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“Quando il sole della cultura vola basso, i nani hanno l’aspetto di giganti”
Karl Kraus

Fabbri e Sgarbi: come riuscire ad essere insieme elitari e volgari

La gestione Fabbri-Sgarbi è giunta al tramonto: dalla mostra fake su Banksy, alla non-mostra di Robert Mapplethorpe… dietro di sé lascia una fila di lunghe ombre.

Ombre di giganti? Ombre di nani ingigantiti?

I responsabili della cultura ferrarese, nani o giganti che siano, hanno assunto stessi ruoli e medesimi destini di naufraghi alla deriva, coinvolti in un disperato gioco al massacro che non consente di capire se sia il primo a lanciare un salvagente forato all’altro o il secondo a raccogliere la fune per stringersi un cappio attorno al collo, mentre cala la notte e il loro relitto affonda, facendo acqua da tutte le parti.

Le proposte di mostre intitolate “Un Artista Chiamato Banksy” o da intitolare “Fiori e cazzi” hanno invece assunto le proporzioni e i toni delle più grandi “truffe” mai rifilate al pubblico, agli artisti e all’arte stessa, dall’interno di una Galleria Civica Comunale di eccellenza internazionale come quella ospitata nel Palazzo dei Diamanti di Ferrara. E’ dall’interno di questi due poli iniziali e finali, entrambi negativi e imbarazzanti, che si è imposta la nuova forma di fare arte e cultura nella nostra città d’arte e cultura.

L’età dell’oro estense, in cui Palazzo dei Diamanti era tra i musei più importanti e dinamici in tutto il mondo, è finita: non sarà facile ritornare agli splendori di quando “L’Arte per l’Arte” era la regola dell’operatività espositiva e la base di un grande successo, avviato dalla direzione di Franco Farina e portato avanti dai suoi successori. Quell’instancabile operazione di divulgazione di artisti e opere d’arte che, dal 1963 al 2019, ha trasformato una piccola città decentrata e di provincia in un perfetto contenitore museale tra i più rappresentativi per l’arte contemporanea in Italia e all’estero, al presente non è più riconoscibile.

Il climax discendente a precipizio nell’offensivo, nel volgare e nel provincialismo più oscuro della conduzione Fabbri-Sgarbi, impedisce di capire chi dei due protagonisti stia scappando dall’uscita posteriore o correndo verso quella d’emergenza. Nessun rispetto per gli artisti, per il pubblico, per i predecessori,  per i colleghi, per gli altri operatori culturali, per la tradizione locale e del territorio: considerare e presentare l’arte come un flusso di produzione di merci da offrire sul mercato, oltraggia i valori del passato e sottrae il significato dell’arte.

Non siamo tutti sulla stessa barca

“Non siamo tutti sulla stessa barca” (We’re not all in the same boat), è il titolo di una delle opere di Banksy che la mostra fake a Palazzo dei Diamanti non ha mostrato, per motivi prima di tutto allegorici.

Si tratta di un remake del celebre quadro di Theodore Gèricault intitolato La Zattera della Medusa e fa riferimento a La Méduse, una fregata francese che, nel 1816, si incagliò sulle secche atlantiche del Banc d’Arguin, al largo dell’attuale Mauritania. I passeggeri erano in numero superiore rispetto alla portata delle scialuppe e per grossolana irresponsabilità del suo comandante Hugues Duroy de Chaumareys, 17 passeggeri rimasero sulla fregata e ben 147 dovettero essere dirottati su una zattera di fortuna. Il capitano e l’equipaggio sulle scialuppe decisero inizialmente di trainare la zattera, ma la cima si ruppe, l’imbarcazione affondò parzialmente e venne abbandonata al suo destino. Sulla zattera della Medusa venti persone morirono già la prima notte; al nono giorno i sopravvissuti si diedero al cannibalismo; il tredicesimo giorno, dopo che molti erano morti di fame o si erano gettati in mare in preda alla disperazione, i superstiti vennero tratti in salvo da un battello di passaggio; cinque morirono la notte seguente. Sebbene sottoposto al giudizio della corte marziale, che prevedeva la pena capitale nel caso in cui il comandante non fosse stato l’ultimo ad abbandonare la nave, Hugues Duroy de Chaumareys ottenne solo una blanda condanna, rispettosa più dei privilegi accordati alla sua appartenenza alla classe nobiliare, che non delle regole della marineria e delle leggi della navigazione.

