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di Alessandra Zagatti

A Michele Placido – e a Moni Ovadia – per il bene del Teatro della nostra città, auguro sinceramente buon lavoro. E anche al nuovo Consiglio di amministrazione.
Per settimane abbiamo assistito ad uno spettacolo pirotecnico di nomi celebri, tutti maschili, che entravano ed uscivano.
Leggo ora che il Cda dovrebbe essere di 7 membri, a differenza di tutti qulli che lo hanno preceduto dalla nascita della Fondazione . Se non erro dovranno cambiare anche lo Statuto che prevede 4 membri oltre al Presidente. I posti sono evidentemente troppo pochi per “far spazio” almeno a due donne.

Per il Consiglio di amministrazione della Fondazione non servono i bei nomi per dare “lustro” ma nomine durature , di persone che si assumano responsabilità finanziarie , a volte anche penali, come per la sicurezza sul lavoro- e che non confondano il loro ruolo con quello dei direttori artistici. I direttori fanno le proposte artistiche, il Consiglio di amministrazione deve valutare se sono coerenti con gli indirizzi di politica culturale che si è dato e se sono compatibili con il bilancio.
Non è un dettaglio burocratico perché collaborare fra i due organi va molto bene ma confonderne i ruoli no e a mio parere di tale confusione , con i possibili conseguenti conflitti, si stanno gettando le basi. Ed è una confusione che si accentuerebbe se direttori artistici o consiglieri di amministrazione diventassero produttori o coproduttori dei loro stessi spettacoli.
Non mi interessa fare polemiche e non conosco personalmente il Sindaco Fabbri ma mi ha colpito la sua frase, un po’ greve, “Noi ai trombati della politica abbiamo preferito Ovadia e Placido“ e ancora : “Prima della nostra Amministrazione il Teatro Comunale aveva solo uomini del PD locale che cercavano di gestire la macchina”.

Sig. Sindaco, mi consenta di osservare che se tutte le celebrità’ che avete interpellato , che abbiano poi accettato o meno, si sono dette onorate della proposta è perchè il Teatro Comunale Claudio Abbado il prestigio ce l’ha da decenni e non solo dalle ultime elezioni
Prima di voi, Sig. Sindaco, i Consigli di amministrazione del Teatro erano formati da uomini e donne – e sottolineo donne- che non avevano i nomi celebri che, sia chiaro, io ben apprezzo per le direzioni artistiche, ma avevano alcune caratteristiche : esperienze importanti di governo, competenza amministrativa e giuridica, profondo legame con la vita culturale della città.
Non farò nomi , ma se il Teatro di Ferrara ha sempre avuto il bilancio in pareggio e mai un giorno di sciopero anche quando in tutta Italia saltavano le Prime e se ha gestito senza traumi il delicato passaggio da Istituzione a Fondazione è perché tra i suoi membri ha avuto anche professionisti ferraresi , disinteressati, di indiscussa autorevolezza giuridico-amministrativa. E se il Teatro Comunale di Ferrara realizzò molti eventi artistici nel segno di una coraggiosa contemporaneità e non solo della certo meno rischiosa tradizione, è perché , ed è l’unico nome che faccio, nel CdA c’erano persone come il non dimenticabile Franco Farina , che diedero sostegno a proposte innovative della direzione artistica. Perchè questo è quello che devono fare i Consigli di amministrazione.
Il Teatro Comunale di Ferrara negli anni più recenti è diventato una Fondazione con una sua autonomia ma deve continuare ad essere un Teatro orgogliosamente pubblico, governato in modo trasparente , finendola con ormai stucchevoli narcisismi, e senza opache confusioni di ruoli ed interessi che creano disagio ed interrogativi in una parte dell’opinione pubblica.

Alessandra Zagatti – Presidente del Teatro Comunale di Ferrara Claudio Abbado dal 1995 al 2009

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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