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Judith viene dalla Terra del sole. Non solo perché è nata in Argentina e l’Italia è la sua seconda casa, ma perché i suoi occhi e il suo sorriso sprigionano una luce ed un’energia contagiose. Un’empatia che sa trasmettere anche attraverso lo sguardo di un obiettivo, tanto che le modelle dei suoi ritratti appaiono rilassate, accoglienti, raggianti. Proprio come l’autrice delle fotografie. Judith Balari ha il dono di riuscire a catturare la bellezza. C’è da perdersi tra le centinaia degli scatti di Judith (www.juzaphoto.com): immagini che incantano, che infondono un senso di profonda meraviglia. Fotografie che spaziano dai paesaggi sterminati – si pensi ai suoi ‘Landascapes’, tra i quali spiccano ‘Frozen blue’, oppure ‘Over The Clouds’ – al miracolo minuscolo di ‘una famiglia di gocce’ (‘The drops’ family’).E ancora fiori sorprendenti, bambini che giocano con le bolle di sapone: colori vivaci imbevuti di luce. Reportage di viaggio, natura e architettura, con un occhio attento a cogliere il particolare, il ricamo, la dolcezza, l’armonia. Immagini spontanee accanto a studi più ricercati, come ‘Keeping the balance’, immagine surreale e poetica al tempo stesso: in equilibrio sui tacchi e sul filo di un binario, la figura sensuale di una donna oscilla tra un ombrello e il bacio dei papaveri rossi. Occhi chiari e profondi, capelli biondi, lunghi e ribelli, Judith Balari è insegnante di inglese, parla tre lingue, ha amici di ogni continente: insomma è una cittadina del mondo. In quanto artista, poi, parla un linguaggio universale. Quello delle emozioni.

Keeping the balance

Puoi raccontarci un po’ della tua storia?
Il mio amore per le immagini è cresciuto nel corso degli anni. La devozione per la natura (e per la sua interpretazione) la devo a mia madre, Olga, dotata di talento artistico nel disegno e nella pittura. Da piccola sono cresciuta fra i pennelli, le tele, i quadri e l’odore di trementina. Quando sulle riviste vedevo delle immagini che mi colpivano, le ritagliavo e facevo un collage da appendere nella mia stanza. Ero affascinata dagli sguardi, dai colori, dai paesaggi: mi stendevo sul letto e, guardandoli, viaggiavo con la mia mente. A quindici anni ho cominciato a collezionare la National Geographic Magazine; ricordo che arrivava dall’America un giorno al mese: ogni volta era come aprire una scatola di cioccolatini, ogni pagina era un viaggio in un mondo lontano, ogni immagine accendeva il mio desiderio di essere una fotografa professionale. Lì ho conosciuto Steve Mc Curry: vedere e leggere i suoi reportage di viaggio per me era entrare in un mondo di avventure

Tu come ti senti: argentina o italiana?
Io mi sento argentina, anche se abito in Italia da tanti anni, il mio cuore e là, nella Terra che mi ha visto nascere. L’Argentina la porto nel cuore ovunque io vada. Sono italiana, per adozione, da 5 anni ormai e abito a Ferrara. Questa è la Terra dei miei antenati: tutti i miei bisnonni erano italiani, partiti dall’Italia prima del ventesimo secolo

Come hai ‘incontrato’ la fotografia?
Che cosa rappresenta per te? Ho iniziato a fotografare molti anni fa, in Argentina, quando mio padre ha regalato a mio fratello e me la nostra prima macchina fotografica, una Nikon Fe. Avevo 19 anni. A quei tempi non era solo una ‘camera’ qualsiasi, era una super camera ed io ho iniziato ad amarla dal momento in cui l’ho avuta fra le mani. Da allora la fotografia è diventata una grande passione: il mezzo perfetto per esprimere i miei veri sentimenti. Quando ho iniziato a fotografare, ho capito subito che si trattava di una forma d’arte che mi avrebbe permesso di esprimere il mio mondo interiore, proiettandolo sulla realtà che mi circondava. Sono continuamente alla ricerca di quei momenti magici, quando la luce perfetta abbraccia la natura in tutta la sua gloria. Ma non mi soffermo solo davanti a un paesaggio, amo fotografare i fiori, la gente, il cibo, l’architettura, l’arte in tutte le sue forme

C’è un’immagine alla quale sei più affezionata?
No, non credo. Ma ci sono delle immagini fatte nei miei viaggi che mi portano indietro nel tempo e per questo mi fa piacere rivederle, cosi respiro quell’istante, quell’emozione che ho sentito tempo fa. Una fotografia, un profumo, un odore: sono come macchine del tempo. La fotografia è anche questo…è magica!

