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“In su’ vespri giocondi, dolcemente
Sul lago tranquillissimo voghiamo,
Da delicate mani facilmente
Sono mossi i remi, e alla ventura andiamo.”

Siamo in un Meriggio Dorato, cullati dalla corrente dell’Isis (il Tamigi) che scorre placido. Un giovane professore di matematica è in gita con tre bambine: Edith, Alice e Lorina. Sono le figlie di Henry Liddell, eminente grecista, nonché rettore della Christ Church, la scuola in cui il professore, Lewis Caroll (Daresbury 1832 – Guildford1898) insegna, senza troppo entusiasmo.Lewis Carroll
Carroll, al secolo Charles Lutwidge Dodgson, preferisce seguire il suo ingegno che lo porta a occuparsi di una molteplicità di attività. È fotografo, logico, inventore, amante di tutte le arti, ma il grande pubblico lo conosce soprattutto come scrittore. E anche qui, la sua versatilità si conferma come nota distintiva, tra poesia e prosa. Alla base del suo scrivere c’è la Poesia, intesa nel senso stretto del termine (dal greco ποίησις, poises, con il significato di “creazione”).
Una poesia di cui ha ampia cognizione, in quanto genere letterario che presenta codifiche precise, in equilibrio tra forma e contenuto. Poesia che è emozione veicolata da un uso straordinario del linguaggio e da immagini geniali.

Meriggio Dorato” costituisce il proemio di Alice nel paese delle meraviglie (1865). Un ‘atto di poesia’ che è anche il racconto della genesi del romanzo che ha scardinato diverse ‘certezze letterarie’.

alice Liddell
Alice Liddell as the Beggar Maid [1858]

Il capolavoro carrolliano è nato durante una gita in barca, come narrazione rivolta alle sorelle Liddell. Nei mesi successivi viene sviluppato nella forma che conosciamo, con ipotesi di titolo diversi. Addirittura Carroll aveva pensato a un “Paese delle Fate”, ma forse non avrebbe reso il senso dell’assurdo che pervade il racconto, pur facendoci toccare con mano la magia. Magia che si esplica attraverso la febbrile creatività di Carroll.

Alice nel paese delle meraviglie è un grande gioco che rovescia le regole della Società vittoriana.
Non è un caso che, improvvisamente, Alice non riesca a declamare correttamente i poemetti edificanti che ha memorizzato a scuola. Carroll si burla della morale dell’epoca in cui vive, dando al lettore il compito di cogliere i significati più sottili dei suoi intenti.

Blue plaque, Lewis Carroll
Blue plaque, Lewis Carroll

Ogni parola è pervasa dalla poesia: è nelle scelte poetiche, nel rovesciare situazioni, nel senso dell’assurdo che confina con l’onirico.
C’è poesia persino nei numeri: Carroll ci fa capire che la poesia è come la matematica, in quanto dotata di una propria logica, anche laddove sembra non averla. Pensiamo a quando, nel secondo capitolo, Alice inizia a sbagliare i calcoli. In realtà Carroll reinventa la matematica dando un ritmo particolare alla situazione, una scansione che nasce dalla confusione della bambina.

Facciamo un salto in avanti e arriviamo ad Attraverso lo specchio e quello che Alice vi trovò (1871), un seguito più introspettivo del precedente, basato su una partita a scacchi. Qui i significati diventano più complessi, insieme a situazioni piene di elementi simbolici in cui ravvisiamo la perdita di identità di Alice, di nuovo ricercatrice archetipica in un mondo rovesciato. La poesia raggiunge un alto apice nell’acrostico presente nel dodicesimo e ultimo capitolo.

A boat beneath a sunny sky,
Lingering onward dreamily
In an evening of July–

Children three that nestle near,
Eager eye and willing ear,
Pleased a simple tale to hear–

Long has paled that sunny sky:
Echoes fade and memories die.
Autumn frosts have slain July.

Still she haunts me, phantomwise,
Alice moving under skies
Never seen by waking eyes.

Children yet, the tale to hear,
Eager eye and willing ear,
Lovingly shall nestle near.

In a Wonderland they lie,
Dreaming as the days go by,
Dreaming as the summers die:

Ever drifting down the stream
Lingering in the golden gleam
Life, what is it but a dream? *

Se si congiungono le iniziali dei versi verticalmente, leggiamo Alice Plesance Liddell.
Un omaggio alla musa ispiratrice? O qualcosa di più? Carroll non smette di stupirci.

I romanzi sono una fucina di poesia che Carroll ha espresso anche in successivi giochi di parole (metagrammi etc.) di cui è stato creatore brillante.
E’ autore anche di Phantasmagoria, un poema edito nel 1869, oggi poco conosciuto dal grande pubblico dei lettori. Strutturato in sette canti, tratta dall’incontro tra un certo Tibbet e un fantasma.
Dal dialogo tra i due, si scopre che i fantasmi non sono così diversi dagli esseri umani. Phantasmagoria non manca di una ritmica che conferisce una leggerezza un po’ fatata alla metrica, ben scandita da chi sa ‘maneggiare la materia’. A questo poema se ne aggiungono altri 17 che costituiscono la raccolta Phantasmagoria and other poems. Da qui troviamo altre edizioni dell’opera poetica carrolliana, illustrate e non.
Leggere questi componimenti può essere d’interesse per chi vuole approfondire la poiesis di Lewis Carroll che, ricordo, è anche autore di opere quali “La caccia allo Snark” (1876, poemetto epico di cui faccio notare il richiamo allo shark, squalo in inglese, qui identificato con una creatura bizzarra) e “Sylvie e Bruno” (1889).

* Nota 1
Una barca sotto un cielo soleggiato,
Indugiando sognante
In una sera di luglio…

Tre bambine che si annidano vicino,
occhio impaziente e orecchio volenteroso,
Sono contente di sentire una semplice storia…

A lungo ha impallidito quel cielo soleggiato:
Gli echi svaniscono e i ricordi muoiono.
Le gelate autunnali hanno ucciso luglio.

Ancora lei mi perseguita, come un fantasma,
Alice che si muove sotto i cieli
Mai visto da occhi svegli.

Bambine ancora, il racconto da ascoltare,
occhio impaziente e orecchio volenteroso,
amorevolmente si annideranno vicino.

In un paese delle meraviglie giacciono,
Sognando mentre i giorni passano,
Sognando mentre le estati muoiono:

Sempre alla deriva lungo la corrente
Indugiando nel bagliore dorato
La vita, cos’è se non un sogno?

(Trad. di Roberta De Tomi)

Cover: Inghilterra, particolare di una vetrata commemorativa di Lewis Carroll

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Roberta De Tomi


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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