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Dopo Microsoft, Bruxelles si è dimostrata pronta a procedere legalmente verso un altro colosso del web. Google, noto motore di ricerca, attualmente gestisce il 90% circa delle ricerche a livello europeo, vantando un totale di 60 trilioni di pagine web indicizzate dal suo dominio.
E’ proprio il gigante di Mountain View il protagonista della nuova procedura di obiezione, emessa dall’organismo Garante della concorrenza e del mercato della Commissione europea, dove è stata formalmente espressa l’accusa di abuso di posizione dominante in riferimento sia al motore di ricerca, sia al sistema operativo Android, acquisito dallo stesso diversi anni prima. L’accusa, dunque, si fonderebbe sul fatto che la forte attrazione che i prodotti dell’azienda attirano su di sé consente di detenere un potere di mercato enorme, cosa che di per sé non rappresenta un abuso, ma il fatto che grazie a questo abbiano potuto trarne un vantaggio sì.
Autopubblicizzandosi o assicurando visibiltà ai suoi prodotti, Google avrebbe recato danno ai consumatori, ingannandoli, e ai concorrenti immettendo delle barriere all’entrata, veri e proprio ostacoli alla partecipazione in quel segmento di mercato. Inoltre, si parla di impatto negativo sull’innovazione che avrebbe potuto impedire l’affermazione di nuovi mercati, processi o prodotti tramite un meccanismo di occlusione. Insomma l’azione di Bruxelles avrebbe come obiettivo principale quello di garantire il libero mercato; in attesa di una sentenza definitiva, però, si apre spazio per nuove riflessioni.
L’accezione di bisogno ha sempre rappresentato il punto di partenza di un’idea economica: fin dall’antichità, infatti, le imprese nascono per soddisfare i bisogni delle persone; col passare del tempo però, i bisogni sono stati smembrati e divorati, rendendo difficile concepirne di nuovi. L’informazione e la conoscenza allora, hanno cominciato a svolgere il ruolo di variabili economiche, sostituendo i bisogni primari, premiando chi le detiene con una sorta di capacità di plasmare e guidare il mercato.
In questo senso, la vicenda risulta emblematica, se si pensa alla quantità di informazioni che Google possiede sulle persone che lo usano, sui loro interessi, il loro stile di vita ed i loro desideri: un mercato talmente smisurato da sembrare “dominante”.

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Arianna Segala


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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