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di Riccardo Rimondi

“Il 29 maggio avevo detto che avremmo regolarmente cominciato l’anno scolastico il 17 settembre, e quando l’ho detto stavo piangendo. A due anni di distanza, devo dire che è andata bene”. Patrizio Bianchi, ferrarese, assessore regionale a Scuola, formazione, università, non ha dubbi: la ricostruzione del tessuto scolastico, messo in ginocchio dalle scosse che il 20 e il 29 maggio 2012 hanno colpito la Bassa emiliana, merita una promozione a pieni voti. “Il nostro punto di forza è stato l’averlo fatto insieme. Il commissario non era inviato dall’esterno ma era un rappresentante della comunità (Errani, ndr), i sindaci sono stati fantastici e lo è stata la struttura tecnica inviata dalle altre Regioni. E anche le imprese ci hanno aiutati, sia materialmente sia mostrando di volere restare”. Dopo ventiquattro mesi e oltre quattrocento scuole rimesse in piedi, l’assessore regionale alla scuola è convinto che questo terremoto sia stato, per l’edilizia scolastica, una lezione da ricordare per il futuro: “Basta edifici storici, dobbiamo ripensare il nostro patrimonio scolastico. Il sisma ci ha insegnato come devono essere costruiti gli edifici: su un piano, con materiali leggeri e antisismici, predisposti al fotovoltaico e in grado di consumare meno energia di quella che producono”.

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Il ferrarese Patrizio Bianchi, ex rettore di Unife, è assessore regionale a Scuola, formazione, università e ricerca, lavoro

Assessore, due anni fa il terremoto danneggiava 450 edifici scolastici, colpendo 70 mila studenti. A due anni di distanza, qual è il bilancio?
Quando abbiamo fatto la prima verifica, il 28 maggio, gli edifici danneggiati erano 100. Il giorno dopo, con la seconda, siamo arrivati a 450. L’area coinvolgeva circa 70 mila studenti, e 18 mila avevano le scuole del tutto inagibili. Fin da subito abbiamo fatto una verifica in tutti gli edifici: entro luglio avevamo verificato gli oltre 600 nel cratere, entro settembre abbiamo controllato tutti quelli della Regione. I ragazzi hanno iniziato tutti la scuola il 17 settembre. A fine anno erano tutti al caldo, dentro edifici temporanei di lunga durata o dentro i moduli. Abbiamo deciso di fare una trentina di moduli temporanei dove le scuole erano state danneggiate ma potevano essere recuperate. Dove abbiamo fatto quelli di lunga durata, abbiamo quasi dappertutto ampliato le strutture con biblioteche, palestre, territori. Abbiamo tenuto i moduli temporanei del Calvi-Morandi di Finale e del Galilei di Mirandola, perché nel frattempo la Provincia stava ristrutturando le scuole originarie, che sono in cemento armato e richiedevano più tempo delle altre per essere messe a posto. In ogni caso, il ripristino dovrebbe avvenire entro il 30 settembre. A Finale abbiamo costruito anche dei laboratori, dove stiamo sviluppando dei progetti di creazione d’impresa. Tutte le scuole sono state cablate, quindi abbiamo messo lavagne multimediali in tutte le aule.

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Un asilo riattrezzato dopo il sisma

Quante scuole sono quelle in cui bisogna intervenire?
Tolti i casi di Finale e Mirandola, che sono di competenza della Provincia, noi abbiamo finito le scuole l’anno scorso. Nell’ultimo anno, abbiamo fatto solo lavori di ampliamento. Dato che all’inizio dell’anno scolastico avevamo fatto solo le aule, abbiamo aggiunto le biblioteche, le palestre, i laboratori e le mense. Avendo costruito le scuole per moduli, abbiamo solo dovuto aggiungere i “pezzi” di cui c’era bisogno.

Il 29 maggio alle due avrebbe mai detto che tre mesi e mezzo dopo sareste riusciti a far ripartire l’anno scolastico ovunque?
Io l’avevo già detto. Il 20 maggio avevamo detto che saremmo ripartiti il 17 settembre, e c’è voluta una bella incoscienza per fare una dichiarazione del genere. Il 29 maggio l’ho ripetuto, e stavolta piangevo. L’ho detto più per volontà che per altro. L’ho detto perché ci contavo. Devo dire che ci è andata bene. Sono stati fantastici i sindaci, è stata fantastica la struttura tecnica che le altre Regioni ci hanno dato. Perché sono stati in tanti ad aiutarci.

