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LA FERRARA CHE VORREI

Ferrara e la costruzione di una rete di città

La Ferrara che vorrei è una città che inizia il suo racconto affermando che la sua intenzione non è di competere ma di cooperare con le città che gli stanno vicino, con il suo territorio e con le città del mondo, dalle quali ha molto da imparare e qualche cosa da dare.

È una città, quella che vorrei, che mi consente di muovermi utilizzando il trasporto pubblico, sia al suo interno, sia per raggiungere le città vicine, senza dover prendere l’automobile. Potremmo quindi fermarci di costruire strade ad alta velocità e autostrade, ponti, tunnel, parcheggi. Da questo punto di vista siamo già molto infrastrutturati e i denari che risparmiamo, utilizzarli per costruire tram e linee di trasporto metropolitano tra le città.

Da anni si parla di corridoi infrastrutturali europei, questi hanno lo scopo di mettere in relazioni le grandi polarità urbane e subregionali del territorio europeo e di norma intrecciano strade, ferrovie, trasporto metropolitano, ma quando si arriva da noi il dibattito si concentra solo sulla Cispadana e sulla terza corsia dell’A13 (e il passante bolognese), quindi, su strade.

Ma l’UE punta a trasferire su ferro il 30% del trasporto merci su distanze superiori a 300 km e il 50% entro il 2050, questo non dovrebbe spostare l’attenzione sul potenziamento della rete del ferro? Non corriamo il rischio di cantierare nei prossimi anni interventi nati già vecchi? Il mondo più avanzato sta andando in altra direzione, o meglio colloca l’adeguamento della rete stradale dentro una strategia incentrata su ferrovia e metropolitane, ma da noi di questo non se ne parla nemmeno.

Si potrebbe iniziare a parlarne, caso mai rileggendo criticamente il Progetto 80, o le idee di Città-Regione, di cui tanto si parlava negli anni Sessanta e Settanta senza arrivare a nulla, mentre gli olandesi realizzavano la regione metropolitana conosciuta come Randstadt Holland, puntando su treni infraurbani, metropolitane, linee di tram e circuiti estesi di percorsi ciclabili.

È necessario un piccolo sforzo: aprire dei tavoli di confronto e concertazione con le città vicine e con la regione (e con lo stato e l’UE) perché abbiamo bisogno di pianificazione e di strategie condivise (e non solo di gestione delle emergenze).

Ferrara, distretto della conoscenza

Vorrei una città che non sia costretta, per dinamizzare la sua economia, a ricorrere solo alle zone franche urbane (ZFU). Se si realizzeranno le condizioni per attuarle lo si farà, ma bisogna essere consapevoli che il mondo è pieno di zone dove un’impresa può insediarsi spendendo meno, trovando una tassazione o un costo della manodopera più bassa quindi, questo non può essere il motivo trainante di una strategia.

È la qualità del contesto politico, culturale, istituzionale di una città e di una regione urbana che fa la differenza. Gli investimenti di qualità, ad alto valore aggiunto hanno bisogno di ambienti di vita ad alta qualità sociale, di alta scolarità, di luoghi dove sviluppare innovazione, perché vi sono istituzioni attive nella ricerca. Perché le culture si intrecciano arricchendosi l’un l’altra e pure le città, anche economicamente.

Vorrei che Ferrara si distinguesse per essere una città che non esalta la ricerca dei “talenti” o delle competenze. Queste arriveranno certamente se il nostro sistema educativo e formativo si orienterà verso la formazione di cittadini con una diffusa capacità critica nell’acquisizione di competenze.

Le “teste” vanno ben formate (criticamente) e non ben riempite e prima della “competenza” viene la “conoscenza”. L’uso pedissequo di parole come “competizione”, “talenti”, è ciò di cui non abbiamo bisogno, se non vogliamo aumentare le ansie di prestazione per giovani che già vivono quelle ecologiche.

Vorrei che Ferrara diventasse una città della innovazione consapevole e solidale, perché l’innovazione da sola, così come la scienza, non portano con sé progresso, se non accompagnati da regole precise e principi etici. La scienza ha prodotto anche i campi di sterminio, la bomba atomica e la crisi ecologica del pianeta. Vorrei quindi che Ferrara diventasse un luogo di incontro tra scienza, cultura ed etica.

