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Il tema dell’immigrazione in Italia può essere analizzato da varie angolature, in questo caso prendo in esame in particolare il versante economico, che però è immediatamente connessa ad aspetti più sociali e culturali, oltreché politici. Ancora una volta, quindi, dobbiamo confrontarci con la complessità

Su Repubblica del 25 Ottobre Rosaria Amato anticipa alcuni dati relativi al “Rapporto Annuale sull’economia dell’immigrazionecurato dalla Fondazione Leone Moressa, pubblicato il 14 Novembre.
I numeri indicano che gli stranieri (immigrati regolari) in Italia sono 5,2 milioni e contribuiscono per il 9% al Pil italiano, quasi 144 miliardi di euro in termini assoluti.  Si tratta di numeri in calo dal 9,5% rilevato prima della pandemia, con la contestuale discesa della loro incidenza tra gli occupati dal 10,3% del 2019 al 10% attuale.

Tutto questo ha conseguenze importanti (e preoccupanti) su diversi settori dell’economia italiana. In particolare  sulla agricoltura, l’edilizia e il turismo, dove il ritorno a pieno regime dell’economia dopo le chiusure imposte dal Covid ha evidenziato la difficoltà nel reperimento di manodopera.

Le misure adottate dai vari governi – ad esempio il Decreto Flussi che autorizzava l’arrivo di 70 mila lavoratori –  possono essere delle misure  congiunturali, ma richiedono una migliore implementazione a livello burocratico e gestionale e necessitano di un affinamento per rispondere in modo efficace alle richieste del mondo produttivo.

A questi dati è poi da aggiungere l’impatto positivo sui conti pubblici italiani dei lavoratori immigrati, che vede il saldo tra il gettito fiscale e contributivo (entrate, 28,2 miliardi) e la spesa pubblica per i servizi di welfare (uscite, 26,8 miliardi) rimanere in attivo per +1,4 miliardi di euro. E questo, nonostante la pandemia abbia determinato un calo nei redditi dichiarati da contribuenti immigrati (-4,3%).

Volgendo lo sguardo sull’aspetto sociale dell’immigrazione, possiamo rifarci all’analisi che il Deputato di Sinistra Italiana Aboubakar Soumahoro  – e il fatto che sia attualmente alla ribalta della cronaca per vicende legate ai suoi famigliari nulla toglie alla validità della sua analisi –  riporta nel suo libro “Umanità in rivolta – La nostra lotta per il lavoro e il diritto alla felicità” (Feltrinelli, 2020) relativo alla sua esperienza sindacale nei settori dell’agricoltura, della logistica e della cura alla persona.

Soumahoro sottolinea come l’approccio italiano al tema dell’immigrazione sia stato sviluppato dagli anni ’90 fino a oggi in un’ottica prevalentemente securitaria, presupponendo una diretta correlazione tra immigrazione e pubblica sicurezza, senza invece prevedere veri e regolari percorsi di inserimento per chi vorrebbe venire a lavorare in Italia.

Si applica quindi quella che lui chiama “categorizzazione” alla figura del migrante, il quale si vedrebbe a livello sociale, economico e culturale in una situazione di subalternità rispetto al resto della popolazione, contribuendo così alla generazione dei fenomeni del caporalato e dello sfruttamento lavorativo.

A queste due dimensioni, economica e sociale, si aggiunge quindi l’aspetto più propriamente politico culturale.

Il  concetto di “cittadinanza” che, paradossalmente, nasce nella penisola italiana 2000 anni fa, al tempo dell’Antica Roma.
Valerio Massimo Manfredi e Fabio Manfredi nel loro libro Come Roma insegna” (Libreria pieno giorno, 2021) ci ricordano come, proprio attraverso la cittadinanza “si cementasse all’interno della società romana quell’equilibrio tra diritti e doveri in grado di creare un circolo virtuoso tra i due poli del cittadino e dello Stato, ma quando questa veniva meno, l’equilibrio si rompeva e perdendo la consapevolezza che siamo legati gli uni agli altri da un “patto”, scompare la coscienza del proprio ruolo di cittadino, con i doveri non tanto solo legali ma anche e soprattutto morali che ciò comporta”.
A questo si può far riferimento quando si devono valutare le politiche da adottare in tema di cittadinanza per chi arriva in Italia e per i loro figli.

Occorre quindi approcciare il tema immigrazione, affrontando tre dimensioni, ovvero economica, sociale e culturale. tra loro strettamente legate, non limitandosi ad interventi che rispondono ad un unico aspetto, senza tener conto degli intrecci.
Ecco quindi che Rosaria Amato conclude il suo articolo rilevando come già dal 2011 le partenze degli immigrati dall’Italia siano diventate costanti, per tornare a casa oppure andare in Paesi più affini dal punto di vista linguistico come la Francia o il Regno Unito, contribuendo quindi all’acuirsi dei problemi economici, e della produzione di reddito del nosto paese.

La questione dell’immigrazione non è quindi  sempre più attuale,  ma è urgente affrontarla con interventi organici e strutturali e fuori da una logica emergenziale. Solo così è possibile dare risposte efficaci ad un fenomeno complesso, trasformalo cioè da problema insoluto in occasione di sviluppo economico e di integrazione sociale.

In copertina:  Manifestazione di migranti (foto tratta da SettimanaNews)

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Raffaele Cocchi

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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