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di Carlo Alberto Roncarati

Fra pochi giorni la Camera di commercio avrà un nuovo presidente.
Nel chiudere una parentesi durata quindici anni credo sia giustificata l’emozione e non so dire se prevalga la soddisfazione per aver potuto vivere una esperienza straordinaria o il rammarico per lasciare un incarico al quale ho dedicato tutto me stesso.
Questi anni, infatti, hanno segnato la mia vita, per come li ho vissuti e per le persone che ho incontrato. Alcune geniali e così ricche di talento da tracciare la strada per tutti. Tantissime altre forse più normali, ma capaci, creative, entusiaste e costantemente animate da una gran voglia di fare.
Persone che nel loro insieme rappresentano quel “capitale” fatto di onestà, intelligenza e ingegno di cui l’Italia – ed anche Ferrara – è ricca e che nonostante tutto incoraggia ad avere fiducia per il futuro.
Da esse ho tratto gli stimoli per tentare di adempiere onorevolmente ad un incarico da cui ho avuto gratificazioni e ruoli di responsabilità che non avrei mai immaginato di ottenere.
C’è stato anche un rovescio della medaglia, fatto di rinunce e sacrifici che hanno pesato sui rapporti famigliari, spesso colpevolmente trascurati, ed inevitabilmente inciso sulla mia attività professionale. Ma del tempo trascorso in Camera di commercio non rimpiango nulla poiché ho ricevuto più di quanto abbia dato.
Sono comunque consapevole che in coincidenza di una crisi economica di così straordinarie proporzioni, il sostegno alle imprese perseguito attraverso le limitate risorse camerali, pur utile, non è stato risolutivo. E che tanto altro resta ancora da fare per presidiare l’integrità del nostro tessuto produttivo – oggi fortemente minacciata – e promuoverne lo sviluppo, con la consapevolezza che principalmente dalle imprese, dalla loro possibilità di operare e di crescere dipenderanno la ripresa economica ed un ritrovato benessere.
So anche che si sarebbe potuto far meglio e debbo riconoscere di aver commesso errori che ancora mi pesano. Ma se non tutte le cose sono andate per il verso giusto non è stato, credete, per mancanza di impegno. E’ dunque con la serenità di chi sa di aver fatto quanto poteva che desidero ringraziare almeno una parte di coloro che hanno avuto un ruolo di rilievo in questa avvincente vicenda camerale.
Primi fra tutti gli imprenditori – in genere gente attiva e appassionata che non si abbatte di fronte alle difficoltà e che per l’azienda è sempre pronta a tutto – per quello che mi hanno insegnato.
E poi il presidente Ferruccio Dardanello che mi ha voluto al suo fianco in Unioncamere ed i colleghi presidenti per la stima che mi hanno dimostrato. Il Segretario generale Mauro Giannattasio e tutti i “direttori” con i quali ho avuto a che fare in questi anni, per la preziosa collaborazione. I componenti le giunte e i consigli con i quali a Ferrara lungo l’arco di tre mandati ho condiviso le responsabilità di amministratore e l’intera struttura camerale, di ieri e di oggi: dai dirigenti, ai quadri e ai collaboratori di ogni settore, tutti generosamente protesi al buon funzionamento dell’Ente – un traguardo che in tutta franchezza mi sembra in buona parte raggiunto – ed animati da un forte senso dell’appartenenza. Nonché gli organi di controllo e di valutazione per i buoni consigli e la continua sollecitazione al miglioramento dell’efficienza organizzativa e gestionale.
E ancora i rappresentanti delle Istituzioni, per l’attenzione sempre dimostrata e per rapporti improntati alla più aperta e fattiva collaborazione.
Le associazioni economiche ferraresi per la fiducia ed il supporto che mi hanno accordato in ogni circostanza ed il locale mondo dell’informazione per l’estrema disponibilità con cui ha contribuito a valorizzare la nostra attività di comunicazione.
Da ultimo, rivolgo al mio successore ed amico, Paolo Govoni – e alla nuova squadra che lo affiancherà – il più sentito augurio di buon lavoro, auspicando che possa anch’egli operare nello stesso clima di leale, fattiva collaborazione che ho trovato io.
Ci rivedremo, amici: troppo piccola Ferrara per non averne ancora l’occasione. E nel salutare vorrei condividere una emozione ancora.
Tempo fa, in un borgo dell’Appennino, mi ha colpito la scultura di un uomo pensieroso e un po’ curvo sotto il peso degli anni che da una piccola piazza sulla collina guardava lontano, verso la vallata, come se stesse ripensando al percorso della propria esistenza.
Alla base una iscrizione: “Non importa quanti passi hai dovuto fare nella vita. Ciò che importa è l’impronta che hanno lasciato”.
Scusate se i miei sono stati passi troppo leggeri.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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