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Da Freccia del Delta

Nei giorni 23, 24 e 25 marzo 2017, torna in scena con un nuovo lavoro “ La Famia ad Magnavaca “, la storica associazione culturale che da oltre 40 anni si occupa della preservazione del dialetto e della cultura locale in quel di Porto Garibaldi.
Si tratta di una commedia dialettale brillante in due atti dal titolo “ 48 morto che parla “.
La vicenda ha luogo all’interno di una camera d’ospedale, dove ricoverati e parenti si dovranno confrontare con decessi annunciati, testamenti, numeri ricevuti in sogno e giocati al lotto, in un crescendo di gag esilaranti e colpi di scena.
Il lavoro, scritto e diretto da Alessandro Pierotti, ed interpretato dal nucleo storico del gruppo, si inserisce nel filone della tradizione oramai consolidata portata avanti dalla associazione la quale, attraverso la preservazione del dialetto, mira a mantener in vita tradizioni, personaggi ed aneddoti che appartengono al vissuto ed alla storia paesana.
La Famia ad Magnavaca, nata nell’anno 1976 si è resa protagonista in oltre 40 anni di vita dell’allestimento di decine di spettacoli teatrali, della creazione di un circolo fotografico, dell’organizzazione di varie edizioni del Palio dei Rioni, dell’organizzazione da oltre un ventennio della Festa dell’Ospitalità, e di tante altre iniziative ed eventi di animazione culturale.
Stante la impossibilità di poter fruire del teatro ubicato presso il Centro Don Bosco di Porto Garibaldi, ove la Compagnia è nata e spera un giorno di poter tornare, la rappresentazione avrà luogo per il terzo anno consecutivo, presso l’Holiday Village – Camping Florenz di Lido degli Scacchi, presso la Sala Berba Arena, grazie alla gentile e squisita ospitalità della famiglia Vitali.
Anche quest’anno, l’incasso verrà devoluto alla locale Polisportiva Magnavacca, ed alla Parrocchia di Porto Garibaldi, la quale ha intrapreso importanti lavori di ristrutturazione del Centro Parrocchiale.
I biglietti sono in vendita presso il Mobilificio Carli, ubicato in Porto Garibaldi, Piazza Don Giovanni Verità.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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