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Aldo era il padre della mia amica Anna. Capitava a volte che mi fermassi a parlare con lei quando andavo a trovare mia mamma. Occasionalmente anche Aldo interveniva e parlava con noi. Anna era irritata, sembrava innervosita quando si intrometteva nei nostri discorsi. La vedevo scostante. Non gli rivolgeva mai la parola e nemmeno lo sguardo.
Quando eravamo bambine non era così. Sua madre lavorava tutto il giorno e, alternandosi alla nonna paterna, Aldo si occupava di Anna. Adorava quell’unica figlia frutto di un matrimonio in età non proprio giovanile. Quasi un miracolo.
Lei rideva, scherzava col padre. A volte Aldo ci portava alle giostre o al cinema.
Non capivo il cambiamento d’atteggiamento che negli anni Anna aveva avuto nei confronti del padre.
Quando Aldo morì non potei essere presente al funerale.
La chiamai la sera prima per farle le condoglianze.
Mi rispose in maniera inaspettata: non sentivo il suo dolore, solo la sua rabbia.
Non era arrabbiata con il destino che le aveva portato via il padre, però.
Era arrabbiata con Aldo.
Mi raccontò che suo padre era un giocatore d’azzardo.
Il pensiero di un giocatore è quello di vincere, vincere, vincere, ma ogni pensiero di vittoria è accompagnato dalla realtà di una sconfitta. Molto spesso il giocatore d’azzardo non riserva nessun aiuto economico alla famiglia.
Per fortuna la famiglia di Anna poteva contare sul reddito della madre che lei aveva visto lavorare anche 14 ore in un giorno.
Quando era bambina non lo sapeva del vizio del padre e a malapena giustificava i silenzi di sua madre.
Quei silenzi si concretizzavano in urla che sentiva quando stava per aprire la porta di casa. Al suo arrivo di nuovo teste chine e silenzi. Non capiva.
Poi un giorno lo scopri da sola. Un uomo di mezza età era apparso davanti al loro cancello. Aveva un atteggiamento minaccioso, cercava suo padre.
Lei aveva 14 anni. No, sua madre questa volta non poteva fare finta di niente.
La costrinse a dirle per quale motivo un uomo di quel genere, sciatto nei modi e nell’abbigliamento, con tutti i capelli in disordine e quasi sdentato, cercasse suo padre.
Non aveva nulla a che vedere con Aldo che era un bell’uomo, alto, con portamento, ordinato nei modi e nell’indossare i vestiti.
A sua madre non rimaneva altro che dirle la verità.
Quell’uomo disordinato era un creditore: suo padre giocava.
Anna cercò di affrontare l’argomento con il padre, piangendo, gridando che non poteva essere che lui gettasse tutti quei soldi al vento. Lui a sua volta l’accusò di essere egoista perché in fondo a lei non mancava nulla.
“La vita a volte è difficile” le diceva, ed era giusto avere uno svago.
Fino a circa 18 anni furono litigi continui con il padre.
Poi la rabbia lasciò posto alla speranza che il silenzio e l’evitabilità sarebbero state peggio per lui.
Non fu cosi.
Aldo pagava. Quando lavorava impegnava tutto il suo stipendio, poi, successivamente lo stipendio fu sostituito dalla pensione.
Quando sei un giocatore e paghi ti fanno credito. Ci sono persone che ti fanno credito. Se non paghi il giro s’interrompe. Anna aveva anche provato una volta a denunciare chi faceva credito a suo padre. Non era possibile.
Il credito di una persona, per la legge, poteva essere considerato l’atto di aiuto di un amico in caso di difficoltà.
Senza prove non c’era speranza. Di rivolgersi ai servizi che sono disponibili per la lotta contro le dipendenze Aldo non ne voleva assolutamente sapere. Non ne sentiva il bisogno. La moglie aveva scoperto che già da ragazzo giocava. I famigliari ne erano a conoscenza e avevano accolto di buon grado quella energica donna che inaspettatamente sarebbe entrata nella vita del loro figlio e fratello.
Aldo era fortunato. Non aveva mai avuto guai con la legge.
Un suo amico era persino stato in galera. Aveva commesso reati per procurarsi i soldi per il gioco.
Quando si può, se si può, ci si allontana da un giocatore d’azzardo anche se è un famigliare.
Quando non si può si vive l’inferno.
Anna conclude la telefonata dicendo che per fortuna suo padre non aveva fatto in tempo a imparare a giocare online. Era rimasto alle sale da gioco in presenza o ai gratta e vinci. Alla sua morte ne avevano trovati ovunque nelle sue cose personali.
Salutai Anna senza nemmeno ricordarmi che il motivo della telefonata era stato per giustificare la mia assenza al funerale del padre.
Uno dei miei film preferiti è “Il Principe delle Maree”.
Nella scena finale del film (che si può benissimo trovare su Youtube e io ogni tanto guardo e mi commuovo come sentissi quelle parole per la prima volta) a conclusione di un percorso di accettazione di un dramma famigliare, il protagonista pronuncia questa frase:
“A New York avevo imparato che dovevo amare mia madre e mio padre con tutta la loro imperfetta, vergognosa umanità e che in una famiglia non esistono crimini che non possano essere perdonati”.
Spero che Anna legga questo mio racconto e attraverso questa frase finale, questo spezzone di film, cominci ad elaborare il suo perdono.

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Marcella Mascellani


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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