“La Zattera della Medusa” di Theodore Gericault si trova esposta nelle sale museali del Louvre di Parigi. “We’re not all in the same boat” di Banksy si trova esposta su un muro del porto di Calais non distante dalla “Jungle” dove vivono migliaia di migranti in transito dalla Francia verso l’Inghilterra e ritrae la medesima storia attualizzata: nella zattera i profughi moribondi tentano disperatamente di salvarsi e di mettersi in mostra, mentre in lontananza naviga un lussuoso yacht che li ignora. Il significato, il valore, il messaggio intrinseco di un’opera d’arte di denuncia dipinta pubblicamente dall’autore su un muro del porto di Calais può essere lo stesso espresso da riproduzioni private esposte in una Civica Galleria Comunale, presentate da un critico non autorizzato in una mostra a pagamento non autorizzata?

Secondo il fautore Vittorio Sgarbi e i curatori Gianluca Marziani e Stefano Antonelli la questione relativa alla musealizzazione di Banksy e degli artisti di strada non si sarebbe mai posta e non ha nemmeno da porsi. Giudicare Ferrara come una realtà colta e raffinata, al punto tale da essere ritenuta tra le più idonee per accettare di ospitare mostre fake travestite da eventi culturali d’avanguardia, non dimostra solo mancanza di considerazione nei confronti dei cittadini, degli artisti e del pubblico, ma anche nei confronti degli altri operatori culturali, andandosi a schiantare contro la tradizione del nostro territorio. L’Emilia Romagna è stata la culla del primo Graffitismo Metropolitano negli anni Ottanta con la Mostra “Arte di Frontiera” curata da Francesca Alinovi ed è divenuta il crocevia nazionale e internazionale dei successivi movimenti genericamente inclusi nel  termine “arte di strada”:  non esiste un aspetto o un argomento ad essi relativo che non sia stato preso in considerazione, analizzato, studiato, proposto ed esposto adeguatamente ed esaurientemente.

Le prime critiche erano già sorte in occasione della mostra Street Art Banksy & Co. L’arte allo stato urbano, presentata a Bologna presso Palazzo Pepoli nel 2016, come riflessione sul valore culturale e sulle modalità di salvaguardia, conservazione e musealizzazione della street art. L’esposizione bolognese, nata dalla volontà del Prof. Fabio Roversi-Monaco, Presidente di Genus Bononia e curata da Luca Ciancabilla, Christian Omodeo e Sean Corcoran, fu preceduta da accese polemiche scatenate dalla presa di posizione degli street artists, in profondo disaccordo con il progetto espositivo e con la decisione di strappare dai muri alcuni graffiti per esporli in mostra. La presa di posizione che ha fatto più rumore è stata la decisione dello street artist italiano Blu -segnalato dal Guardian fra i dieci migliori artisti di strada del mondo- il quale, nei giorni precedenti l’apertura, appoggiato dai movimenti giovanili dei centri sociali occupati e dall’Associazione Italian Graffiti, ha cancellato le sue opere realizzate a Bologna, affidando poi al collettivo Wu Ming la comunicazione delle ragioni del suo gesto: “La mostra “Street Art” è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi.”

Quello del vantaggio dei pochi è il pensiero guida a cui fare riferimento per comprendere anche uno dei motivi principali del disconoscimento di Banksy verso la mostra voluta da Sgarbi: «L’arte che guardiamo è fatta solo da pochi eletti. Un piccolo gruppo crea, promuove, acquista, mostra e decide il successo dell’arte. Solo poche centinaia di persone nel mondo hanno realmente voce in capitolo. Quando vai in una galleria d’arte sei semplicemente un turista che guarda la bacheca dei trofei di un ristretto numero di milionari».

Invece, il pensiero guida a cui fare riferimento per comprendere Banksy, nelle parole del curatore Marziani, è questo: “Ferrara è una realtà colta e raffinata, insieme al resto dell’Emilia è forse tra le più alte del paese. E qui sta la vera intuizione di Sgarbi: portando Banksy ai Diamanti, si intercetta una fetta di pubblico che ai Diamanti altrimenti non andrebbe. Per Previati un ragazzino della provincia emiliano-romagnola non viene a Ferrara, per il fenomeno artistico del momento, con tutte le sue virtù e con tutte le sue criticità, molto probabilmente sì”.

