SEGUE. Passato il Santo passata la festa, ma non per noi. Anche se è il 9 marzo, continuiamo a raccontare della vita delle donne che hanno avuto un peso nella storia della civiltà. Per quelle che oggi continuano su questa strada, ma delle quali non conosciamo nomi né storie, cerchiamo tutti di aguzzare la vista e l’udito: ce ne sono tante e non sono mai troppo lontane. A loro il nostro grazie.
Artemisia Gentileschi: pittrice romana vissuta nel 1600 (1593 – 1653), la sua estetica si potrebbe innestare senza fatica nell’immaginario dell’arte caravaggesca, ma la sua fama postuma viene legata soprattutto al processo per stupro al quale trascinò uno dei suoi maestri di pittura.
Primogenita del pittore Orazio Gentileschi, Artemisia fu istruita ed educata alla bellezza e all’arte. Grazie alla vicinanza del padre alle botteghe romane, ebbe l’opportunità di osservare da vicino molte opere che vari pittori, intorno a lei, stavano producendo in quel momento: dalla Galleria Farnese, affrescata da Annibale Carracci, alla alla chiesa di S. Luigi de Francesi, dove stava all’epoca lavorando Caravaggio. Al tempo la carriera artistica per una donna era un’idea pressoché inconcepibile, eppure – spinta e sostenuta dal padre, con il quale lavorava – Artemisia Gentileschi riuscì ad inserirsi nel contesto artistico della Roma del Seicento, arrivando a conoscere diversi pittori, tra cui lo stesso Caravaggio e il nipote di Michelangelo. Affidata al paesaggista Agostino Tassi perché imparasse le regole della prospettiva, questi si invaghì della bella allieva. Le cronache del tempo vogliono che i due avessero una tresca amorosa e che Orazio, disgustato dalla relazione, denunciò l’amico Tassi per stupro. La realtà dei fatti non è chiara, ma lo stesso Tassi ammise di aver violentato la giovane nel corso di un cruento interrogatorio. Gli atti del processo sono raccolti in “Lettere precedute da Atti di un Processo”, della stessa Artemisia, che scriveva: “… quando fummo alla porta della camera lui mi spinse e serrò la camera a chiave e doppo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto …. e doppo ch’ebbe fatto il fatto suo mi si levò da dosso et io vedendomi libera andai alla volta del tiratoio della tavola e presi un cortello et andai verso Agostino dicendo: “Ti voglio ammazzare con questo cortello che tu m’hai vituperata””.
Dopo il processo sposò un pittore fiorentino, Pietro Antonio di Vincenzo Stiattesi, che frequentava come lei l’Accademia del Disegno, dove Artemisia diventò socio ufficiale nel 1616. In questo periodo produsse tante opere, fra le quali la celebre “Giuditta che decapita Oloferne”. A Firenze la nostra artista vinse il sostegno delle famiglie De Medici e Buonarroti. Da quest’ultima ricevette la commissione di completare un affresco all’interno della propria residenza e – nel frequentare l’Accademia – divenne amica di Galileo Galilei.
Celebre e riconosciuta nel panorama culturale fiorentino, grazie alla collaborazione con il padre Orazio pote’ viaggiare e farsi apprezzare a Genova, dove incontrò Anthony Van Dick, tornare a Roma e proseguire nella sua crescita artistica, conclusasi a Napoli dove si spense nel 1653, lasciando un’opera di 34 dipinti e 28 lettere.
Ada Lovelace (1815 – 1852) è stata il primo programmatore della storia. Il suo nome era Augusta Ada Byron, unica figlia del poeta inglese George Byron, non ebbe mai contatti con il padre e fu spinta dalla madre – che temeva che la ragazza potesse in qualche modo seguire le orme del padre – allo studio delle materie scientifiche. Di salute cagionevole, la giovane Ada non smise mai di studiare e, viste le notevoli capacità riconosciutele, venne affidata a eminenti matematici dell’epoca perché la istruissero sui più complessi e moderni modelli di analisi e calcolo matematico.
