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Quando la lotta politica giunge nelle aule dei tribunali vuol dire che la politica ha fallito. Che la sua capacità di rappresentanza e di mobilitazione è praticamente inesistente. È un po’ la cartina di tornasole della sua presa sulla società. Mi riferisco alla denuncia che Roberto Speranza, segretario di Leu, ha presentato in procura contro Salvini per istigazione all’odio razziale. Sembrerebbe una barzelletta, ma non lo è, dopo che in tutti questi anni col Pd al governo nazionale e in molte città venivano autorizzate manifestazioni in cui si sprecavano i simboli fascisti e l’apologia del fascismo senza che i vari Speranza battessero ciglio. Del resto il risultato elettorale di Leu è la prova del nove dell’incapacità a rappresentare un’area sociale ancora vasta, a volerla vedere. A meno che non si voglia sostenere la tesi dominante neoliberista che le classi non esistono più, tanto meno la classe operaia, e che la lotta di classe è finita. Se questa tesi è vera, allora il risultato elettorale di Leu è perfettamente in linea con questo nuovo assetto della società in cui non ci sarebbe bisogno di alcuna rappresentanza politica delle classi meno abbienti. Il fatto è che le classi esistono ancora, la classe operaia e dei lavoratori in generale pure e la lotta di classe è viva e vegeta, solo che a vincerla in questo momento storico è il capitale. Di conseguenza a Speranza non resta che il ricorso in procura contro Salvini.
Per far vincere le destre e il capitale una grossa mano l’ha data proprio la sinistra. L’anno di svolta è il 2012 quando il parlamento vota a larghissima maggioranza, anche con il voto del Pd e di tutti quelli che poi usciranno dal partito (i vari Bersani e compagnia), l’improvvida legge costituzionale sull’obbligo del pareggio di bilancio, legge che è alla base della macelleria sociale di questi ultimi anni per via dei tagli ai servizi e alla spesa sociale che si porta dietro. Ma eravamo sotto minaccia delle banche che ci prestavano i soldi. Quella legge fu votata con una pistola puntata alla tempia del Parlamento senza che i cittadini, dai quali il Parlamento aveva ricevuto il mandato non certo per votare quella legge, ne fossero adeguatamente informati. Per far passare quella legge sotto silenzio non fu dichiarata nemmeno un’ora di sciopero generale da parte dei sindacati, quando ci sarebbe stato da rivoltare il paese. Del resto se l’ex segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, divenuto poi deputato del Pd nel 2013, vota in parlamento il jobs act di Renzi (suo acerrimo avversario per il quale lascerà poi il partito) non c’è nulla di cui meravigliarsi. E allora è inutile indignarsi quando si dice che “sono tutti uguali”. Non si intende solo che tutti rubano, ma che tutti fanno una politica di destra ai danni dei più deboli. E allora la gente preferisce votare l’originale, la destra vera, quella contro cui poi si fanno gli esposti in procura, quella che inneggia alla sicurezza. Ora succede che, con una gran faccia tosta, quella stessa sinistra raccoglie le firme contro quella legge Costituzionale da lei stessa votata, che fa il paio con gli esposti in procura. Insomma, al danno pure la beffa!

Sul tema della sicurezza nell’era globale Zygmunt Bauman, uno dei più grandi sociologi contemporanei, ha scritto numerosi volumi di analisi. In sostanza la sua tesi è che demolite tutte le reti di protezione dello stato sociale, demolita la certezza da parte delle giovani generazioni che presto, con un po’ di sacrificio, avrebbero trovato un lavoro dignitoso che consentisse loro di progettare un futuro, demolito il sostegno del welfare a favore dei più deboli perché l’obbligo del pareggio di bilancio non ce lo consente, demolita la certezza dei cinquantenni che alla loro età non avrebbero potuto perdere il lavoro, i cittadini dell’era contemporanea vivono in un perenne stato di incertezza esistenziale. Questa incertezza, come la storia ha già ampiamente dimostrato, individua facilmente il suo nemico in coloro che vengono a mettere in discussione quelle poche certezze che ci siamo conquistate bussando alla nostra porta. E allora diventa facile invocare leggi sicuritarie, schedature, espulsioni, porti chiusi da parte di un popolo a cui è stato dato da mangiare pane e incertezza, più la seconda del primo. In questa condizione sociale chi promette sicurezza all’incolumità personale anche con l’uso della forza ha gioco facile. E Salvini, che è un animale politico di prim’ordine, lo ha capito e ci marcia. Non a caso i sondaggi lo danno in ascesa. Chi non lo ha capito, o non vuole ammetterlo perché sa di avere la coscienza sporca, è la sinistra.
Scrive Bauman, nel suo ‘La solitudine del cittadino globale’ (Feltrinelli): “La vera novità non è la necessità di agire in condizioni di incertezza parziale o anche totale, ma la sollecitazione costante ad abbattere le difese costruite con tanta cura, ad abolire le istituzioni destinate a limitare il grado di incertezza e a impedire o neutralizzare lo sforzo di elaborare nuove soluzioni comuni tese a consentire il controllo dell’incertezza. Invece di serrare i ranghi nella guerra contro l’incertezza, praticamente tutte le istituzioni preposte all’azione collettiva si uniscono al coro neoliberale che intona l’elogio delle libere ‘forze di mercato’ e del libero scambio, cause prime dell’incertezza esistenziale, cioè dell’incertezza come ‘condizione naturale dell’uomo’; e insieme fanno passare il messaggio che lasciare liberi il capitale e la finanza, rinunciando a tutti i tentativi di rallentare o regolarne i movimenti, non è una scelta politica tra tante, ma un verdetto della ragione e una necessità politica”.
Se la sinistra vuole riprendersi un ruolo è da qui che deve partire: liberarsi dell’idea fatta propria che il capitale e la finanza lasciati liberi sono espressione del migliore dei mondi possibili in quanto esito razionale e compiere, invece, una scelta politica di segno diverso. Perché, come dice Bauman, di scelta si tratta. Essenzialmente di scegliere da che parte stare.

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Giuseppe Fornaro


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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