Investire nell’infanzia, un dovere e un ottimo affare
di Loredana Bondi
I servizi educativi e scolastici per i bambini in Italia sono purtroppo un nervo dolente, perché quelli che ci sono (laddove esistono) sono assolutamente insufficienti. L’Europa da tempo ci sollecita l’adempimento dell’obbligo di garantire servizi diffusi e di qualità, invece siamo all’età della pietra in molte parti d’Italia. Solo in alcune regioni ci si è avvicinati ai dati richiesti dal trattato di Lisbona che chiedeva di arrivare almeno alla copertura del 30% (rapporto fra nidi e bambini nei primi tre anni di vita) entro il 2010, ma la nostra media nazionale sta ancora largamente sotto il 10% con regioni come la nostra che superano o si attestano sulla richiesta e un Sud che spaventosamente manca di ogni servizio e mediamente arriva al 3% gestito solo dal privato. Parlare della necessità di avere servizi educativi e scolastici fino a 6 anni è sempre attuale, se si pensa che lo Stato dovrebbe direttamente provvedere in fatto di scuola d’infanzia, perché così sta scritto negli ordinamenti scolastici nazionali della formazione. Perché parlarne e parlarne sempre? Perché l’educazione delle nuove generazioni (e non si tratta solo di cura) permette di investire in termini di crescita relazionale e razionale.
James Heckman, premio Nobel 2000 per l’economia, in uno studio recente ci dimostra che l’analisi dei costi e dei benefici dell’investimento in capitale umano in diverse fasce d’età mostra come l’investimento nei primi anni di vita abbia rendimenti più elevati rispetto a investimenti fatti più tardi, perché le capacità individuali sono più malleabili. Ormai tanti, troppi studi lo dimostrano. A parte questo, il vero dramma cui assistiamo in questo periodo di crisi tremenda da tutti i punti di vista è quello che non c’è un progetto scolastico educativo serio per il Paese, prova ne sia la mancanza assoluta di finanziamenti nell’ambito della legge finanziaria.

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Redazione di Periscopio
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)