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Il nostro cervello si è evoluto per sopravvivere all’enorme quantità di stimoli ambigui a cui siamo continuamente sottoposti, in modo da elaborare una (e non la) risposta. Ciò porta anche a degli errori nel ragionamento, una sorta di scorciatoie o inganni mentali.
In effetti, una delle componenti centrali della psicologia umana è lo sforzo teso a evitare il disagio mentale, secondo un meccanismo di “difesa dell’io”. Quando infatti ci troviamo di fronte a informazioni che smentiscono ciò in cui crediamo, si crea una tensione psicologica, che viene spesso risolta cambiando una delle proprie convinzioni. Eppure, la convinzione che cambia non è sempre quella che si è dimostrata sbagliata, perché ci sono molti modi per modificare un insieme di credenze, e non tutti sono razionali.
La nascita e la diffusione del concetto di “bias” (o “pregiudizi”) cognitivi si possono ricondurre all’inizio degli anni Settanta, grazie al programma di ricerca di Daniel Kahneman e Amos Tversky, che aveva lo scopo di comprendere in quale modo gli esseri umani prendano decisioni in contesti caratterizzati da ambiguità, scarsità di risorse disponibili o incertezza. Nel 1974, con l’articolo Judgement Under Uncertainty: Heuristics and Biases, i due studiosi sconvolsero il mondo accademico presentando la scoperta di tre bias. Il loro contributo fu rivoluzionario, concorse a fondare il campo dell’economia comportamentale e a minare la prospettiva della “scelta razionale” che dominava nell’economia; l’effetto fu quindi potente anche su altre discipline, tanto che Kahneman nel 2002 ricevette il Premio Nobel per l’Economia.
«Il bias cognitivo nasce come conseguenza dell’applicazione di un’euristica. […] Il ragionamento di tipo euristico, in opposizione a quello di tipo algoritmico, prevede che si giunga ad una risposta/output affidandosi all’intuizione piuttosto che seguendo un procedimento di verifica sequenziale degli step necessari allo scopo. Tale stile decisionale è preferibile in quelle circostanze in cui la scarsità di risorse cognitive e di risorse temporali impediscono una valutazione approfondita e ponderata di tutti gli elementi o quando l’output richiesto al sistema cognitivo concerne procedure familiari o già consolidate» (Cannito, 2017).
Nonostante in alcune circostanze il pensiero intuitivo offra numerosi vantaggi (come la velocità, il parallelismo, l’assenza di sforzo), in altre ci porta a formulare conclusioni errate sul mondo.
La ricerca per indentificare gli errori in cui la nostra mente può incorrere è in continua evoluzione e la lista di bias cognitivi conosciuti è in continuo aggiornamento. Ad oggi ne sono descritti oltre cento, alcuni molto diversi tra loro per ciò che concerne il meccanismo di genesi e il target dell’errore.
Ecco alcuni esempi di bias (tratti dalla tabella di Ceschi, Sartori e Rubaltelli, 2012):

Affection effect Riguarda l’influenza della connotazione affettiva verso gli oggetti che può alterare il processo razionale di presa di decisioni.
Anchoring heuristic Riguarda l’effetto che hanno i punti di riferimento nelle valutazioni compiute dagli individui.
Aversion to ambiguity I decisori sono avversi all’ambiguità
Belief bias Si tratta di un bias cognitivo che induce gli individui a prendere una decisione sulla base delle loro convinzioni.
Confirmation bias Si tratta di una tendenza che induce gli individui a preferire le informazioni che confermano le loro ipotesi ed a evitare possibilità contrarie.
Framing È un fenomeno che influenza la percezione decisionale, sulla base di un contesto di decisione positivo o negativo.
Regression toward the mean È un fenomeno che induce gli individui a non considerare l’effetto del caso su una serie di eventi

Bibliografia:
– Lotto, B. (2017). Percezioni. Come il cervello costruisce il mondo. Torino: Bollati Boringhieri.
– McIntyre, L. (2018). Post Verità. Trad. it. di A. Lanni. Torino: UTET Università, 2019.

Sitografia:
– Cannito, L. (2017). Cosa sono i bias cognitivi?. https://www.economiacomportamentale.it/2017/07/27/cosa-sono-i-bias-cognitivi/ [consultato il 25/04/2021].
– Ceschi, A., Sartori, L. e Rubaltelli, E. (2012). Un approccio empirico per una tassonomia delle euristiche e dei bias cognitivi. https://iris.univr.it/handle/11562/470757#.X_CdMNhKhPY [consultato il 25/04/2021].
– McIntyre, L. (2015). The Attack on Truth: We have entered an age of willful ignorance. https://www.chronicle.com/article/the-attack-on-truth/?cid=gen_sign_in [consultato il 25/04/2021].

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Vittoria Barolo

Dagli studi classici alla laurea in comunicazione. Una giovane che ricerca la sua strada, tra il fascino per la sua terra, il Polesine, e un occhio di riguardo per l’ambiente. Le piacciono i cani, il cioccolato, le foto e le piante carnivore.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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