’opera lirica. Ma da anni, e da tedesco, ho imparato anche che un tedesco non capisce veramente tutto e in tutti i sensi dell’Italia e degli Italiani.
Ci sono sempre pregiudizi, diagnosi sbagliate, equivoci. Molto simili a quanto lo scrittore Malkowski ha espresso in questa  poesia e, decenni prima di lui, hanno scritto tre filosofi tedeschi che ho stimato sempre molto.
“Quando un tedesco entra Italia  fa quasi sempre un ‘ingresso falso’. Ha desideri ed immagini storti o almeno troppo unilaterali. Cosi non puo vedere la vita reale nel paese e capisce niente o quasi niente del paese italiano. Il paese sembra  poroso e allo stesso tempo chiuso. Tutto sembra possibile ed insieme impossibile…”. Cosi il filosofo tedesco Ernst Bloch in un testo scritto 1925.
Quasi identico ad una frase di Walter Benjamin, un altro intellettuale tedesco di quell epoca pre-fascista: “l’Italia è il paese della porosità, dell’ indolenza e della passione per l’improvvisazione.“.
Alfred Sohn-Rethel, anche lui un filosofo vicino  alla Scuola di Francoforte,  ha scritto nel  1926 un breve saggio a Napoli titolato “Das Ideal des Kaputten“ (L’ideale del kaputt). “Un Napoletano – scriveva Sohn-Rethel – si interessa ad  una cosa tecnica solo quando è rotta. Una riparazione finale per un Napolitano è una cosa orrenda, impensabile…“.

Cosi abbiamo già un bell’ inizio per una conversazione sull’attrazione per un altro paese; così un tedesco può amare (e anche temere) la cultura italiana per la sua porosità, la sua imprevedibilità, la sua passione per l’improvvisazione e la sua forse involontaria capacità di riparare cose rotte. Tutto quello che per un tedesco, per un teutonico puro, assolutamente non rappresenta nulla in generale. Forse è solo un pregiudizio ma non credo perché io, tedesco, mi conosco molto bene. E, forse, proprio per la sua porosità l’Italia sembra cosi attraente per un tedesco.

Per non generalizzare troppo non parlo di un tedesco qualsiasi ma di me.
Sono nato 1950 nella parte estrema del nordovest tedesco, dove la terra è pianeggiante e costellata da fattorie. Almeno era cosi sessant’ anni fa. La mia infanzia ha odorato di stallatico. Al centro del nostro villaggio c’era ancora un fabbro che ferrava i cavalli. Nei miei ricordi d’infanzia si sente un po’ il profumo del primo Novecento ma sopratutto la puzza del nazismo finito solo cinque anni prima.
Tutto era molto semplice, provinciale, e soprattutto, molto chiuso verso il mondo. Dell’Italia si sapeva solo che la capitale era Roma e che il Papa viveva in Vaticano. Il Papa di allora, Pio XII. aveva una grande autorità nel mio ambiente familiare. E questa autorità parlava Italiano o Latino ma non tedesco. La regione dove ho trascorso l’infanzia era molto cattolica, quasi una Bassa Padana ai tempi di Don Camillo, ma senza Peppone.

Del resto, in quella parte della Germania del Nord Ovest è nato anche  Rolf Dieter Brinkmann, un poeta del cosiddetto Underground of the sixtees che ha scritto un acceso attacco alla cultura italiana titolato Rom, Blicke (Roma, sguardi).
Il mio punto di vista sull’Italia invece è stato, grazie a mia mamma, sempre opposto a quello critico di Brinkmann. Devo ringraziare mia madre se per l’Italia, con la sua storia, arte e cultura, ho  avuto fin dal primo momento una grande attrazione, viva ancora oggi, seppure un po’ meno forte.
All’inizio degli anni ’30 mia madre frequentò, assieme ad alcune sue amiche, una scuola cattolica di economia domestica a Vicarello, un  paesino sul lago di Bracciano. Da allora ha fatto spessissimo riferimento a quel periodo trascorso in quello sconosciuto Sud, un periodo che deve essere stato per lei felice, almeno a vedere le foto-ricordo e a sentire i racconti di quei mesi trascorsi così lontano!
Molte vicende della sua vita sono state certamente tristi, e solo raccontando la sua permanenza di tanti anni prima sul lago di Bracciano si leggeva la gioia sul suo volto: quell’esperienza tanto lontana nel tempo aveva  costituito per lei una sorta di ‘speranza di felicità’.
Forse quella speranza di felicità era anche per lei (e anche per me) un’ illusione, una attrazione costruita sulle sabbie mobili, uno di quegli ingressi falsi e porosi per entrare nel paese Italia.
Oggi lei non vive più, e io ho ricevuto da lei quella ’eredità italiana’: non è una eredità pesante ma di valore.

