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Tutti i paesi occidentali sono attraversati da una profonda crisi: continua l’impoverimento del ceto medio e si accentua la polarizzazione sociale. In Italia l’ultimo Rapporto Eurispes 2017 disegna un paese preoccupato: solo una persona su dieci si aspetta un miglioramento della situazione economica, la metà fatica a fare quadrare i conti e uno su quattro si sente povero. Un recente rapporto della Fondazione Hume descrive un’Italia in cui coesistono tre società sempre più divaricate tra loro.

La prima società, quella dei garantiti, comprende i dipendenti pubblici e gli occupati delle grandi aziende private, in sostanza i cittadini con la garanzia del posto di lavoro. Un segmento in via di riduzione che ha visto uscire circa mezzo milione di persone tra il 2008 e il 2014, per effetto del calo della Pa e della crisi. I lavori tutelati sono calati dal 26,5% del 2007 al 23,9%, oggi sono quindi meno di un quarto.

La seconda società comprende lavoratori autonomi e dipendenti delle piccole imprese senza ammortizzatori sociali e precari assunti con contratti a termine. Insieme formano la cosiddetta società del rischio, lavoratori senza protezioni e che vivono nell’incertezza di scivolare in una zona di povertà. Anche questo secondo segmento si è eroso soprattutto per la crisi del lavoro autonomo.

A queste due si aggiunge la società degli esclusi, un terzo grande gruppo composto da disoccupati, lavoratori in nero, un segmento consistente e in crescita: comprende oggi circa 9 milioni di persone e si concentra soprattutto nel Mezzogiorno dove la sua incidenza è pari al 45,8%.
Un quadro preoccupante denso di rischi di disgregazione. È in atto da tempo una crisi del ceto medio che rappresenta il principale fattore di stabilità e di tenuta sociale.

La polarizzazione sociale è destinata ad acuirsi per effetto delle tecnologie che erodono lavori, marginalizzano le figure che ne erano protagoniste, svuotano e standardizzano i contenuti trasferendo competenze alle macchine e a servizi digitalizzati. Anche una parte di professioni che alimentavano la parte alta del ceto medio (dagli avvocati ai commercialisti) rischia di scivolare in un’area di precarietà.
Una larga varietà di strati sociali vive una seria crisi di rappresentanza. L’effetto congiunto della precarizzazione delle condizioni materiali, delle minori risorse disponibili per il welfare e della percezione soggettiva di marginalizzazione, insieme al venire meno del cd ascensore sociale, producono un mix di sentimenti di depressione e di rabbia. Oggi il ceto medio può diventare un luogo sociale del rischio: un gruppo radicalizzato, travolto dal panico di arretrare ancora e finire nel gruppo di chi non ha certezze lavorative e non può contare su ammortizzatori.
Ognuna delle tre società è attraversato da una ricerca inquieta di rappresentanza. Lo è anche il segmento dei garantiti che vive comunque sentimenti di frustrazione, una crisi di reputazione sociale e una crisi di identità (pubblica amministrazione).

La crisi del ceto medio riflette non solo il deterioramento di condizioni materiali, ma anche la perdita di riconoscimento, la crisi della reputazione sociale e del senso del lavoro. Ne sono un esempio gli insegnanti che percepiscono sia nel trattamento salariale sia nel ruolo sociale una sorta di declassamento e di perdita di centralità.
Lo è tanto più la seconda società che vive una crescente incertezza esistenziale che si traduce nell’impossibilità di fare progetti di vita a medio termine. Lo è, ovviamente, la società degli esclusi che esprimono legittimi sentimenti di rabbia e alimenteranno le rivolte anti élite.
Il divario tra i tre gruppi aumenta soprattutto per effetto di uno slittamento verso i gradini inferiori della scala; cresce una vasta zona di precariato senza cittadinanza sociale, cioè senza accesso non solo a certi standard di consumo, ma a salute e istruzione.

Le tre società propongono sfide complesse rispetto alla rappresentanza politica: la tendenza alla polarizzazione si traduce in processi di radicalizzazione. Intanto i conflitti nella politica tendono ad accentuarsi e a fondarsi su richiami simbolici assai più che su proposte politiche distintive.

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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