Vorrei che Ferrara insieme a Bologna, Modena e le altre città della regione desse vita ad un “distretto della conoscenza” visto che in 100 chilometri in linea d’aria abbiamo tre storiche università, creando sinergie tra laboratori, enti di ricerca e imprese, dando vita a spin-off, sostenendone lo sviluppo. Quindi non solo una valley dove si mangia e si va veloci in automobile e motocicletta.

Ferrara: per una rete storica di città. Recupero delle aree dismesse e un treno che unisce

Vorrei che Mantova-Ferrara-Ravenna fossero unite da un treno unico, diretto, in grado di supportare progetti culturali che accomunano tre città patrimonio Unesco e analogamente con Bologna e Modena e tra Bologna-Ferrara e il Parco del Delta del Po.

Vorrei anche che l’aeroporto di Bologna fosse l’aeroporto della regione e non solo del suo capoluogo. Vorrei insomma godere del privilegio di vivere in una rete storica di città, muovendomi da una all’altra, di giorno e di notte, senza essere costretto a prendere l’automobile.

Vorrei una città che blocca l’espansione, quindi la cementificazione e l’asfaltizzazione, perché è in grado di riorganizzarsi con quello che già ha, recuperando le sue aree dismesse, il suo patrimonio abitativo pubblico, le sue aree industriali, artigianali o commerciali abbandonate o sottoutilizzate.

Potremmo recuperare gli edifici che ci servono, altri demolirli e poi, perché un’area artigianale, o degli uffici non posso essere dentro un’area verde, anziché essere circondata da grandi superfici di asfalto. Abbiamo tanti edifici anche storici vuoti o sottoutilizzati, perché non recuperarli per usi civici e culturali.

In questi ultimi anni ci siamo riuniti spesso per degli incontri pubblici in una chiesa offerta gratuitamente ad una associazione di cittadini. La nostra città è piena di luoghi di questo tipo perché non usarli? Dobbiamo pensare ai nostri edifici in maniera più multifunzionale, avendo molti edifici e spazi sottoutilizzati.

Un esempio, vorrei che l’ex chiesa di Sant’Apollonia, di proprietà del Museo di Spina, che gli sta di fianco, fosse restaurata per diventare un luogo pubblico culturale. Siamo in fondo una città di uno dei paesi più ricchi del mondo.

Vorrei riscaldarmi e illuminare le mie serate grazie all’elettricità fornitami dalla comunità energetica che il mio comune ha istituito in tutto il territorio.

Ferrara, città solidale e ospitale

Vorrei incontrare in un ufficio pubblico, o in un laboratorio di ricerca, o in una struttura sanitaria a Ferrara giovani laureati e tecnici venuti da paesi stranieri per lavorare a Ferrara, non perché sono emigrati, ma perché hanno trovato qui da noi delle buone condizioni di lavoro e una bella città che li ospita. Come mi capita quando vado nelle università europee, negli uffici di comuni come Amsterdam o Lione, o in laboratori e istituzioni europee, dove trovo tante italiane e italiani che però, ahimè, sono scappati dal nostro paese alla ricerca di un lavoro appagante.

Vorrei che il tema del fabbisogno abitativo venisse affrontato con politiche pubbliche e non solo in termini di detassazione per i privati, anche perché esistono già misure come il canone calmierato e la cedolare secca, che però non vengono sfruttate a dovere, perché gli affitti brevi fanno più comodo. L’emergenza casa non si affronta senza un intervento pubblico, Bologna lo sta facendo, Vienna e Amsterdam lo fanno dagli anni ’20 del secolo scorso.

Sottovalutando il problema, il rischio è che anche a Ferrara si creino delle tensioni tra chi cerca alloggi in locazione, chi li cercherebbe se potesse pagare l’affitto e le esigenze abitative degli studenti. Nel paese la mancanza di una strategia (e quindi di risorse) per la casa e per il diritto allo studio è stata confermata dal disimpegno su questi temi del PNRR, con alcune limitate esperienze come Napoli, dove si sono avviati dei progetti di rigenerazione insieme ad associazioni, comitati e cittadini promossi dal comune, coinvolgendo anche l’Università.

Vorrei che Ferrara fosse una città solidale e ospitale per tante persone che fuggono da situazioni di conflitto e di povertà e che portano tante storie da condividere con noi, rafforzandone il carattere di città del mondo, ma vorrei anche che non si dimenticasse di chi se ne andò.

E la vorrei solidale e ospitale non per spirito caritatevole, ma per volontà politica, perché solo così si lotta contro le diseguaglianze.