Chi ti ha insegnato di più nella vita?
I miei genitori: quello che sono, lo devo a loro. Da mia madre ho ‘bevuto’ la sua arte, e lei, anche se manca da parecchio tempo, è il mio photoshop più aggiornato. Mi ricordo quando mi insegnava a mescolare i colori. Mi diceva “nel dipinto devono esserci luci ed ombre, così ottieni profondità”: far sembrare una immagine tridimensionale è solo una questione di luci, chiare ed scure, tutto lì. Passavamo delle ore osservando i libri dei grandi maestri della pittura. Lei mi ha insegnato a dipingere, colori ad olio ed acquarello: insieme dipingevamo fino alla sera e ci facevamo le critiche a vicenda… La pittura mi ha aiutato molto nella composizione dell’immagine fotografica

Quali difficoltà hai incontrato?
Credo che la più grande difficoltà sia stata trasferirmi in Italia. È stato molto difficile, all’inizio, molto…. ho riflettuto quanto avevano sofferto i miei antenati lasciando l’Italia per andare a vivere in Argentina, dall’altra parte del mondo. E mi sono detta: “Se loro ce l’hanno fatta, perché io no?” Grazie a Dio, il popolo italiano mi ha ricevuto a braccia aperte e questo non lo dimenticherò mai

Quali soddisfazioni hai raccolto?
Ho partecipato a tante mostre collettive, con il Fotoclub Ferrara, così come a presentazioni personali dei miei lavori di fotografia. Da due anni collaboro con alcune ditte Italiane, ad esempio con Food Photography, una categoria di fotografie alla quale mi sono veramente appassionata: non è facile, e richiede tanto tempo, scattare una fotografia che faccia venire l’acquolina in bocca. Vedere le mie immagini in mostra, in fiere internazionali, in grande formato, mi dà una grande soddisfazione. Inoltre sono stata invitata a partecipare a una mostra in una Galleria d’Arte accanto a nomi importanti della fotografia mondiale: è stato un piacere e un onore

A chi ti ispiri nella tua arte? Chi è il tuo autore preferito?
Per me la foto deve essere come un quadro, se si tratta di un paesaggio penso alla luce degli impressionisti, se è un ritratto a Caravaggio,… Ho amato e amo due grandi della fotografia francese: Henri Cartier-Bresson e Robert Doisneau. Quelle fotografie scattate durante e dopo la guerra mi hanno toccato il cuore. Credo che il mio amore per la fotografia sia iniziato quando ho scoperto questi autori e il loro modo di vedere il mondo. Oltre ad essere fotografa, sei insegnante di inglese

Ti piace insegnare? Perché?
Insegno da oltre 30 anni. Da piccola amavo fare la maestra: quando avevo tre anni mi sedevo su un tappeto nella mia stanza e mettevo le bambole sedute come se fossero in aula….tutte le mie bambole andavano alla mia scuola! Sono fortunata a svolgere un lavoro che amo profondamente e che mi ha dato mille soddisfazioni. Insegno lingue da una vita, sono professoressa di inglese, in Italia ho insegnato in scuole private per tanti anni, poi all’Università Popolare di Ferrara e Inglese Scientifico all’Università degli Studi di Ferrara, nella Facoltà di Medicina. Ma insegnare fotografia – al Fotoclub Ferrara e al CAI, Club Alpino Italiano – è stata una delle soddisfazioni più belle

Che cos’è per te la vita? La vita …che cos’ è?
La vita è un lungo viaggio, da condividere, da sperimentare, è come un viaggio in treno, ho letto una volta, con fermate e destinazioni diverse… la vita va vissuta pienamente e io ringrazio Dio per tutte le opportunità che mi ha regalato in questo lungo percorso, ma soprattutto le persone che mi ha fatto conoscere in ogni posto visitato.
Come dice la grande Violeta Parra in “Gracias a la vida”… “Grazie alla vita che mi ha dato tanto/ mi ha dato due soli, che quando li apro/ perfetto distinguo il nero dal bianco/ e nell’alto cielo lo sfondo stellato/ e in mezzo alla folla l’uomo che io amo”
Grazie!

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Eleonora Rossi


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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