A oggi è considerata una pioniera dell’informatica, poiché contribuì in maniera significativa all’ideazione della macchina analitica ideata da Charles Babbage, conosciuto nel 1833. Babbage stava lavorando a una macchina di calcolo: si trattava di una struttura fatta con diversi ingranaggi numerati capaci di fare calcoli. Ada fu affascinata dal progetto che era solo un prototipo e cominciò una collaborazione intensa con il matematico: nei suoi appunti è stato rintracciato un algoritmo per generare i numeri di Bernoulli, il primo algoritmo creato per essere elaborato da una macchina di calcolo. In un suo articolo, pubblicato nel 1843, la Lovelace descriveva tale macchina come uno strumento programmabile e, con incredibile lungimiranza, prefigurava il concetto di intelligenza artificiale, spingendosi ad affermare che la macchina analitica sarebbe stata cruciale per il futuro della scienza, anche se non riteneva che la macchina potesse divenire “pensante” come gli esseri umani. Negli Stati Uniti Ada Lovelace è diventata il simbolo “di quello che le donne possono fare se ne hanno l’opportunità” e la sua figura è persino festeggiata il 15 ottobre di ogni anno.
Sheikha Al-Mayassa è la presidente del Quatar Museum e, anche se in Europa il suo nome non dice granché, in realtà è una delle donne più influenti nella vita culturale dei nostri giorni. Sheikha Al-Mayassa bint Hamad bin Khalifa al-Thani, questo è il suo nome per esteso. Nel 2013 fu definita dalla rivista di arte contemporanea ArtReview la “personalità più influente del mondo in campo artistico”. Mayassa è figlia di Hamad al-Thani, ex emiro del Quatar e uomo fra i più ricchi del mondo, e di Mozah (seconda moglie dell’emiro e vera eminenza grigia del piccolo emirato). Pochi anni fa suo fratello Sheikh Tamim ha ereditato il titolo di emiro del Qatar e ha voluto che Mayassa mantenesse il ruolo per il quale è stata educata: mettere l’allora sconosciuto Qatar al centro del mappamondo artistico internazionale, trasformando Doha in una delle capitali mondiali della scultura, dell’architettura e della pittura. Con un budget stellare la giovane donna, laureata alla Duke University, ha acquisito una collezione di opere d’arte di tutto rispetto, ha implementato il museo di arte islamica dell’archistar Pei sul lungomare e quello di arte araba contemporanea alla periferia della città. Nel contempo, Mayassa – attraverso l’organizzazione non governativa Reach Out To Asia – è impegnata in una costante campagna di alfabetizzazione, per la diffusione dell’educazione primaria e secondaria di alto livello rimanendo all’interno della propria comunità locale.
Dorothea Lange (1895 – 1965) è stata una fotoreporter. La giovanissima Dorothea studiò fotografia a New York sotto la guida di alcuni fotografi celebri e a soli 18 anni partì per una spedizione fotografica per il mondo. Rientrata negli Stati Uniti, aprì uno studio a San Francisco e sposò il pittore Maynard Dixon. Vicina ai fotografi del Gruppo F/64, aderì alla filosofia della “straight photography”, una fotografia pura che non doveva avere alcuna velleità qualitativa, tecnica o stilistica, ma doveva dedicarsi in maniera essenziale, diretta a catturare la quotidianità del mondo e delle attività umane.
Dorothea raccontò la vita degli Stati Uniti con la sua capillare opera di ricognizione tra disoccupati e senzatetto della California, fra i contadini mandati sul lastrico dalla desertificazione, immigrati, braccianti e operai. Divorziata da Dixon, Dorothea sposò George Rodger, cofondatore dell’agenzia Magnum (1947) e della rivista Aperture (1952). Il rapporto con Rodger rese Dorothea più consapevole delle proprie capacità di narratrice per immagini e nella sua produzione di quel periodo troviamo scatti che sono diventati emblema della storia della fotografia, come “Migrant motore”, ad oggi il suo scatto più celebre.
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dal 23 al 26 ottobre 2024
Quattro giorni di eventi internazionali dedicati al cinema indipendente, alle opere prime, all’innovazione e ai corti a tematica ambientale.
Ingrid Veneroso
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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it