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Stairway To Heaven (Led Zeppelin, 1971)

Un vento gelido e tagliente mi frustava la faccia, mentre il frastuono delle onde che sbattevano contro i pilastri del ponte e contro gli enormi massi frangiflutti sottostanti copriva gli ululati strazianti del mio cane: lui aveva già capito tutto.
Respirando a pieni polmoni l’aria della baia, migliaia di minuscole goccioline che il vento faceva risalire dalle creste spumose delle onde lasciavano un sapore salato in bocca e un odore salmastro tutt’intorno.
Mi voltai indietro e lo guardai un’ultima volta, appoggiai una mano sul finestrino e salutai il mio giovane e forte compagno di solitudine. Vidi nei suoi occhi la disperazione dell’abbandono, abbaiava e grattava forsennatamente il vetro del finestrino.
Quella scena aggiunse ulteriore pena al dolore che mi tormentava l’anima. La convinzione che avrebbe comunque trovato una buona sistemazione, grazie alle indicazioni che avevo lasciato scritte in un foglio piegato e riposto nel bauletto del cruscotto, m’aiutò ad alleviare quell’ennesimo, ultimo dispiacere.
Poi un vortice di sensazioni fisiche, violente e sovrapposte, m’allontanò finalmente da quella realtà.
Nessuna bottiglia di vino e nessuna droga avrebbero potuto regalarmi ciò che la natura impazzita fuori e dentro di me stava per offrirmi.
Il tormento si era tramutato in ebbrezza, il gelo e l’umidità sulla pelle erano penetrati nella carne fino a lambire le ossa, e attenuavano quell’insopportabile bruciore dell’anima. Ogni elemento contribuiva al mio sollievo e mi cullava verso il più completo abbandono.
Poi tutto cominciò a oscillare e il buio, l’aria fredda e gli odori del mare si mescolarono avvolgendomi completamente.
Per un momento ebbi l’esatta sensazione di non avere più alcun peso. Il piano dell’orizzonte era scomparso e ora galleggiavo nello spazio, diretto non so dove.
Era forse l’inizio del viaggio che mi avrebbe riportato verso un’insperata felicità?
Fuggire per sempre dalle pene che avevano reso la mia vita un deserto arido e sterile. Questo stavo facendo.
O forse mi stavo sbagliando di nuovo? Forse, per un secondo, avrei vissuto un’altra illusione?
Stavolta era diverso. Stavo correndo da lei e avrei raggiunto il luogo del nostro primo incontro, poi il primo bacio: River Bay. Era laggiù, e mi stava aspettando per ricominciare.
Poi, all’improvviso, tutto si spense.

L’euforia, la speranza che per un attimo era tornata a illuminare la notte e la mia stessa anima, il suo viso che mi sorrideva, tutto. Tutto quanto terminò in un tonfo sordo e tremendo.
Fu come l’esplosione di una bomba: confusione e delirio assoluti.

La morte non era così semplice dopo tutto, non lo era affatto!

Stairway To Heaven (tributo live ai Led Zeppelin del 2012)

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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