Skip to main content

“Una storia intima e pubblica al tempo stesso, fatta di sentimenti, opere d’arte, avvenimenti storici e vicende culturali nella Venezia tra Otto e Novecento, che viene riannodata con una mostra negli ambienti unici di Palazzo Fortuny a Venezia (a cura di Daniela Ferretti fino al 27 marzo 2017) seguendo il filo dei ricordi dell’ultima testimone e grande erede della dinastia dei Cadorin, architetti, scultori ed ebanisti, pittori, fotografi, restauratori, animatori dei più vivaci salotti artistici e culturali.

di Maria Paola Forlani

Un uomo sale gli scalini di un ponte, poi, aspirato da una calle, si fonde nella città. Altri passano, profili d’ombre cinese su uno sfondo che a volte lascia indovinare, inattese, delle sagome di tempio indiano. Una porta si socchiude e lascia apparire un corpo di donna. Al piano alto, un uomo alla finestra osserva, immobile, una piazza deserta.” (Jean Clair)

Vite indissolubilmente intrecciate, nonni, figli, cognati, nipoti, spose e mariti; vite dedicate all’arte in una città che con la sua bellezza ha saputo travolgerli, trasmettendo loro il senso della meraviglia. Architetti, scultori ed ebanisti, pittori, fotografi, restauratori, animatori dei più vivaci salotti artistici e culturali.
A Venezia, l’antica istituzione della bottega, che sembra ormai appartenere al passato, ha profonde radici; sin dal Medioevo artefici, assistenti e apprendisti lavorano insieme all’opera comune, dando vita a quegli opifici dove nascerà l’arte dell’Occidente, l’Ars pingendi come la conosciamo. Il Classicismo, il Romanticismo poi, ridurranno poco a poco il ruolo e comprometteranno l’esistenza stessa delle botteghe; le regole delle Accademie e più tardi la libera ispirazione dell’artista soppianteranno gli antichi mestieri. L’artigiano diventa artista, il genio creatore pretende rimpiazzare le antiche conoscenze dei saperi codificati. L’estetica delle avanguardie si costruirà come reazione alla disciplina della bottega. Tra le due guerre tuttavia, il richiamo all’ordine fu segnato in Europa e negli Stati Uniti da un revival neoclassico e dal ritorno al bel mestiere, che incarneranno il tentativo di ritrovare quel “mestiere perduto” evocato da Lévi-Straus in un celebre saggio.
I Cadorin, provenienti da Pieve di Cadore (come Tiziano) ma già nel XVI secolo trasferiti a Venezia, per tre secoli erano stati una presenza costante nelle vicende d’arte della città lagunare; un protagonismo che pareva essersi interrotto nel 1848 quando venne chiusa l’ultima delle sette botteghe della Serenissima. Fu solo una parentesi: a riprendere la conduzione dell’atelier di famiglia, qualche decennio più tardi e fino al 1925, fu Vincenzo, grande scultore e intagliatore formatosi all’Accademia di Belle Arti e presto a capo di un’impresa che contava oltre 40 maestranze, chiamata a lavorare per i Savoia e per D’Annunzio, per chiese, case e palazzi e partecipe alle esposizioni della Biennale sin dalla sua formazione.

