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Prometeo, Epimeteo e… Apometeo

Nati da Giapeto – figlio di Urano e Gea – e da Climene – figlia di Oceano –, Prometeo e il fratello Epimeteo sono Titani, esseri appartenenti alla generazione divina precedente a quella di Zeus e degli altri dei olimpici: come si sa, nei miti (così come nella scienza), non c’è fine all’origine!

Epimeteo sta, etimologicamente, per «colui che pensa dopo aver agito» e Prometeo, al contrario, per «colui che pensa prima di agire».

Prometeo è senza dubbio il fratello più noto, in quanto è ricordato come colui che ha donato il fuoco agli esseri umani.

Dunque la storia della nostra specie, secondo la cosmogonia greca, inizia dai due fratelli Titani e tutto, secondo quanto vedremo, potrebbe concludersi grazie al “terzo” dei fratelli Titani, il meno conosciuto Apometeo, il fratello che ci servirebbe oggi: «colui che pensa più lontano per spronare ad agire oggi».

Come avrete capito Apometeo non è mai esistito: non è un Titano “vero” come gli altri due, ma in un tempo di fake news e di vere app chi potrà mai preoccuparsi di un “falso Titano”?

Andiamo con ordine. Partiamo dai due fratelli coinvolti nella nascita della nostra specie, secondo quanto ci viene raccontato da Platone nel Protagora (320 C – 324 A).

Ci fu un tempo in cui esistevano gli dei, ma non le stirpi mortali, cioè tutte le specie animali compresa la nostra. “Quando giunse anche per queste il momento fatale della nascita, gli dei le plasmarono mescolando… terra e fuoco e ordinando a Prometeo e a Epimeteo di distribuire con misura, a ciascuna specie vivente, appropriate facoltà ”.

Epimeteo chiese a Prometeo di poter fare da solo la distribuzione: “Dopo che avrò distribuito” – disse – “tu controllerai…”. Così nella distribuzione, Epimeteo decise di dare ad alcuni la forza, mentre ad altri destinò la velocità; ad alcuni fornì artigli, denti robusti,  mentre altri furono dotati di caratteristiche mimetiche, nascondigli sicuri e astuti accorgimenti a garanzia della propria sopravvivenza.

Ma Epimeteo non si rivelò affidabile: avendo consumato tutte le facoltà per gli esseri privi di ragione non si ritrovò nulla da assegnare al genere umano. Quando giunse Prometeo per controllare la distribuzione, si accorse di questa disparità e che il genere umano era nudo, scalzo, privo di giacigli e armi di difesa, in una parola, destinato a sicura e veloce estinzione.

Intanto era giunto il giorno fatale, in cui anche l’uomo doveva venire alla luce e quindi Prometeo, non sapendo come porre rimedio all’errore del fratello, rubò a Efesto e ad Atena il fuoco e la perizia tecnica per donarli all’uomo.

Prometeo venne punito dagli dei per il furto, ma da quel momento la specie umana divenne partecipe della sorte divina e in primo luogo, unico fra gli esseri viventi, cominciò a percepire la presenza del divino e a credere agli dei. Inoltre, attraverso la tecnica, articolò la voce con parole, inventò case, vestiti, calzari, giacigli, l’agricoltura e la metallurgia.

La perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata alla lotta contro le belve. Allora gli individui della specie cercarono di unirsi per difendersi insieme e costruirono luoghi fortificati: nacquero le mura e le città. Ma ogni volta che stavano insieme finivano per commettere ingiustizie gli uni contro gli altri e, dividendosi di nuovo, morivano.

Zeus dunque, temendo l’estinzione della stirpe umana, inviò Ermes per consegnare agli uomini le due cose fondamentali per vivere insieme: il senso del pudore (aidos) e il senso di giustizia (dike) . “A differenza delle doti artistiche e tecniche queste due cose distribuiscile a tutti!” – disse Zeus a Ermes – “Che  tutti ne siano partecipi, in quanto non esisterebbe la comunità, se solo pochi fossero partecipi di pudore e giustizia”.

Per questo motivo, conclude Platone nel Protagora, gli Ateniesi e tutti gli altri, quando si discute di architettura, di salute o di qualche altra attività artigianale, ritengono che spetti a chi è competente la facoltà di dare pareri e prendere decisioni. Quando invece deliberano sulla virtù politica – che deve basarsi tutta su giustizia e saggezza – ascoltano il parere di chiunque, convinti che tutti siano partecipi del senso di pudore e del senso di giustizia.

