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La vigilia

Un racconto di Simona Baldanzi

Il responsabile della farmacia, dopo mesi dalla mail che aveva inviato, aveva ottenuto finalmente l’incontro col direttore generale del grande centro commerciale. Il buio era calato da un pezzo sulla piana e l’enorme parcheggio si era quasi del tutto svuotato. La torre ricolma di scritte sfidava la luna.

L’appuntamento era stato segnato in agenda come ultimo della giornata, il che non prometteva niente di buono. Mentre l’uomo dal camice bianco prendeva l’ascensore stringendo una cartellina, il direttore si guardava allo specchio del bagno nel suo ufficio. La fortuna di essere biondo, gli permetteva di non farsi la barba ogni giorno, ma avrebbe preferito un viso dai lineamenti più duri. Gli occhi celesti e l’incarnato chiaro lo facevano assomigliare troppo a un bravo ragazzo, piuttosto che al responsabile di settantamila metri quadri di vetrine, luci e soldi che girano e si appiccicano addosso come moscerini d’estate. Sua mamma continuava a chiamarlo il mio angelo e lui proprio non lo sopportava. Non era più un bambino timido che quando pisciava a letto si prendeva delle grosse ripassate dal padre. Aveva fatto carriera e in poco tempo aveva riscattato l’intero mutuo di casa sua e di quella dei genitori, così non dovevano più preoccuparsi di tenere i conti delle misere pensioni. Quando sentì bussare, tirò su la lampo dei pantaloni, sistemò i lembi della giacca, si diede un piccolo sbuffo sulle guance più come gesto scaramantico prima di ogni incontro di lavoro che per darsi una svegliata, chiuse la porta del bagno e andò verso la scrivania dicendo deciso – Avanti –

Il farmacista, dopo aver stretto una mano, dopo essersi seduto, sapendo di non avere molto tempo, aprì la cartellina e andò dritto al cuore del discorso.

– I dati sono allarmanti. In questo supermercato le vendite di antidepressivi, stabilizzatori dell’umore e ansiolitici vanno ben oltre la norma. Sono soprattutto le commesse a farne uso e sotto le feste ci sono dei picchi clamorosi. Si avvicina il Natale e forse bisognerebbe…

– Mi spiace interromperla. Come me sarà stanco dell’intera giornata per cui non voglio farle perdere tempo. Ho letto il suo dossier. Molto interessante. Ma non crede che vada oltre il suo ruolo dentro questo luogo? Si immagina l’attenzione della stampa, il dibattito che ne seguirebbe, la rogna dei sindacati, di tutti quelli che vogliono fare la morale?

– Ho ben presente la morale nei secoli dei secoli.

– Lei usa delle espressioni strane alle volte. Anche nella sua mail, sa? Eppure nutro una certa simpatia nei suoi confronti.

– È sempre stata la mia rovina avere gente come lei dalla mia parte.

Le pupille nere dentro gli occhi azzurri si dilatarono. Doveva liberarsi di quel rompiscatole arrogante.

– Se è così, può chiudere quella cartellina e andarsene.

Da sotto la scrivania un vento gelido avvolse le gambe del direttore. Ebbe un tremore. Diede un colpo d’occhio a finestre e porte, ma tutto era chiuso. Guardò l’uomo che aveva davanti a sé che non si era scomposto. Gli prese una strana tosse che a tratti gli impediva di respirare. Il farmacista gli avvicinò la bottiglietta di plastica che stava sulla scrivania. Quando il volto d’angelo smise di essere paonazzo disse: – Lo vede? Il freddo e il caldo, ci sono i mali di stagione. Lei faccia il suo mestiere, che io faccio il mio.

Certo che farò il mio mestiere, pensò il farmacista chiudendo la porta dietro di sè. Mentre percorreva la tangenziale col camice bianco ripiegato sul seggiolino, l’uomo guardava il mostro dietro di sé dallo specchietto. Quella torre luminosa si era piantata lì oltre un decennio fa. Una colonna magnifica e potente adorata più di un tempio. Contemporaneamente due fulmini strapparono il cielo fotografando Montemorello, la Calvana e tutta la piana. Il farmacista sorrise e esplose il temporale.

