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Racconto di Maurizio Olivari

Per decidere se acquistare , un libro leggo le prime frasi e cerco di capire come l’autore si propone. Prolisso? Frasi brevi? Scrive in prima o in terza persona?
Poi passo alla presentazione in seconda di copertina e se mi suscita interesse compro. Quindi cosa penserà quando si accorgerà che questo racconto, è ambientato in un cimitero? Non è un giallo né una commovente storia strappalacrime; un critico scriverebbe “ cronaca di un giorno ricorrente”
Vado la domenica mattina, ogni quindici giorni, a fare visita ai miei cari nella Certosa della mia città, che è conosciuta come “le quattro trombe” , perché l’ingresso è caratterizzato da un piccolo fabbricato con sul tetto ai quattro angoli, degli angeli nell’atto di suonare le chiarine rivolte al cielo. Da questo punto si dipana un lungo claustro curvilineo, che abbraccia l’area fino a congiungersi alla grande chiesa di San Cristoforo, per poi proseguire dall’altro lato fino ad abbracciare una intera area verde.
Ecco perché fra gli anziani della città dire “tizio è andato alle quattro trombe” significa è deceduto.
Io vado la domenica alle quattro trombe, per ora da vivo.

Per molte persone il rito del cimitero evoca ricordi struggenti e vivono la visita ai cari, come un momento triste. Per me no. Non certo momento allegro ma con una delicata serenità. Il ricongiungermi con chi ho amato, parlare loro raccontando fatti accaduti, renderli partecipi di emozioni vissute, mi lascia una serenità interiore che è certamente difficile da comprendere.
Per arrivare alla prima tappa del giro domenicale devo percorrere la parte antica del complesso, ove si trovano tombe monumentali, anche di noti personaggi, inserite in maestosi archi comprendenti statue di ispirazione Cristiana, come Angeli, Madonne, Croci.e figure femminili in mesta preghiera.
La mia curiosità si spinge a leggere gli “epitaffi” a dedica del defunto, che nella foto appare come uomo o donna dell’Ottocento, forse ritratti in uno studio fotografico dell’epoca. Al contrario delle attuali tombe, la maggior parte costituite da una lapide con foto , nome, data di nascita e morte del defunto, quelle dell’Ottocento riservate ad una minima parte del popolo, certamente benestante, oltre al nome e cognome, evidenziano per i posteri, tratti della personalità, del carattere, della vita della persona defunta.

Mentre cammino, guardo e leggo incuriosito, di come doveva essere fisicamente la persona, del mondo che viveva e dallo scritto penso anche che all’epoca ci fosse un servizio “poetico” al quale rivolgersi per onorare la cara persona, con parole di circostanza:

“Lilia, esile fiore gentile, si ripiegò sullo stelo a ventinove anni e nel silenzio della notte, d’improvviso, sola, quietamente si estinse – Agosto 1923”

Capite quanto amore in quelle parole. E ancora:

“Antonio, tipo antico d’alto sentire, rigido di modi, benefico di cuore, padre e cittadino esemplare dalla Patria onorato di cariche, le sostenne degnamente in tempi grevi – Ottobre 1859”

Ecco quindi un personaggio pubblico degnamente onorato. Qualche tomba avanti:

“Elisa, angelo di bontà e di candore, ebbe un unico desiderio quaggiù. AMANTE RENDERSI AMATA. Appagata, si disse felice. Appena ventiquattrenne, da lento morbo consumata, serenamente spirava – Gennaio 1912”

Leggendo, pensiamo ad una bella fanciulla serena e felice fra le braccia del sua amato.
Questi scritti sono tanti piccoli racconti di vita, con per ognuno un piccolo cameo:

“Caro agli amici, benefico ai miseri, devoto alla Patria, fiero morbo, dopo lunghe indicibili sofferenze, lo spense”

Vivo quindi il luogo, solitamente senza molti visitatori, di fatto senza anima viva, con sereno sentimento, quello che provo di fronte alla tomba, fra quelle che ospitano i miei famigliari, che più mi coinvolge. Si trova all’interno di un piccolo claustro quadrato, molto raccolto, separato dai grandi spazi del cimitero.Vi è sepolta mia sorella, nata nel 1930 deceduta nel 1943.
Non l’ho conosciuta, sono nato un anno dopo la sua morte, perché cercato e voluto dai miei genitori, forse per colmare quel terribile vuoto lasciato dalla sua repentina scomparsa, resa ancora più tragica da quanto accaduto.
I racconti fatti dai miei parenti ( mia madre e mio padre non sono mai entrati nei particolari dell’accaduto) portano al 1943, in pieno periodo della seconda guerra mondiale. Negli appartamenti di un grande fabbricato, abitavano le famiglie di tre sorelle: mia madre e le due zie, con i rispettivi mariti e figli.
Mia sorella e i cugini coetanei, erano fra loro molto legati, trascorrevano insieme parte delle giornate, con letture, giochi e passeggiate in centro città.
Il tragico giorno, uno dei ragazzini rimasto a casa dalla scuola, trovò nel comodino della camera da letto del padre, una rivoltella. Il padre, maresciallo dell’aeronautica, era tornato da poco tempo dalle Colonie italiane in Africa ed era in licenza, in attesa di nuova destinazione.
Mia sorella rientrava dalla scuola e cantando, saliva le scale di casa, quando all’improvviso il cugino le va incontro gridando “chi va là, alt o sparo!”
Lei, forse anche rispondendo a tono, proseguì la salita. “Ho detto alt!” Poi due colpi diretti al corpo, spegnevano il sorriso di quella splendida ragazza.

Chi mi raccontava l’episodio, giunto a quel punto, si interrompeva sopraffatto dall’emozione, rimarcandomi solo il grande dolore che dovettero sopportare i miei genitori, con la perdita della loro unica amata figlia tredicenne.

Davanti alla lapide, con la fotografia di una giovane sorridente, nella quale trovo anche una certa somiglianza con il mio viso, mi torna vivo il ricordo di quando accompagnavo sulla tomba mia madre che naturalmente, lasciava ogni volta le sue lacrime, che le mie parole di bambino, non riuscivano a darle consolazione. Oggi che i miei genitori si sono congiunti con lei in cielo, metto un fiore, accendo un lumino e parlo dolcemente a quella sorella, come l’avessi sempre conosciuta e le raccomando di tenersi accanto i nostri genitori che l’hanno tanto amata e le esprimo il mio rammarico di non essere forse, riuscito a colmare il grande dolore per la sua perdita.

Devo completare il mio quindicinale giro nella monumentale Certosa, andando a “far visita” ai restanti parenti e mentre lascio il claustro, ripenso alle parole scritte sulla piccola lapide di mia sorella:

“Nel fiore degli anni, quando la vita ti sorrideva, da fatale incidente, veniva tragicamente recisa”

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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