Vorrei che la cultura del cibo della nostra città si mescolasse, facendo emergere le tante culture gastronomiche che convivono con la nostra tradizione. Vorrei cenare a Ferrara in un vero ristorante marocchino o tunisino o libanese o africano, mentre nelle nostre biblioteche, librerie, circoli culturali si promuove la conoscenza di altre culture artistiche, letterarie senza nascondere conflitti e problemi, ma affrontandoli laicamente.

Ferrara, un ecosistema urbano per una città-parco

Vorrei vedere anche attraverso una grata di metallo i tanti cortili e giardini interni, di cui sento parlare da sempre, ma che non ho mai visto, perché i portoni sono chiusi, come il cortile di Palazzo Varano-Dotti in via Montebello. Spazi interni che vengono comunicati al mondo come luoghi straordinari, ma che nessun turista vede, perché non esistono dei circuiti dei cortili e dei giardini gestiti attraverso una convenzione tra comune e privati.

Vorrei vedere, passando da via Savonarola, il cortile di Casa Romei con il portone aperto e non semichiuso cosi come vorrei che il giardino del Museo archeologico fosse aperto al pubblico gratuitamente, è in fondo un bene di tutti. Vorrei che i cortili di Sant’Antonio in Polesine diventassero dei giardini pubblici, così come tante aree verdi della città, pubbliche o di grandi proprietà, che attraverso apposite convenzioni possano essere fruibili o visitabili.

Vorrei insomma che Ferrara diventasse una città parco e una città paesaggio, senza ricorrere a immagini bucoliche o nostalgiche. Lo vorrei come progetto politico incentrato sull’idea di Ferrara come ecosistema urbano. Dunque, una strategia realistica, di cui il verde costituisce una componente fondamentale, non l’unica, fondata sulla condivisione di obiettivi, quali il contrasto ai cambiamenti climatici, la valorizzazione di un patrimonio sia culturale che naturale, l’importanza data alla biodiversità, educando alla conoscenza delle altre specie viventi, il riconoscimento di un valore etico, perché la città-parco deve esserlo per tutti.

Vorrei insomma che Ferrara si trasformasse in un sistema antropico e vegetale complesso, dove gli spazi di cultura e di natura si intrecciano, mentre la vegetazione urbana si articola in varie forme: trame, parchi, giardini, viali alberati, piazze verdi cercando di “naturalizzare” una superficie equivalente a quella oggi costruita.

Entrando nel parco urbano a nord e in futuro anche a sud vorrei essere colpito dalla sua complessità e varietà. Innanzitutto, passando a fianco delle masse forestali, ricche di sottobosco, che lo caratterizzano, giustamente non accessibili per me. Seguendo i sentieri che guidano il mio percorso vorrei poi attraversare prati e radure che creano viste e prospettive caratterizzate da tappeti erbosi e prati fioriti con alberi monumentali isolati che mi fanno da guida.

L’importanza dell’acqua mi viene segnalata dalle diverse forme del suo utilizzo, perché mentre consente la prosperità di varie specie animali, svolge un lavoro di fitodepurazione, grazie all’uso delle piante ed inoltre, mi rendo conto che è anche un bacino di acqua dolce, che può ricaricare la falda e accogliere acqua piovana in eccesso.

Tutto questo lo scopro percorrendo la rete dei percorsi ciclabili e pedonali (in materiale stabilizzato e drenante non asfalto o bitume), che mi ricorda che attraverso comunque uno spazio artificiale, esito di un progetto e che necessita di cura, come mi capita quando mi trovo nel Vondelpark di Amsterdam, o nell’Emberton country park, poco fuori Milton Keynes.

Ma il mio desiderio va oltre e vorrei che il territorio attorno a Ferrara diventasse un parco agricolo periurbano in grado di valorizzare, anche attraverso marchi di qualità, una agricoltura biologica, e un paesaggio urbano/rurale ricco nelle sue componenti vegetali. Un percorso possibile, dove la cultura del paesaggio agrario si associa ad un ritrovata naturalità da perseguire, ad esempio, attraverso la reintroduzione delle siepi e la predisposizione di aree forestali di infiltrazione delle acque piovane, alternate ai campi coltivati.

Vorrei ripensare l’ambito delle mura, in particolare la parte sud. Questo perimetro necessita di cura e deve diventare una vera cintura verde e patrimoniale, su cui far convergere la trama della città parco. Va bloccata ogni trasformazione di questo spazio in parcheggio o attività commerciale, cercando, dove possibile, di depavimentare per aumentare le aree verdi.