Marziani fa un parallelismo tra due scelte espositive davvero imbarazzante.

Per prima cosa, la mostra su Gaetano Previati non è stata ospitata presso il Palazzo dei Diamanti ma nel Castello Estense (teatro di ulteriori iniziative gestionali/espositive proposte dalla fondazione Cavallini-Sgarbi con modalità contrattuali di finanziamento pubblico sottoposte al giudizio di legittimità da parte della Corte dei Conti). In secondo luogo, il pubblico di Palazzo dei Diamanti non è mai stato solo emiliano-romagnolo e pensare di “richiamare i ragazzini della provincia emiliano romagnola” a Ferrara “per vedere Banksy” può risultare quasi offensivo per la capacità generazionale che i più giovani hanno di informarsi e di scegliere da soli.

Tranne che in quelli ferraresi, nel frattempo, i territori urbani ed extraurbani di Bologna, Modena e Ravenna si sono arricchiti di opere d’arte di graffitismo murale che hanno coinvolto i migliori artisti della scena internazionale e, disseminate un po’ ovunque, chiunque di noi può trovare esposte opere di Ericailcane e Bastardilla, Eron, Blu, Stak, Honet, Paper Resistance, Dem, El Euro, MrFijodor, Etnik, BizzarDee, Escif, Finsta, Francesco Barbieri, Corn79, 059, Herbert Baglione, Reqvia e di moltissimi altri street artist e giovani operatori. Le testimonianze dell’immenso valore che hanno acquisito per tutta la comunità queste espressioni artistiche, sono raccolte nel portale web del Progetto Urbaner Culture Urbane Emilia-Romagna, nato dalla volontà del Comune di Modena di riconoscere e valorizzare le culture che si formano in ambito urbano e che, in una prospettiva estetica, sociale e antropologica, generano tendenze e talenti in diversi campi: dalla fotografia alla pittura, dall’illustrazione al graphic design, dalla musica alla danza, dai tatuaggi agli sport non competitivi come lo skateboard e la BMX.

I risultati di ricerche come “L’arte urbana ed i suoi processi culturali in Emilia-Romagna”, frutto della partnership tra l’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali dell’Emilia-Romagna e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Modena, e l’organizzazione di eventi condivisi da associazioni culturali, gallerie d’arte, aziende private e istituzioni pubbliche, come il Festival Icone, Totart, il FestivalFilosofia, RigenerArte writing urbano in Romagna”, il Festival Subsidenze, hanno dato vita ad uno straordinario percorso di rigenerazione regionale che ha trovato nella street art una chiave di lettura -e rilettura- della contemporaneità. Ravenna, capitale dell’arte bizantina, è oggi una capitale di arte di strada: in ogni quartiere, dalla Darsena a Porta Adriana, dallo Stadio alla Rocca Brancaleone, la città si è trasformata in un vero e proprio museo a cielo aperto e in una galleria permanente di arte moderna, con più di ottanta opere di artisti provenienti da tutto il mondo, venuti per lasciare un segno sempre visibile a tutti e fruibile h24.

L’arte di strada non ha bisogno di grandi: ha bisogno di tutti

A Ferrara, la sistematica sottrazione di forma, senso e contenuto avvenuta con la mostra fake su Banksy, da allegorica, ha finito col diventare profanatoria: basta leggere le motivazioni poste per il rifiuto, da parte della Fondazione Robert Mapplethorpe di New York, di concedere le proprie opere alla Fondazione Ferrara Arte. Così come l’apprezzamento a Banksy non avrebbe dovuto essere posto in relazione al fatto che sia da considerare il più grande esponente della street art e la sua mostra un evento d’avanguardia, anche Robert Mapplethorpe non avrebbe dovuto essere presentato come il più importante esponente di una fotografia di stile pornografico-sensazionalistico.