augusto-tivoli-autoscatto-famiglia-tivoli

Con Vincenzo e sua moglie Matilde, dalla casa-bottega di fondamenta Briati, ricomincia una storia posta sotto l’egida dell’arte che attraversa altre tre generazioni e tante diverse personalità – i figli Ettore e Guido Cadorin scultore e pittore, l’architetto Brenno del Giudice, il fotografo Augusto Tivoli e la figlia pittrice Livia, i liutai Fiorini – fino a Ida Cadorin in arte Barbarigo e a Zoran Music, uniti dalla vita e dalla passione per la pittura.
Una storia intima e pubblica al tempo stesso, fatta di sentimenti, opere d’arte, avvenimenti storici e vicende culturali nella Venezia tra Otto e Novecento, che viene riannodata con una mostra negli ambienti unici di Palazzo Fortuny a Venezia, a cura di Daniela Ferretti fino al 27 marzo 2017 (catalogo ed. Antiga), seguendo il filo dei ricordi dell’ultima testimone e grande erede di questa dinastia e grazie alle emozioni trasmesse dai suoi racconti.
Ida Barbarigo ha raccolto, circondandosene negli anni, opere e testimonianze storiche della famiglia che sono in realtà uno straordinario patrimonio d’arte e conoscenza.
Oltre 200 di questi lavori sono esposti in quest’occasione nella casa-museo di Mariano Fortuny, vero crocevia di arti, lungamente frequentate in gioventù da Ettore e Guido Cadorin, a rievocare un lessico familiare di cui i visitatori ne vengono eccezionalmente resi partecipi, quasi come amici.
Ecco l’odore dei truccioli del Cirmolo: questa frase ripetuta in famiglia “il talento pare che faccia vento”; i versi della “Mille e una notte” letti in francese dalla mamma Livia Tivoli o il giornale satirico che sbeffeggiava la passione per le belle donne dello zio Ettore, sempre in giro per il mondo – “Il nostro corrispondente a Parigi sulle arti non possiamo trovarlo perché passa giorno e notte a osservare le gambe di Isadora Duncan, l’incorporabile danzatrice”. Ecco gli amici di papà Guido che “sapeva fare di tutto. Le arti decorative, i mobili, i vetri, i tessuti, i mosaici ma soprattutto la pittura”: da Malipiero a Pirandello, dai pittori veneziani Nono, Ciardi, Favretto e altri fino a Kokoschka. Ecco il nonno di Ida per parte materna. Augusto Tivoli grande fotografo – ma “ i Tivoli non combinano niente” – e la nonna Irene appartiene ai Fiorini, grande famiglia di liutai bolognese tanto che fu il prozio Giuseppe Fiorini a donare, nel 1930, gli strumenti e gli archivi di Stradivarius al museo di Cremona. Ecco infine il viaggio a Parigi con Zoran, la sognata Parigi.
Su questa nuova trama si sono intrecciate altre memorie, prima fra tutte quella di Jean Clair. Accademico di Francia – chiamato a curare questa mostra nata da un’idea di Daniela Ferretti – che ha personalmente conosciuto Guido, Livia e Paolo e ancora Ida e Zoran di cui è stato grande amico, frequentandone le case e gli studi per più di quarant’anni. Sotto la sua magistrale supervisione le opere sono state puntualmente selezionate per documentare una straordinaria epopea artistica.
A Venezia siamo in un mondo tutto diverso da Vicenza, pur così vicina. Qui non c’è prospettiva, non c’è punto di fuga che organizzi la costruzione, né la vertigine dello spazio vuoto. Non ci sono neppure fabbriche sapienti alla Serlio, né teatro, né gioco illusionistico. Siamo dietro le quinte di una scena di cui non conosceremo mai la fine dello spettacolo. Scenari piani, non muri in prospettiva. Tutto scorre come le quinte di una scenografia, tutto cola come è di dovere in questo paese liquido, tutto scivola su un piano come scivolano l’uno sull’altro dei fogli sovrapposti. L’uomo appare allo scoperto solo per sottrarsi immediatamente allo sguardo. Nulla è fissato. Spazio labirintico della Serenissima.” (Jean Clair)

guido-cadorin-trittico

ettore-cadorin-ritratto-di-ida-cadorin-osghian

ida-barbarigo-erma

vincenzo-cadorin-fioriera

zoran-music-doppio-ritratto

guido-cadorin-trittico-carne-carne-e-sempre-carne-i-bevitori

vincenzo-cadorin-putto

vincenzo-cadorinfioriera

zoran-music-autorotratto

tag:

Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it