Ma arriviamo per l’appunto ad oggi e alla necessità di un altro Titano che per la verità introduco in modo surrettizio grazie a una “parabola” del filosofo tedesco Günther Anders riportata in un piccolo ma denso libretto di Jean-Pierre Dupuy (Piccola metafisica degli tsunami. Male e responsabilità nelle catastrofi del nostro tempo,  Donzelli Editore, Roma 2006, pg.8).

Apometeo è il “fratello” più vecchio di Prometeo ed Epimeteo, Titano dimenticato, perché profeta di sventura, che annunciava l’imminenza di una catastrofe (un vero e proprio Diluvio Universale!), che però non arrivava e al quale quindi nessuno più prestava attenzione.

Un giorno decise di provare una cosa nuova. Entrò nella città, dove il senso di pudore e quello di giustizia erano praticamente scomparsi, e vedendo che tutti, indistintamente, davano pareri sulle epidemie, sui cambiamenti climatici e sulla intelligenza artificiale, cominciò a raccontare agli abitanti della città di una catastrofe che si era verificata e molti, radunatisi intorno a lui, gli chiedevano conto di quanti fossero i morti e di chi fosse morto.

Apometeo rispose che erano morti in tanti quanti erano gli abitanti della città e “…con gran divertimento di coloro che lo ascoltavano disse che quei morti erano loro. E quando gli fu chiesto quando si era verificata la catastrofe, egli rispose: domani”.

Approfittando dello sconcerto che aveva creato, Apometeo continuò dicendo: “dopodomani la catastrofe sarà una cosa che sarà stata. E quando la catastrofe sarà stata, tutto quello che ora c’è non sarà mai esistito. Perché quando tutto verrà cancellato dalla catastrofe, sarà troppo tardi per ricordarsene, dato che non ci sarà più nessuno”.

“Se sono venuto davanti a voi, è per invertire i tempi, è per piangere oggi i morti di domani. Dopodomani sarà troppo tardi. Dopo di che se ne tornò a casa”. A sera un gruppo di medici e infermieri bussarono alla sua porta e gli dissero: “lascia che ti aiutiamo con questo vaccino e con la nostra arte: se la catastrofe di domani è una epidemia potremmo esserti utili adesso, cosicché quello che hai detto diventi falso.”

Più tardi un gruppo di imprenditori, sindacalisti e  governanti si aggiunsero agli altri dicendo: l’aria sta cominciando a diventare irrespirabile, lascia che ti aiutiamo anche noi perché quello che hai detto diventi falso. E più tardi ancora degli hackers bussarono alla sua porta e dissero: la conoscenza sta scomparendo così come la coscienza e la verità, lascia che anche noi possiamo darti una mano perché diventi falso quello che hai detto.

Questa storiella titanica ci invita dunque a una inversione temporale per stabilire una reciprocità tra il presente e il futuro: vederci nel presente, con le esigenze di uno sguardo al futuro che saremo noi stessi a generare.

Perché può darsi che il futuro non ci stia aspettando da qualche parte, come pensiamo, o che sia là a vederci arrivare da qui a qualche anno in avanti ma, soprattutto, potrebbe darsi che “questo futuro” non abbia bisogno di noi e che non sia collocato così lontano da noi, ma è qui, presente, seppure… invisibile.

Siamo noi ad aver bisogno del futuro perché è ciò che dà senso a quello che facciamo. Proprio ora.

Magari recuperando un minimo di aidos e di dike.

Cover: particolare del sarcofago di Prometeo e la creazione dell’uomo, Pozzuoli su licenza Wikimedia Commons

 

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Giuseppe Ferrara

Giuseppe Ferrara – Nato a Napoli. Cresciuto a Potenza fino alla maturità Classica presso il Liceo-Ginnasio Q.O. Flacco. Laureato in Fisica all’Università di Salerno. Dal 1990 vive e lavora a Ferrara, dove collabora a CDS Cultura . Autore di cinque raccolte poetiche; è presente in diverse antologie. In rete è possibile trovare e leggere alcune sue poesie e commenti su altri poeti e autori. Tiene un blog “Il Post delle fragole”: https://thestrawberrypost.blogspot.com/

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PAESE REALE
di Piermaria Romani


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