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Da: Organizzatori

Per mesi hanno cercato, incontrato, ascoltato testimonianze di quei tempi tragici, hanno frugato in archivio, rielaborato i ricordi di chi c’è ancora e hanno creato “Risonanze”, “Breccia”, “Impulso”, “La battaglia di Porta Lame”, “Piano nobile” e “Il silenzio del ricordo”, sussurri e grida da un passato in cui non solo loro ma nemmeno i loro genitori erano ancora nati.
Nell’ambito di un progetto di collaborazione tra ANPI e Accademia di Belle Arti, alcuni giovani artisti si sono misurati con la storia della Resistenza bolognese e in particolare con il tema della stampa clandestina e del ruolo esercitato dalle donne non solo nel diffondere le informazioni ma anche come parte attiva nel reperirle, impaginarle, comporle e trasmetterle, rischiando in prima persona.
Ne è nato Segni di Resistenza, singolare dialogo fra l’Accademia e la città che coniuga singole opere a una serie di segni sparsi nel territorio in un continuo divenire nel tempo e nello spazio.
In occasione dell’8 marzo la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio di Bologna rilancia il fortunato progetto già allestito all’Istituto Parri per ospitare nel Salone d’Onore di Palazzo Dall’Armi Marescalchi, fino al 29 marzo, sei opere particolarmente significative, di cui due inedite, selezionate da Mili Romano e Gino Gianuizzi.
L’esposizione sarà presentata venerdì 8 marzo, alle ore 16, dalla soprintendente Cristina Ambrosini, da Mili Romano, docente all’Accademia di Belle Arti, dalla presidente dell’Anpi provinciale Anna Cocchi e dai giovani artisti allievi che hanno messo la propria energia creativa al servizio della memoria; interverranno anche Jadranka Bentini e Mauria Bergonzini che sin dall’inizio hanno collaborato con i giovani artisti.
Durante la Resistenza la stampa ha avuto un ruolo centrale, ogni partito del Comitato di Liberazione Nazionale aveva il proprio periodico prodotto, stampato e distribuito in clandestinità soprattutto grazie all’impegno delle staffette e dei Gruppi di difesa della donna. Mancava sempre tutto: carta, ciclostili, inchiostro, spazi sicuri. Eppure giornali, avvisi e bollettini uscivano in continuazione fornendo sia informazioni di tipo politico che direttive pratiche per la lotta resistenziale. In quest’opera di produzione editoriale, di capillare diffusione ma anche di propaganda fra civili e militari perché si unissero alle formazioni partigiane, l’impegno profuso dalle donne non sarà mai a sufficienza sottolineato.
Le opere in mostra narrano il percorso dei giovani artisti, i segni effimeri o permanenti lasciati nella città e la loro attualizzazione del passato attraverso i linguaggi artistici più diversi, esperienze multiformi che recuperano dall’oblio tracce dimenticate, lasciando un messaggio che è anche promessa per il futuro.
Gli interventi artistici presenti in mostra sono di Sara Ayesa, Alessandra Carta, Beatrice Caruso, Matteo Alessandro D’Antona, Ana Ferriols Montanana, Elisa Perrone, Gabriella Presutto e Margherita Tony Raponi.
“Il silenzio del ricordo” è un libro d’artista-archivio “tattile” realizzato da Matteo Alessandro D’Antona, “La battaglia di Porta Lame” è un’installazione audio di Gabriella Presutto che riporta il racconto degli ultimi testimoni, “Breccia” si compone di una serie di volantini realizzati da Sara Ayesa, Ana Ferriols Montanana e Margherita Tony Rasponi che riattualizzano i testi di vecchi ciclostilati, e “Impulso” è la mappa tracciata da Alessandra Carta che avvicinando simbolicamente la Resistenza storica e la sua forza d’urto alla “resistenza” di un circuito elettrico, si spezzetta anche in una serie di adesivi che segnano i vari luoghi della città che hanno aderito al progetto.
A queste opere se ne aggiungono due inedite, l’installazione video “Piano nobile” di Beatrice Caruso e l’installazione audio “Risonanze” di Elisa Perrone.
Una visionaria segnaletica stradale restituisce come “reperti” di un archivio diffuso l’inedito diario di Luciano Bergonzini, partigiano e studente universitario, la camicetta rossa di Vinka Kitarovic, giovanissima partigiana, e volantini che chiamano le donne all’azione le donne: toccanti apparizioni negli spazi verdi della città.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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