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Prendiamo qualche spunto dal recente rapporto regionale, Report Rifiuti 2013, decima edizione del monitoraggio annuale prodotto dalla Regione Emilia-Romagna e da Arpa Emilia-Romagna.

Se da una parte a Parma e Reggio Emilia si raccolgono in modo differenziato più del 60% dei rifiuti urbani, Piacenza, Modena, Ravenna e Rimini hanno già superato il 50% di raccolta differenziata, mentre le province di Ferrara, Forlì-Cesena e Bologna registrano valori compresi tra il 40 e il 50%. Il dato della raccolta differenziata varia significativamente anche a livello di singoli Comuni con 75 realtà che nel 2012 hanno raggiunto e superato l’obiettivo di legge del 65%. I valori rilevati confermano le difficoltà dei piccoli Comuni dell’Appennino e dei grandi centri abitati come Bologna a raggiungere elevati standard di raccolta differenziata.

Più interessanti sono i dati del sistema impiantistico regionale. Quanto raccolto in maniera differenziata viene avviato ai 20 impianti di compostaggio e agli oltre 200 impianti per il recupero delle frazioni secche presenti sul territorio regionale. I valori dell’indice di avvio a recupero, calcolati sui dati 2011, forniscono indicazioni sulla qualità della raccolta differenziata. Essi variano da un minimo del 74% per la plastica a valori superiori al 90% per umido, carta, vetro metalli e legno, confermando che, per le principali frazioni differenziate la quasi totalità del raccolto è reimmesso nel ciclo produttivo.
I rifiuti indifferenziati residui, oltre 1.334.000 tonnellate, hanno trovato collocazione in un articolato sistema di impianti costituito da 8 inceneritori con recupero energetico, 8 impianti di trattamento meccanico-biologico e 19 discariche per rifiuti non pericolosi. In linea con le indicazioni delle politiche europee, negli ultimi 3 anni in regione si è registrato una diminuzione dell’utilizzo delle discariche ed un aumento dell’avvio a recupero energetico per lo smaltimento dei rifiuti indifferenziati.

Il tema fondamentale è il riciclo. Su questi dati propongo qualche riflessione. La credibilità del sistema di raccolta differenziata è fondamentalmente basata sulla necessità di offrire garanzie circa il rispetto degli obiettivi non solo in termini di percentuali di rifiuti raccolti in modo differenziato, ma anche in termini di qualità del differenziato stesso. Maggiore trasparenza deve essere posta ad esempio sui criteri con cui raggiungere dette percentuali, smascherando in alcuni casi risultati apparentemente positivi, ma ambientalmente discutibili. Confondere ancora tra raccolto e riciclato non conviene a nessuno, né utilizzare differenti criteri per definire le percentuali dei quantitativi raccolti.

Rimane allora da valutare quale sia la migliore soluzione possibile e, per fare questo, serve un’analisi di dettaglio sia del materiale immesso sia della capacità di raccolta differenziata e della possibilità di reale riciclo. A questo proposito vale la pena ricordare che per “raccolta differenziata” si intende quanto separato alla raccolta in base al tipo e alla natura dei rifiuti (anche al fine di facilitarne il trattamento), mentre per “recupero” si intende ogni operazione utile all’utilizzo di materiale in sostituzione di altri. Si ritiene importante citare a tale proposito un articolo (di sei anni fa) della direttiva 2008/89/CE fondamentale per il futuro del riciclaggio, Art. 11, comma 2: “Al fine di rispettare gli obbiettivi della presente direttiva e tendere verso una società europea del riciclaggio con un alto livello di efficienza delle risorse, gli Stati membri adottano le misure necessarie per conseguire entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali, come minimo, carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici, e possibilmente di altra origine, nella misura in cui tali flussi sono simili a quelli domestici, sarà aumentata complessivamente almeno al 50% in termini di peso.”

Lo spirito guida della programmazione deve tendere allora alla ricerca del massimo riciclo (non della massima raccolta differenziata), indipendentemente, o comunque senza limitarlo, dal raggiungimento di uno specifico obiettivo generale che potrebbe essere non il massimo raggiungibile. E’ importante dunque definire con criteri innovativi le raccolte differenziate con obiettivi di riciclo per materiale, calcolato sulla base dell’immesso. Argomento di grande importanza poi è la realizzazione di concrete forme di incentivazione o di premio ai cittadini particolarmente virtuosi, e dunque solo per chi supera con il proprio contributo la media ottenuta sul territorio.

Per quanto attiene più in generale le raccolte differenziate, si ritiene inoltre che possa essere utile richiedere l’obbligo di certificazione di avvenuto riciclaggio. L’analisi della destinazione dei materiali derivanti dalle operazioni di raccolta differenziata è diventato un elemento fondamentale per la trasparenza del servizio prestato e per la garanzia di rispettarne le regole. I cittadini talvolta, infatti, sono scarsamente motivati alla collaborazione perché temono che poi il risultato finale non corrisponda a quello dichiarato; in troppi permane ancora il dubbio che “tutto poi finisca in discarica”. Abbiamo dunque il dovere di certificare l’avvenuto riciclaggio con procedure e regole chiare, meglio se controllate e appunto certificate da terzi autorizzati per tale attività (vedi tracciabilità).

Anche la qualità del materiale raccolto legato ai concetti di impurità e scarto è un tema che richiederebbe maggiore attenzione. Deve crescere la consapevolezza che il materiale pulito da impurità (altri materiali) ha una migliore possibilità di riciclo e dunque un valore maggiore. Vanno poi anche favorite maggiori indagini di soddisfazione del cliente mirate a capire i disagi e le difficoltà degli utenti nel favorire lo sviluppo delle raccolte differenziate. Spesso una scarsa informazione produce scarsa partecipazione. Indagini autoproclamanti e talvolta promozionali mal si conciliano con il bisogno di conoscere e capire come poter migliorare il servizio. Frequenti, metodiche e costanti informazioni sui livelli raggiunti, sul grado di impegno e sui risultati ottenuti per sub-ambiti o ancor meglio per aree (circoscrizioni, strade, condomini, etc.) aiuterebbero quel sano confronto che favorisce la partecipazione e il coinvolgimento.

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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