La Banda del Formaggio:
un contributo in vista del congresso del Pd
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E dopo, niente, Caruso l’avevo visto una volta, alla festa dell’unità. Era lì a fare il servizio d’ordine, alla festa dell’unità, nazionale. L’avevo salutato, un po’ imbarazzato. Che, più che altro, mi imbarazzava il fatto di farmi vedere alla festa dell’unità, nazionale, l’ultimo giorno, che non so neanche perché c’ero andato. Che mi aveva fatto un effetto.
Che io, quando andavo in giro, alla mia età, mi veniva da pensare che le cose che vedevo, e che sentivo, non andavano fatte e dette così come erano fatte e erano dette, andavano fatte e dette così come si facevano e si dicevano quando io ero giovane.
Per esempio la festa dell’unità, secondo me, non avrebbero dovuto chiamarla festa del PD, perché si chiamava festa dell’unità; e le bandiere che c’erano alla festa dell’unità, non dovevano essere bandiere tricolori, dovevano essere bandiere rosse. E i cappellini e le bandiere che avevano quelli che ascoltavano i comizi, non avrebbero dovuto darglieli all’ultimo minuto quelli dello staff, avrebbero dovuto portarseli loro da casa. E la canzone Bandiera rossa non doveva finire, come l’avevo sentita cantata dai volontari in un ristorante della festa del PD con la strofa “Evviva il PD e la libertà”, doveva finire con la strofa “Evviva il comunismo, e la libertà”. Che poi, in origine, diceva sempre mia mamma, era “Evviva il socialismo, e la libertà”.
Ma forse ero io, che ero così, che volevo che, anche i comizi, io volevo che si parlasse come dicevo io, che secondo me, ma perché ero vecchio, io quando avevo sentito, alla festa del PD, il comizio del segretario che cominciava dicendo “Care democratiche, cari democratici”, ma come si fa, dopo un inizio del genere, a dire qualcosa di sensato?, mi ero chiesto, e come si fa ad ascoltare qualcuno che inizia il suo discorso non dicendo “Buongiorno”, non dicendo “Benvenuti”, non dicendo “Cari amici”, non dicendo “Compagne e compagni”, non dicendo “Signore e signori”, ma dicendo: “Care democratiche, cari democratici”? Non si ascolta, secondo me non si ascolta, ma perché ero vecchio, e allora scappavo, e andavo a cercare le cose che riconoscevo, negli angoli, i ristoranti, le facce e i vestiti della gente che ballava, e quelli che guardavano, e i bambini che giocavano ai giochi che facevamo una volta, che mi sembrava che eran sempre quelli, e i bagni, che i bagni alle feste dell’unità eran fatti in un modo che c’erano solo lì, e a veder quelle cose mi veniva in mente quel passo del libro Cronosisma dello scrittore americano Kurt Vonnegut, quel passoche diceva “Mio zio Alex Vonnegut, un assicuratore che aveva studiato ad Harvard e che abitava al 5033 di North Pennsylvania Street, mi insegnò una cosa molto importante. Disse che quando le cose vanno davvero bene dovremmo fare in modo di accorgercene.
“Non parlava di grandi trionfi bensì di semplici epifanie: bere una limonata all’ombra in un pomeriggio afoso, sentire il profumo di una panetteria vicina, pescare e fregarsene se si pesca qualcosa o no, ascoltare qualcuno che suona bene il piano nell’appartamento accanto al nostro.
Zio Alex mi suggeriva, in tali occasioni, di dire a voce alta: ‘Se non è bello questo, cosa mai lo è?’”
Paolo Nori, La Banda del Formaggio, Milano, Marcos Y Marcos, 2013, pp.215-217.
Si ringrazia Paolo Nori per aver acconsentito alla pubblicazione di un estratto dell’opera.
Paolo Nori
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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
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Non ho parole. Grazie Paolo Nori per questo regalo. Se avessi i contatti lo invierei a Letta e a tutti i colonnelli del partito democratico.
Anche da parte mia grazie, per averci ricordato quale era il nostro mondo. Grazie per averci dato la conferma che noi (mi riferisco ai trinariciuti come me) apparteniamo a quel mondo, dove la bandiera rossa non era una colpa, ma un segni d’appartenenza, dove la nostra festa erano le mille feste de L’Unità (giornale fondato da Antonio Gramsci), dove tra gli stend noi ragazzi trovavamo il babbo che serviva allo Stand del ristorante, il nonno che giocava a tombola e noi ci atteggiavamo nella pista vicino al Jukebox e al calcino. E te lo voglio dire, senza vergogna, io non sono un Democratico del PD, sono un Comunista e quindi democratico. Grazie di nuovo