L’attrazione per l’Italia c’e ancora ma ha perso non poco di quella speranza di felicità’ (che non sono solo i beni culturali dell’Italia ma dell’Europa, di più, del mondo ), una speranza tradita dal livello bassissimo di tante trasmissioni televisive, dal consumismo come una nuova religione eccetera. Certo, e lo devo sottolineare, non sono fenomeni solo ‘all’italiana’: esistono più o meno forti anche negli altri paesi europei, anche nella mia Germania apparentemente cosi sana, pulita, ben ordinata, senza corruzione.
Antonella conosce benissimo la Germania, la sua attrazione per gli italiani, ma anche le sue ombre e debolezze. Dalla sua La deutsche Vita ho imparato moltissimo sul  mio paese d’origine; ma talvolta leggendo il suo  libro mi sono chiesto se Antonella abbia scritto un libro sulla Germania o sulla stessa Italia. Ecco ad esempio cosa scrive: “Perché è proprio il non piacersi, l’essere ipercritici con se se stessi uno dei tratti che più mi hanno colpito  del carattere nazionale di questo paese. La mia amica Susanne attribuisce  persino a questa scarsa benevolenza verso se stessi la ragione per cui sempre meno tedeschi sono disposti a riprodursi. Una specie di istinto culturale all’estinzione“.
Ma torno a me e il mio rapporto con Italia, la Heimat o l’Ex-Heimat o la Non-Heimat di Antonella…
Sono entrato in Italia col ‘vento rosso’ degli anni  Sessanta e Settanta. Ad Hannover, dove ho studiato abbiamo cantato durante le manifestazione politiche  canzoni antifasciste come Bella Ciao a Bandiera rossa. Abbiamo letto i primi libri di Massimo Cacciari e di Rossana Rossanda sulla Classe operaia in lotta. Per me personalmente i cattolici di sinistra come Don Enzo Mazzi a Firenze, Dom Giovanni Franzoni a Roma o Don Lorenzo Milani a Barbiana erano molto interessanti e stimolanti. Sandro Pertini è stato idealmente per me il nonno che avrei desiderato, Giorgio Bassani non è stato il padre preferito – per carità – ma sicuramente  uno scrittore che ho molto stimato.
Il suo Romanzo di Ferrara mi ha così profondamente colpito che, appena ne ho avuto la possibilità, ho acquistato a Ferrara un piccolo appartamento in un palazzo dentro la Mura. Da tredici anni sono molto legato alla città estense dove spesso sento un po’ del profumo e della luce  della mia infanzia.
Anche noi in Bassa Sassonia abbiamo avuto la nebbia autunnale. Anche da noi il paesaggio era un po’ simile a quello sul Po: basso, senza colline e con tante nuvole verso l’orizzonte. Questo era il paesaggio della mia infanzia e della mia gioventù.

la bici era per noi il mezzo principale per muoversi. La Chiesa era nel centro del Paese e delle piccole città. Ma attraverso i nostri amici ferraresi ho scoperto anche una cultura borghese che in Germania, dopo il fascismo, era quasi del tutto sparita: liberale e di sinistra e antifascista, quella che Mario Pannunzio, il fondatore de L’espresso ha definito: “progressista in politica, conservatrice in economia, reazionaria in costume“.  Anche per il mio impegno civile di oggi ho imparato molto dalla esperienza azionista d’allora, del Dopoguerra.

La cultura politica italiana ha avuto e ancora suscita in me una certa attrazione, nonostante i fenomeni oscuri ‘all’italiana’, molto conosciuti in tutto il mondo. Cito solo una forza importante, la presenza di un forte volontariato, proprio dentro la crisi della democrazia rappresentativa e del cosiddetto Welfare State: forse il volontariato è politicamente un po’ incerto ma ha una grande volontà di fare qualcosa, sia a livello locale sia a livello mondiale. Per questo la forte presenza degli italiani negli NGO-Networks in tutto il mondo è un segno significativo e confortante.

Ma forse anch’io sbaglio in tutto…
Non erro
per proteggermi dalle illusioni.
Preferisco persone
che limitatamente solo comprendo.
Incomprensioni,
una più bella dell’altra
quasi fossero arie musicali…

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Carl Wilhelm Macke

È nato nel 1950 a Cloppenburg in Bassa Sassonia nel nord-ovest della Germania. Oggi vive a Monaco di Baviera e il piu possibile anche a Ferrara. Lavora come scrittore e giornalista. E’ Segretario generale della rete globale “Giornalisti aiutano Giornalisti (www.journalistenhelfen.org) in zone di guerra e di crisi, e curatore dell’antologia “Bologna e l’Emilia Romagna”, Berlino, 2009. Amante della pianura.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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