Vorrei che venissero potenziati, valorizzati e naturalizzati molti spazi aperti presenti nel centro storico, come nel settore dell’ex caserma Pozzuolo del Friuli e di via Savonarola, dove vi è la possibilità di creare una rete di giardini in grado di creare connessioni pedonali con Corso Giovecca, associando l’idea di Ferrara città-parco a quella di Ferrara città-campus, valorizzando la dotazione verde delle sedi universitarie, aprendole al pubblico e organizzandole per lo studio e il lavoro open-air, associate ai giardini pubblici, ai sagrati da riqualificare, agli spazi verdi interni delle mura.

Vorrei che si valorizzasse il quadrivio del Palazzo dei Diamanti, una delle aree dismesse più critiche e dequalificate della città. Il Quadrivio potrebbe essere messo in relazione alla Piazza Ariostea che non può più essere solo un parcheggio, valorizzando un asse dove, oltre a musei, sedi universitarie, abbiamo anche Parco Massari, lo Spazio Antonioni e l’Orto botanico di Unife, costituendo quindi un grande polmone verde nel cuore storico della città, sul modello di tanti importi parchi urbani che associano giardini e orti botanici, dove la cura della biodiversità associa cultura, didattica e tempo libero.

Vorrei che Ferrara avesse un “museo della città” in grado di associare dei luoghi espositivi (da creare, esponendo anche il suo straordinario patrimonio di mappe storiche) con la città storica e sociale delle sue strade e piazze. La città dovrebbe inoltre rinsaldare il suo rapporto con il territorio entrando nel Parco del Delta,  promuovendo la scoperta della sua cultura dell’acqua, dei fiumi, delle bonifiche, della costa per farla diventare un grande progetto culturale, di ricerca e turistico.

La Ferrara che non vorrei

Non vorrei più vedere:

  • i rifiuti dilaganti in giro per la città e davanti a casa;
  • la mobilità e la sosta selvaggia in tutto il centro storico;
  • lo stato miserevole dei marciapiedi e delle piste ciclabili, dove una persona che ha difficolta a camminare non riesce a muoversi;
  • l’inadeguatezza del trasporto pubblico che ci rende dipendenti dalle automobili;
  • la violenza che si riscontra nelle strade della città (alla faccia della sicurezza), anche nelle relazioni interpersonali che hanno bandito la gentilezza e la cortesia;
  • gli allagamenti delle strade, quando piove intensamente;
  • la pessima qualità dell’aria nonostante tutti gli alberi piantati;
  • il calo del turismo e in particolare di qualità (per intenderci quello straniero, che spende);
  • l’economia che stenta e il nostro essere sempre fanalino di coda nelle classifiche sulla qualità;
  • lo spacciare l’apertura di supermercati come rigenerazione urbana mentre nel PUG si dichiara la città di 15 minuti;
  • il degrado dell’area di Darsena city lungo il Burana;
  • il degrado delle piazze storiche coperte da teloni neri, tubi innocenti e bagni chimici;
  • il perseguire una idea di città-prigione e segregazionista, invece di puntare verso una politica inclusiva sui migranti che avrebbe anche, in prospettiva, importanti ricadute economiche per la città e il paese;
  • infine, ma non da ultimo il razzismo latente che si respira in città.
Piazza Trento Trieste. Summer Festival 2023

Vorrei che questo non fosse un sogno, ma un percorso politico da costruire insieme.

Romeo Farinella, Professore di Progettazione Urbanistica del Dipartimento di Architettura di Unife.
Candidato nella lista La Comune di Ferrara per Anna Zonari Sindaca  

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Romeo Farinella

Romeo Farinella, architetto-urbanista e professore ordinario di Progettazione urbanistica presso l’Università di Ferrara. Si occupa di problematiche urbane e paesaggistiche da almeno trent’anni. Prima di approdare a Ferrara ha vissuto in diverse città, tra cui Roma e Parigi e quest’ultima è diventata uno dei suoi temi principali di ricerca. Oltre a Ferrara ha tenuto corsi anche in Francia (Lille, Parigi), Cina (Chengdu), L’Avana e São Paulo e Saint Louis du Senegal. È stato direttore per alcuni anni del Centro di Ateneo per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale di UNIFE.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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