Di artisti grandi come Banksy ce ne sono tantissimi. La street art non ha bisogno di grandi: ha bisogno di tutti, perché è un tipo di arte libera, pubblica, gratuita e diffusa spontaneamente su ogni muro del mondo attraverso un’infinità di stili. I principali meriti di Banksy come artista di denuncia e di protesta, negati e occultati a Ferrara, sono quelli di avere usato la chiave dell’arte di strada per sottolineare l’importanza di vecchi argomenti e la gravità di nuovi problemi a un pubblico vastissimo e non-museale. Argomenti e problemi, come ad esempio quelli relativi all’emergenza migratoria clandestina, al caso Wikileaks di Julian Assange e alla Questione Palestinese, che nel breve volgere di soli due anni dalla chiusura della non-mostra sono esplosi dinnanzi agli occhi del mondo.

Anche di maestri della fotografia come Robert Mapplethorpe ce ne sono stati tanti. I principali meriti da attribuirgli sono quelli di aver raggiunto la perfezione estetico-formale, puntando l’obiettivo della macchina fotografica su quello che nella visione della realtà appare più armonioso, plastico e scultoreo.

Le opere di Mapplethorpe sono presenti in Nord e Sud America, Europa e Asia e nelle collezioni dei principali musei di tutto il mondo e attualmente in Italia è in corso -fino al 14 febbraio 2024, presso il Museo Novecento di Firenze- la mostra dal titolo “Beauty and Desire”, frutto del supporto e della collaborazione scientifica della Robert Mapplethorpe Foundation con la Fondazione Alinari per la Fotografia. “Beauty and Desire” sta mettendo mette in luce il legame della sua ricerca con la classicità, nonché il suo approccio scultoreo al mezzo fotografico, reso evidente tanto nello studio del nudo maschile e femminile, quanto nella natura morta, equiparando i corpi agli oggetti secondo una sensibilità da scultore. In passato gli sono state dedicate, tra le altre, una mostra a cura di Germano Celant al Centro Pecci di Prato (1993) e un’esposizione a cura di Franca Falletti e Jonathan K. Nelson alla Galleria dell’Accademia di Firenze (2009): mostra, quest’ultima, che ha messo in evidenza l’innegabile relazione tra Michelangelo e Mapplethorpe. Al di là del valore storico, artistico e culturale del suo lavoro, la sua eredità sta diffondendosi attraverso l’attività della Robert Mapplethorpe Foundation, da lui stesso fondata nel 1988, per promuovere la fotografia, sostenere i musei che espongono arte fotografica e finanziare la ricerca medica nella lotta contro l’Aids.

Il metodo sviluppato per degradare nel più cupo provincialismo la città di Ferrara è tanto inaccettabile quanto evidente: stabilire che l’identità debba coincidere con le preclusioni, i limiti, le barriere, e imporre alla cultura di diffondersi attraverso l’inganno, l’insulto e l’oltraggio.

https://www.mapplethorpe.org/foundation
https://www.firenzetoday.it/eventi/museo-novecento-mostra-robert-mapplethorpe-22-settembre-30-novembre-2023.html
https://www.fanpage.it/spettacolo/personaggi/vittorio-sgarbi-pronta-una-mostra-che-si-chiama-fiori-e-caz-ma-i-moralisti-non-me-la-faranno-fare/

In copertina:  Theodore Gèricault, La Zattera della Medusa, 1819, Parigi Museo del Louvre

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Franco Ferioli

Ai lettori di Ferraraitalia va subito detto che mi chiamo, mi chiamano e rispondo in vari modi selezionabili o interscambiabili a piacimento o per necessità: Franco Ferioli Mirandola. In virtù ad una vecchia pratica anagrafica in uso negli anni Sessanta, ho altri due nomi in più e in forza ad una usanza della mia terra ho in più anche un nomignolo e un soprannome. Ma tranquilli: anche in questi casi sono sempre io con qualche io in più: Enk Frenki Franco Paolo Duilio Ferioli Mirandola. Ecco fatto, mi sono presentato. Ciao a tutti, questo sono io, quindi quanti io ci sono in me? tanti quanti i mondi dell’autore che trova spazio in questo spazio? Se nelle ultime tre righe dovessi descrivere come mi sento a essere quello che sono quando vivo, viaggio, scrivo o leggo…direi così, sempre senza smettere di esagerare: “Io sono questo eterno assente da sé stesso che procede sempre accanto al suo proprio cammino…e che reclama il diritto all’orgogliosa esaltazione di sé stesso”.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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