Qual è stato il vostro punto di forza?
L’averlo fatto insieme. Non c’era il commissario esterno. Io ho confrontato la nostra situazione con quella che c’era, purtroppo, in Abruzzo. Quando ci sono i terremoti, generalmente viene nominato un commissario esterno e viene sospesa la struttura di rappresentanza civile. Noi abbiamo fatto il contrario: pensavamo che il commissario dovesse essere il presidente della Regione e che il vice, in ogni territorio, dovesse essere il sindaco. Questo ha rafforzato ancor più la comunità. Quando viene un terremoto non si spaccano solo le pietre, si spacca soprattutto la comunità. Quando è venuto il terremoto all’Aquila hanno spostato la gente in posti anonimi, e dopo cinque anni le persone sono rimaste lì. Noi abbiamo deciso di tenere la gente nel suo territorio, in modo che ciascuno avesse come referente il suo sindaco piuttosto che il suo parroco. E poi siamo stati equi: per noi tutte le scuole erano uguali, le abbiamo trattate tutte allo stesso modo. A Mirabello c’erano una scuola parrocchiale e una statale, le abbiamo rifatte insieme e questo ha ricompattato la gente.

Qual è stata la scommessa più grossa che avete vinto?
La cosa più difficile è stata proprio questa, dare a tutte le persone l’idea che stavamo ricominciando, che eravamo sul pezzo, che avevamo appuntamenti fissi e che non potevamo mancarli. Non abbiamo detto “adesso l’emergenza e poi la ricostruzione”, abbiamo fatto vedere che partivamo subito con la ricostruzione.

Cosa non ha funzionato, invece?
Sulla struttura delle scuole, io credo il rapporto continuo con tutta la filiera, dalle autorità statali a quelle locali e alle imprese, abbia funzionato. Temevamo che ci potesse essere una forte pressione della malavita, ma lavorando sulla comunità siamo riusciti a tenerla fuori. Certo, so che ci sono ancora dei problemi con le case e con le imprese, ma noi ci siamo concentrati sulle scuole. Avendo avuto un mandato così preciso su qualcosa che tutti sentivano comune, ci siamo concentrati su quello. Forse l’unico neo è stato il falso allarme di inizio giugno, che però ci ha permesso di mettere in azione tutte le strutture di allarme e di tenere la macchina “in tiro”.

Ultimamente si è parlato molto di collaborazione fra sistema scolastico e impresa. Quanto vi hanno aiutato, se vi hanno aiutato, le imprese nella ricostruzione delle scuole?
Al di là dell’aiuto materiale che molte ci hanno dato donando denaro, strumenti e laboratori, le imprese ci hanno aiutato perché hanno rafforzato la comunità. Hanno fatto vedere che non se ne andavano via. Se dopo il terremoto le multinazionali di Mirandola fossero andate via, sarebbe stato preoccupante. Invece sono rimaste tutte e l’hanno fatto vedere. Tutte dicevano di ripartire dalla scuola, che era il riferimento. E così l’intera comunità ha sentito che nessuno scappava.

Cosa resta da fare?
Stiamo continuando nell’opera di rafforzamento e consolidamento di tutto il patrimonio scolastico della Regione. Stiamo inducendo Comuni e Province a ripensare il loro patrimonio scolastico sulla base di quello che abbiamo imparato in quei giorni. Stiamo trasferendo al governo nazionale tutto quello che abbiamo imparato su come ci si muove in questa fase, come si può costruire.

In pratica, questo terremoto vi è servito per capire come si devono costruire le scuole nuove?
Sì. Noi siamo arrivati con un patrimonio che spesso era fatto di edifici storici. Ora sappiamo che le scuole devono essere fatte con materiali leggeri, assorbenti del rumore, antisismici, in grado – spesso – di consumare meno energia di quella che producono. Sappiamo che gli edifici devono essere predisposti al fotovoltaico, che devono essere cablati, che devono essere su un unico piano con un’uscita sul corridoio e una esterna. Stiamo inducendo i Comuni a tenere gli edifici storici che erano usati come scuole per altri utilizzi, come biblioteche o sedi civiche, e ricostruire il polo scolastico con metodi nuovi. Stiamo aiutando i Comuni a costruire gli altri edifici pubblici danneggiati in quel modo, e stiamo inducendo tutta la Regione a ripensare il proprio patrimonio. Dato che ora c’è un fondo nazionale rivolto ai Comuni, stiamo parlando col sottosegretario Reggi e con le amministrazioni locali per dir loro di fare delle progettazioni tenendo conto di ciò che abbiamo imparato.

[© www.lastefani.it]

Vedi la mappa delle 58 nuove scuole costruite dopo il terremoto

Vedi il video Il battito della comunità, realizzato dalla Regione Emilia Romagna sulla ricostruzione post-sisma 

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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