Le decorazioni delle feste scintillavano come tutti gli altri anni. Il rosso e l’oro erano i colori predominanti nelle vetrine e sulle ghirlande che calavano lungo i due corridoi dell’immensa galleria. Nel parcheggio ogni alberello luccicava come una piccola torcia. Il farmacista si dava un gran da fare nel lavoro, che come previsto aumentava. Con lui era cresciuto anche il reparto erboristico e omeopatico, curava dosi e confezioni, dispensava consigli. Cercava di essere sempre presente nonostante le altre due sue collaboratrici perché sapeva che le commesse al cambio turno si fermavano volentieri a parlare proprio con lui. Stanche e stressate, tiravano fuori ricette e racconti, sapevano che con lui non era necessario sorridere per forza. Quell’uomo aveva una voce profonda e sensuale e si era conquistato una fiducia d’acciaio fra lavoratori e clienti del centro commerciale, anche se era lì da pochi mesi. Il 24 di dicembre, quando si aprirono le porte scorrevoli e i primi carrelli scivolarono sul marmo più splendente del solito, un profumo speziato e fresco si diffuse ovunque. Il direttore aveva ascoltato i consigli dell’equipe di marketing che, spezzando la noia della periodica riunione, avevano sentenziato “anche gli odori incidono sui consumi”. Era rimasto estasiato da dati, slide e risultati di alcuni esperimenti, nonché dall’odore della crema della consulente che gli stava seduta di fianco. Aveva ordinato confezioni di diffusori, incensi, spray deodoranti e detergenti per pavimenti, vetrate e specchi direttamente da una profumeria francese specializzata. Quel giorno voleva battere ogni record di vendite, quel giorno non doveva esistere crisi e grafici con curve in discesa. In pochi minuti corridoi, negozi e supermercato erano ricolmi di donne, uomini, bambini. Le casse in ogni negozio, in ogni reparto, facevano linguacce di scontrini continuamente. Anche quelle della farmacia. Il responsabile aveva messo un bel cartello. Fatevi viziare. Sono arrivate le pillole della libertà di essere voi stessi. Più sincerità, più amore, più partecipazione, più condivisione, più serenità. Tutto naturale.

Non si è mai capito esattamente cosa successe perché le testimonianze di quella giornata di vigilia al supermercato sono diventate una sommossa di racconti. Tanti che erano lì hanno detto che non facevano troppo caso a quello che accadeva intorno, perché si sentivano bene, si sentivano liberi e non pensavano altro al momento che stavano vivendo. Non si erano sentiti affatto in una situazione di follia generale o messi in pericolo da qualcosa o qualcuno. Molti testimoniarono in commissariato e a leggere i verbali c’era da non credergli, anche se lo stato dei settantamila metri quadri confermava ogni dettaglio. I bambini avevano preso d’assalto i reparti dei giochi e dei dolci, impilavano mattoncini, vestivano bambole, scartavano cioccolatini e caramelle, guidavano macchinine telecomandate. I più grandi organizzavano tornei di giochi in scatola e di ping pong. Palloni, aquiloni, frisbee, vassoi di torte, volava di tutto. Intorno ai dolci c’erano anche tanti adulti e in tutto il reparto cibo, si erano distese tovaglie in terra come tanti pic-nic dove tutti assaggiavano tutto. Si brindava, si affettava il pane, si cucinava polli e astici servendosi di fornellini da campeggio. Si scambiavano ricette e ingredienti. Nel reparto del verde centinaia di balle di terriccio avevano ricoperto un’intera zona. Uomini e donne piantavano alberelli e fiori camminando scalzi sulla terra. Nei negozi di scarpe e abbigliamento le commesse sfilavano insieme ai clienti, si guardavano allo specchio e ridevano. Si improvvisarono concerti nel negozio di musica, tante anziane si misero a insegnare a cucire e a fare la calza vicino allo scaffale della lane e delle stoffe, per non parlare del grande negozio del fai da te, che divenne un enorme laboratorio. Lì si sono rinvenuti quadri, sculture, sedie che camminano, luci che parlano, composizioni degli oggetti più impensabili. Le file di te e caffè e tisane sono state frequentatissime nel pomeriggio. Al reparto dei libri si sono alternate letture mandate in filo diffusione e molte delle poltrone o dei divani in vendita sono stati ritrovati intorno a quegli scaffali. Nel reparto di mobili da giardino si consumavano pennichelle e meditazione. Nel negozio sportivo c’era chi saltava la corda, chi correva sui tapis roulant, chi sudava facendo step o giocando a pallavolo. Nei reparti e nei negozi di intimo donne e uomini si spogliavano, si guardavano, si corteggiavano, si toccavano. Carezze, baci, orgasmi si sono consumati un po’ ovunque, ma soprattutto nei negozi di biancheria, visto che c’erano letti comodissimi e lenzuola e coperte da cambiare ce ne erano a volontà. C’è chi l’ha fatto seduto sui surgelati, chi sulle scale mobili, chi sul pavimento rotolando sulla farina, chi circondato da decine di schermi, chi l’ha fatto da solo servendosi di manichini o di altri oggetti. Sempre ricostruendo i racconti, nessuno ha subito violenza. Tutti hanno dichiarato che era da tempo che non facevano l’amore godendo in pieno a quel modo.

