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Da: Tiziano Tagliani

“Senza grande clamore mediatico si è concluso davanti ai giudici della corte d’Appello di Bologna anche l’ultimo dei processi penali relativi all’Ospedale S.Anna di Cona che hanno coinvolto in questi anni tecnici, amministratori, imprenditori.

Dopo anni di grande clamore, dibattiti consiliari, indagini anche questo processo si è concluso, come i precedenti, con la completa assoluzione dell’ultimo degli imputati, con l’accertamento della assenza di condotte penalmente rilevanti, ed anzi con il riscontro del loro agire “nel perseguimento del primario interesse pubblico”.

A fronte di anni di titoli a più colonne questa notizia ha goduto di poche righe a bordo pagina, ma a mio avviso ha più di una ragione per essere valorizzata.

La prima ragione è che i cittadini ferraresi possono a buon diritto magari lamentarsi della dislocazione del “nuovo” ospedale, ragione per la quale quando chi scrive era alla opposizione non votò la delibera, ma devono sapere che questo ospedale, dove pazienti e medici hanno trovato insieme immediato ricovero nei giorni successivi al terremoto, non è stato costruito con cemento impoverito e risponde invece a tutte le prescrizioni tecniche della miglior esperienza specifica diversamente da tante opere pubbliche che in giro per l’Italia stanno cadendo a pezzi, facendo giustizia di tante, troppe, storielle immaginarie .

In secondo luogo sarebbe il caso di ringraziare, e lo faccio pubblicamente, quanti in questi anni hanno contribuito alla realizzazione del nuovo ospedale, pagando di tasca loro il costo di lunghe difese e caricandosi della responsabilità di poter fruire oggi di un ospedale senza il quale dopo il maggio 2012 saremmo tutti costretti a ricorrere ad ospedali assai più lontani. I nomi del Dr. Baldi dell’ing. Melchiorri dell’Ing. Benedetti e Fulvio Rossi ai quali aggiungo Davide Tumiati che ha firmato l’agibilità di Cona, dicono poco al grande pubblico dei lettori, ma a loro assai più che ad altri siamo debitori, fosse stato accertato il contrario, saremmo a caricarli di insulti, essendo risultati tutti innocenti almeno un grazie il Sindaco glielo deve a nome di tutti.

In terzo luogo possiamo finalmente parlare di sanità vera, non più di amenità ed in proposito, siamo seri, non è certo il costo dei parcheggi quello che ci preoccupa quando veniamo ricoverati a Cona, magari ci preoccupa o ci dovrebbe preoccupare che la quota di spesa corrente a carico della sanità ferrarese ricomprende anche e per svariati milioni il costo del suo completamento attraverso il project financing mentre altrove, Cesena o Modena, non grava sui costi.

Vi pongo allora le mie preoccupazioni attuali:

La prima è la mobilità passiva che è un tema principalmente della città di Ferrara, ingenerata sia dalla presenza, tra gli altri, di privati intraprendenti appena oltre il ponte di Pontelagoscuro a poche centinaia di metri dal confine regionale, sia dalla possibilità dei privati di avvalersi della collaborazione di valenti professionisti neo pensionati che nel pubblico non possono fare quello che la legge consente loro di fare nel privato.

Una situazione ingenerata anche dalla pluriennale assenza di iniziativa della sanità regionale diretta ad aggredire il problema specifico per creare collaborazioni forte con il privato per arginare un fenomeno che sottrae alla sanità nostra circa 40 milioni di euro all’anno, oppure, magari, mediante accordi fra le due regioni.

E’ ora che la Regione e le direzioni sanitarie realizzino un progetto di collaborazione pubblico e privato diretto a porre un limite a questa situazione e la circostanza che altre realtà emiliane beneficino a loro volta di mobilità attive di importi rilevanti a danno di territori extra regionali non legittima certo una inerzia sotto questo profilo.

In secondo luogo la logistica sanitaria della città che, dopo la apertura di Cona, non ha trovato ancora un approccio strategico, abbiamo due mezze strutture della azienda sanitaria locale: il vecchio S.Anna (oggi San Rocco) e la sede di via Cassoli dove lavorano suddivise a metà strutture sanitarie che ben potrebbero operare in una soltanto, la cittadella S.Rocco, che va servita di quegli strumenti di diagnosi anche banali che eviterebbero a qualche migliaio di cittadini ferraresi di sobbarcarsi trasferte, con risparmi consistenti per spese logistiche e significativi recuperi di efficienza, ivi compresa la attuale possibilità di locare via Cassoli a fruitori pubblici che oggi pagano a privati canoni salati.

Se servono risorse di investimento per sgravare di costi non sanitari i bilanci dei prossimi anni si devono trovare con sollecitudine, pari a quella indirizzata ad altri investimenti assai meno urgenti.

In terzo luogo mi pare che vada posta sotto esame la attuazione dei dipartimenti interaziendali, fulcro della progettazione di integrazione fra azienda ospedaliera-universitaria ed azienda sanitaria locale, avevano due obiettivi: evitare la colonizzazione professionale della prima sulla seconda e la rimozione di enclave della seconda rispetto ad un disegno di governo clinico unico che avrebbe dovuto ottimizzare risorse, plessi ospedalieri, professionalità: mi pare che sotto questi profili ci siano viversi punti da discutere sia in un senso che nell’altro.

Ci aspettano anni difficili considerando il numero chiuso a medicina ci priva già oggi delle professionalità necessarie, e sarà peggio con la fuga che si determinerà con la “quota cento”, e non basta togliere i tetti, bisogna aiutare le università a dotarsi di laboratori, aule e soprattutto di scuole di specialità

Lascio queste riflessioni a chi deve redigere un programma per la prossima legislatura, con un occhio alla sanità territoriale, alla medicina di base, alla prevenzione che in questi anni sono state forse colpevolmente coperte da polemiche inutili sul cemento di Cona , sui parcheggi o sulle dispute di campanile, noi abbiamo aperto e fatto funzionare Cona, ma da lavorare ce ne ancora e tanto”

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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