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da: Paola Peruffo – Coordinatrice Provinciale Forza Italia Ferrara

Sulla sanità si gioca una larga fetta dei destini elettorali, questo è un dato di fatto. Così come appare chiaro che il voto sulle Linee Guida della riorganizzazione ospedaliera ferrarese ha evidenziato prese di posizione ben precise da parte degli amministratori comunali del territorio, tra cui anche esponenti di area Pd.
C’è chi si sorprende del fatto che ben 4 sindaci del Partito Democratico, tra gli altri, abbiano detto NO al piano di riorganizzazione. La maggior parte dei cittadini più che stupiti, sono preoccupati. Quello dei sindaci infatti potrebbe esser letto come un modo per non assumersi la responsabilità di scelte estremamente delicate, compiute dalla politica regionale, così come un’autentica bocciatura ad opera di coloro che conoscono meglio di chiunque altri il polso della situazione dei rispettivi territori.
Sempre rivolgendomi a chi ora si stupisce, mi chiedo, per assurdo, come poteva, un sindaco del Basso Ferrarese, votare a favore di un piano che prevede certe scelte che i normali cittadini ritengono aberranti. Basterebbe dare un’occhiata a fatti ampiamente riportati dalle cronache: chiusura del reparto di ostetricia e pediatria del Delta (con la conseguenza che le gestanti di tutta la zona del Basso Ferrarese devono fare la spola con Cona), incertezza assoluta sulle sorti del San Camillo di Comacchio, dopo che solo pochi anni fa per quella struttura sono stati spesi 13 milioni di euro e tantissime promesse inutili, mancata definizione e avvio delle Case della Salute sugli altri comuni della provincia.
Senza contare le difficoltà oggettive in cui versa l’Arcispedale Sant’Anna che dovrebbe essere il cuore pulsante del piano di riordino: un buco enorme causato da un infausto project financing, i notissimi problemi alla viabilità, i parcheggi in mezzo al nulla presto a pagamento, ore infinite di attesa al pronto soccorso, trasferimento ancora non attuato del centro di riabilitazione San Giorgio, continua diminuzione dei posti letto che, in concomitanza con un’emergenza banale come il periodo dell’influenza, costringe alla chiusura delle sale operatorie, con il conseguente allungamento dei tempi di attesa, oltre a diversi altri gravi problemi che hanno portato all’aumento della mobilità passiva verso altre regioni.
Difficile non pensare che buona parte del territorio provinciale si senta abbandonata dalla politica e in particolare dalla regione. Quell’apparato in grado di sancire le strategie sulla dislocazione dei servizi di cura e che spesso si trincera dietro neologismi come hub, focus factory, day-service, utili a nascondere la drammaticità di certe scelte, ma che nella pratica non risolvono alcun problema.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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