Una cosa sola fu registrata senza ombra di dubbio: da mezzogiorno in poi, le casse non avevano più funzionato. Non era stato battuto più niente, non era stato venduto più niente. Anche le tabaccherie, i bar, l’edicola. Niente. Persino le macchinette del gioco avevano smesso di funzionare e il bello era che nessuno se ne era accorto o ne sentiva la mancanza. E cosa ancora più strana, non c’era stato nessuno scasso, ai giochi, ai distributori, al bancomat, nessuna auto rubata. Solo la farmacia continuava a fare affari. Le pillole si stavano esaurendo e anche i preservativi erano a buon punto.

Al direttore, guardando dai monitor nel suo ufficio, gli era preso una tosse incredibile. Appena si era ripreso, aveva chiamato la polizia. I primi poliziotti erano stati inutili. Entrando senza protezione erano stati contagiati da quell’atmosfera. Ci vollero molte pattuglie, prima che arrivassero i corpi speciali e le telecamere di tutto il mondo. Al direttore era stato consigliato di non scendere, ma lui non aveva saputo resistere. Voleva fermare quell’inferno. Fu ritrovato in ginocchio mentre teneva la mano ad una donna delle pulizie. L’aveva amata dal primo giorno che l’aveva vista, ma non aveva mai avuto il coraggio di non mentire a se stesso.

Il farmacista fu arrestato. Tutto era chiaro: lui era l’unico che aveva fatto affari in quel degenero. Avrà alterato gli psicofarmaci, poi quelle pillole e anche sugli incensi, sui profumi e sui detergenti c’aveva messo lo zampino di sicuro, visto che il magazzino della farmacia era adiacente a quello della ditta di pulizie. Quando però arrivarono a analizzare profumi e pozioni non ci trovarono niente di strano, anche dall’analisi del sangue sui testimoni, nessuna sostanza. Anzi, erano mesi che vendeva a tutti caramelline al limone e alla menta e i profumi erano a base di spezie e lavanda. Di lui, l’uomo affascinante dal camice bianco, nessuna traccia. Quando aprirono il furgone dove lo avevano rinchiuso, trovarono solo le manette. Prima che tutti i mezzi dei corpi speciali lasciassero l’enorme parcheggio diventando un lombrico nero di sirene, una bambina aveva indicato il cielo, dicendo che era scappato lassù. In aria c’era solo un palloncino a forma di Babbo Natale. Ad averla guardata meglio quella macchia rossa che si allontanava e si confondeva nelle nuvole accese dal tramonto, si sarebbero notate delle corna e una coda che sembrava salutare tutta la piana e questo mondo.

Questo racconto è tratto dalla raccolta: Decameron 2013A cura di Marco Vichi, editore Felici, 2013.

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Simona Baldanzi

Nata nel 1977 a Firenze, vive nel Mugello. Nel 1996 partecipa alla finale del Premio Campiello Giovani con il racconto Finestrella viola. Ha esordito col romanzo Figlia di una vestaglia blu, (Alegre 2019, Fazi 2006), che intreccia le vicende delle operaie tessili della Rifle a quelle degli operai edili del TAV in Mugello. Ha ottenuto il Premio Miglior Esordio di Fahrenheit Radio Rai tre, il Premio Minerva Letteratura di Impegno Civile ed è stato finalista al Premio Viareggio Repaci, al Premio Fiesole Narrativa under 40, al Premio Chianti. Bancone verde menta (ed. Elliot 2009) è il suo secondo romanzo, una storia d’amore per le città e l’impegno. Nel 2011 è uscita per Ediesse, l’inchiesta Mugello sottosopra. Tute arancioni nei cantieri delle grandi opere. Suoi racconti sono apparsi su quotidiani, riviste e antologie. Nel 2014 per la collana Contromano di Laterza è uscito Mugello è una trapunta di terra. A piedi da Barbiana a Monte Sole. Maldifiume Acqua, passi e gente d’Arno (Ediciclo 2016), primo volume di una nuova collana, la biblioteca del viandante diretta da Luigi Nacci, ha ricevuto il Premio Sergio Maldini per la letteratura di viaggio. Dal 2008 al 2013 ha tenuto una rubrica settimanale chiamata L’Incartauova su l’Unità di Firenze. É tra i fondatori del blog Scrittori in Causa (sulle condizioni contrattuali degli scrittori). È autrice insieme a F.Bondi e L.Sacchetti del progetto Storie Mobili (su you tube https://www.youtube.com/user/storiemobili/videos). Insieme al regista Federico Bondi è co-autrice del soggetto del film Dafne (2019), vincitore del Premio FIPRESCI nella sezione Panorama della 69° Berlinale. Fa la rappresentante dei lavoratori per la sicurezza a Prato (https://www.cgilprato.it/salute-e-sicurezza/). Tutto questo non sa quanto durerà, ma insiste.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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