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di Elisa Manici

Danilo Masotti, l’inventore degli umarells, è, come dice il suo amico sociologo Ivo Germano, ”l’esegeta della più spiccia e incatenata realtà bolognese, anzi, è l’indagatore della sua fissità sociale”. Blogger, scrittore, per 25 anni creatore e frontman della band New Hyronja, e agitatore web tra la strizzata d’occhio alla pancia becera della gente e l’amore per quella che definisce una metropoli di provincia. Uno che pur avendo lanciato l’hashtag #ilgiorno dopononsuccedemaiuncazzo e #cimeritiamotutto – e che ha pure intitolato così il suo primo romanzo – nella sua vita è riuscito a spezzare le catene dell’ormai mitologico (ma per molti animi inquieti angosciante nella sua ripetitività) posto fisso e a inventarsi una vita anche lavorativa a sua misura: per portare a casa lo stipendio fa il grafico e il consulente per il web e il social media marketing.
Su Facebook, a chi non lo conosce bene, dà una prima impressione di cavalcare il populismo della rete in modo spesso irritante, ma basta conoscerlo meglio per capire che c’è molto altro. Lo incontriamo di persona proprio per parlare della bolognesità a modo suo, ovvero della bolognesità che passa dal web. Ma la sua lucida e spietata visione del provincialismo s’attaglia a Bologna come a Ferrara e ad ogni campanile d’Italia. Lui si pone molto gentilmente, e non si sottrae ad alcuna domanda.
“I social media si prestano molto a parlare di Bologna. Io mi diverto molto, ho iniziato coi blog, il primo è stato ‘Lo spettro della bolognesità’: replicava quello che avviene in una piazza, raccontavo quello che vedevo, ma il blog poi ha fatto il suo tempo. Quindi sono passato a una forma di comunicazione molto più veloce, che è quella di Facebook e Twitter. Su Facebook ho fatto il mio esperimento peggiore, direi, è un gruppo che si chiama ‘Una Bologna peggiore è possibile’, dove tutti i bolognesi si possono lamentare. Lì sono riuscito a raccogliere veramente il peggio della città, ma penso che una Bologna peggiore sia ancora possibile”.

E qual era il tuo scopo quando l’hai creato?
Io quando faccio le cose non ho mai un fine, il mio scopo è divertirmi. Però se proprio voglio trovare un fine è far specchiare i bolognesi in questa provocazione, farli riflettere, ascoltarsi, sentire cosa dicono sulla città, riflettere sulle loro chiusure, riflettere sui loro pregi, anche. Questa cosa qua secondo me è molto importante, e soprattutto è importante confrontarsi con persone che ti stanno anche un po’ sulle balle, anche con persone con cui non condividi e con le quali non ti diresti mai nulla.
L’utente medio di Una Bologna peggiore è possibile sembra essere pieno di mal di pancia, chiuso, tendenzialmente razzista e reazionario.
Il bolognese ha questa matrice che possiamo definire leghista, ma in questo caso “leghista” non c’entra niente con il partito della Lega, c’entra con l’attaccamento al territorio. C’è questo attaccamento al territorio, questo essere una sorta di testimoni di Geova della bolognesità, l’andare in giro a dire: “Sì, perché noi a Bologna facciam questo, facciam quello”, che è la realtà di tutte le province. Bologna è una metropoli di provincia, è una città che amo. Ecco, io ci tengo a sottolineare che queste cose che faccio sui social media e anche sui libri sono un atto d’amore nei confronti della mia città.
Mi sembra che questo, al di là di tutte le gag, traspaia con evidenza. Si dice spesso che oggi non c’è più un’unica narrazione dominante rispetto a un fatto, a un luogo, ma che ognuno scelga la sua. E’ così o ce n’è una che prevale?
Ogni narrazione della città parte dal concetto della “Bologna di una volta che si stava meglio”. Ma “non c’è più la Bologna di una volta” io me lo sentivo già dire nel ’77, quando avevo 9 anni, quindi bisogna risalire a qual è questa Bologna di una volta, tornare a viverci, e scoprire che magari non ci piace La Bologna di una volta forse rappresenta la gioventù, rappresenta la spensieratezza di ognuno di noi, e ognuno ha perciò la sua Bologna di una volta mentale.
E invece, come ci si può proiettare nella Bologna di oggi e del futuro?
La Bologna contemporanea è sicuramente problematica, come è problematico il mondo. Secondo me per proiettarsi nel futuro bisogna farsi ricchi del proprio patrimonio di vissuti in questa città e immaginarsi un futuro diverso. Bisogna cominciare a occuparsi meno di passato, con meno nostalgia paralizzante.
Attraverso la lente dell’ironia, con le tue pillole Scendo in campo affronti questioni legate all’oggi.
Sì, le giro col mio smartphone, riprendendomi selfie come va di moda adesso. Affronto le problematiche di questa città attraverso i luoghi comuni, didendo frasi fatte come alla gente piace sentirsi dire. Si ottengono molti “mi piace”, si ottengono molte critiche, si ottengono molti “ma che cazzo stai dicendo”.
Com’è nato l’hashtag #ilgiornodopononsuccedemaiuncazzo?
Da un’esperienza personale di plurivisioni di programmi come Report, Ballarò, Piazza Pulita, Servizio Pubblico. Programmi che seguo sempre meno, appunto perchè, anche se mi piace molto la domenica sera guardare, poi dopo mi lavo i denti, vado a letto, e il giorno dopo non succede mai un cazzo. Questi programmi, certo, ci vogliono, sono fondamentali, è importante sapere che cosa ci gira intorno. Ma poi?
Hai scritto ormai diversi liberi, ma solo un altro romanzo, Ci meritiamo tutto. Perché per Masotti ci meritiamo tutto?
Perchè ogni cosa che avviene nelle alte sfere del potere, ma anche solamente in un’azienda, è appunto perché noi non abbiamo fatto nulla perché ciò non accadesse, abbiamo delegato troppo, quindi ci meritiamo tutto, se continuiamo a delegare e se continuiamo ad affidare la nostra vita agli altri.
E tu che consiglio dai a una persona che non vuole più meritarsi tutto?
Per prima cosa bisogna farsi due conti in tasca e vedere se si può permetterselo. Non è così scontato, ma se questa persona comincia a vedere che di tanti oggetti può fare a meno, che può vivere spendendo meno, che può godere anche di una giornata di sole come quella di oggi e consumare meno, senza pipponi da decrescita felice. Se una persona comincia a rinunciare a tante cose, comincia a godersela un pochino di più, e secondo me riesce a gurdarsi dentro e a provare a cambiare qualche cosa. Se invece uno sta solo a guardare ai soldi, agli 80 euro in più in busta paga e cose così, continuerà poi solamente a meritarsi tutto. Chi può permetterselo un pochino, può uscire da questo gioco vorticoso, che come diceva il mio caro amico Freak Antoni “il ricatto del bisogno toglie all’uomo ogni sogno”.

[© www.lastefani.it]

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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