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Da: Dario Maresca, Consigliere Comunale

Il tema azioni Hera è un tema importante e dovrebbe essere occasione di confronto sulla visione a lungo termine della città.
Da molti anni, con i dividendi di quelle azioni –oltre due milioni di euro all’anno- il bilancio comunale sostiene iniziative che migliorano la nostra città. Ora l’amministrazione leghista ha portato in consiglio comunale l’intenzione di vendere una parte delle azioni, al fine di usarne il ricavato per investimenti.
Una scelta a cui non sono contrario a priori, ma davanti alla quale mi chiedo: cosa significa “investimento” per l’amministrazione Fabbri? Nella discussione in consiglio non ci è stato spiegato, l’unico riferimento pare essere una conferenza stampa (è indubbiamente un’amministrazione che preferisce le conferenze stampa alla discussione in aula) dove si è parlato di manutenzione di marciapiedi, cancellate attorno ai parchi pubblici e interventi su beni monumentali in gran parte già previsti dalla precedente amministrazione. Ecco, ben venga la manutenzione dei marciapiedi, ma non sembra proprio un investimento di grande respiro… la si può fare con i risparmi sulla spesa ordinaria promessi dalla giunta, oppure proprio con i dividendi delle azioni Hera.
Investimento è, a titolo esemplificativo, una darsena portuale, una metropolitana di superficie, un museo che richiami migliaia di visitatori, un progetto di edilizia sociale, una scuola, un’infrastruttura logistica per le aziende. Qualcosa di ampio impatto che dia una svolta al territorio o una risposta nuova alla comunità.
Il bivio di fronte al quale ci pone questa amministrazione è vendere i gioielli di famiglia per un maquillage che certamente troverebbe estimatori, ma priverebbe la comunità di una fonte continua di entrata; e oltretutto senza spiegare come equilibrare il bilancio per i mancati dividendi annuali.
Siamo disponibili a confrontarci sulle proposte, ma prima Fabbri e i suoi ci dicano cosa hanno in mente, e poi possiamo discutere della vendita delle azioni Hera. Ci dicano qual è il progetto qualificante che vogliono realizzare con le sostanze pubbliche e su quello confrontiamoci, perché una volta venduta la terra di famiglia, il grano va comprato al mercato.
Su questo, dopo sei mesi di chiacchiere, attendiamo dai “campioni del cambiamento” una visione della Ferrara di domani.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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