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di Andrea Poli

Il surf è una attività del corpo e dello spirito che spesso porta alla “Illuminazione”. I surfisti sono un po’ come i lettori, cioè cercano l’onda perfetta così come i lettori cercano il libro perfetto. Sono sempre stato un propugnatore dell’e-book, della biblioteca digitale, dei servizi in rete, ma nei mesi del “lucchetto abbassato” mi sono un po’ ricreduto poiché non c’è vera informazione senza interazione umana, sia tra il lettore e il bibliotecario, sia tra il lettore, l’edificio stesso e le persone che lo frequentano. Mercoledì 27 maggio riaprono le Biblioteche della città, ma non andrò a fare prestiti, né a restituire i libri. Se il mercoledì e il sabato sono certo di non “infettarmi”, allora perché non gli altri giorni della settimana? 8 ore settimanali di certezza assoluta e mascherata che quando varcherò i cancelli del sapere sarò protetto dal “vairus”, ma non dal pressapochismo. Io vorrei essere protetto almeno 30 ore a settimana. Sto comunque dalla parte dei bibliotecari che certamente odiano le maschere perché limitano l’uso della parola e impongono lo studio della chimica per comprendere meglio il processo di interiorizzazione carbonica del respiro e spiegarlo poi agli utenti quando chiedono: “Ma non le dà fastidio la mascherina indossata tutto il giorno”? Questo Mercoledì da Libroni può andare bene per il movimento dei prestiti e una nuova circolazione della lettura, ma “avevo un sogno e ora questo sogno si sta sgretolando davanti a me”. Temo infatti, (e qui poco c’entra per il momento la politica locale o il colore del partito), che questo sia il primo passo verso quel processo di chiusura e trasformazione dei luoghi del sapere. Sappiamo che il prestito on line ha avuto, nei due mesi di follia zombie, un incremento rilevante, ma questo assomiglia più ad un pazzesco salto in avanti su un modo nuovo di intendere la ricerca o la lettura, più che ad un successo per le biblioteche digitali. Le biblioteche potrebbero chiudere, alcune per sempre, altre per vari giorni alla settimana, costringendo le persone a ricerche (spesso difficili e infruttuose) on line, spostando la domanda sempre più sulla Rete e non sul “recarsi fisicamente in biblioteca”. Wikipedia (o Enciclopedia Galattica pensata da Asimov 70 anni fa), nonché il dizionario Treccani on line, hanno costretto, negli anni passati, la stragrande maggioranza delle biblioteche a “svendere” le grandi enciclopedie arrendendosi allo strapotere di internet. Chi mi dice che domani o al massimo dopodomani, la lettura non sarà spostata totalmente sul digitale e la ricerca dello studioso limitata a poche ore settimanali in locali controllati da “Police around the world” anziché bibliotecari? Altre domande premono: e le sale studio, la socializzazione? E il confronto tra lettori e lettori sul tal libro e sul talaltro? E gli amori che sono nati nelle biblioteche grazie alla circolazione torrenziale delle persone, soprattutto giovani universitari o ultra giovanissimi? Useremo Skype per flirtare con quello/a che studia al tavolo vicino? Ci saranno ancora tavoli e luoghi e prese usb per studiare? Ho fatto una statistica totalmente inventata, ma che corrisponde al vero: La percentuale di laureati all’Università di Ferrara che hanno frequentato l’Ariostea (o le altre decentrate) è oltre il 90%. Vogliamo abbassarla, alzarla? Tanto è inventata. Va bene, ma se conoscete il variegato mondo degli habitué delle biblioteche, vi accorgerete che la statistica è relativa rispetto allo scambio qualitativo che avviene tra i fruitori del servizio e il servizio stesso. D’accordo “il motore è da rifare”, però potrebbe funzionare e non cedere totalmente alle lusinghe della robotica, ma tentare di preservare “l’umano che è in noi”. Terminerei così, tanto per non dimenticare: Se prima l’apertura della nuova Rodari era stata fermata perché da ridefinire, ora scordarsela è cosa certa. Chi aprirebbe una nuova Biblioteca durante il mondo zombie? Io sì, grazie.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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