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da: Istituto Comprensivo Statale “Alda Costa”

Tra le numerose iniziative organizzate dall’IC “Alda Costa” per celebrare il Giorno della Memoria 2016, si inserisce l’incontro avvenuto tra tutte le classi terze della Scuola media Boiardo con Adelmo Franceschini, uno dei 650.000 militari italiani internati (IMI) nei lager nazisti e costretti al lavoro coatto per aver rifiutato di combattere nelle file dell’esercito tedesco.

Aveva appena 18 anni quando Adelmo, il 4 ottobre 1943, venne caricato, insieme a 60 persone, su un vagone bestiame. Per 9 giorni e 9 notti rimase chiusi in questo angusto spazio, che venne aperto solo nel momento in cui il treno arrivò a Basdorf, la località della Germania Orientale, sede del campo di internamento, dove Franceschini perderà la propria identità per diventare il numero 46737.

Nel mostrare agli studenti la targhetta con il numero di matricola, il testimone li ha invitati ad osservare come essa sia doppia perché, in caso di morte, probabilità molto elevata, una rimaneva al collo del defunto, l’altra veniva recapitata ai familiari per comunicare il decesso.

Nel campo, la giornata tipo era scandita dall’appello, che poteva durare ore, seguito da una colazione, costituita da un intruglio di acqua colorata. Dopo un tragitto di quattro chilometri a piedi si arrivava ad una fabbrica che produceva missili. Si rimaneva al lavoro per tutta la giornata, con una breve interruzione nel momento in cui veniva distribuita una brodaglia in cui galleggiavano alcuni pezzi di patata. Alla sera si ritornava al campo, si mangiava la povera cena consistente in qualche cucchiaiata di purè accompagnata, a volte, da spezzettino di carne di dubbia provenienza e poi ci si ritirava nelle proprie baracche per trascorrere la notte, stesi nei letti a castello con giacigli di paglia. La fame era il denominatore comune di questi giovani militari e spesso era causa di liti. Adelmo, che all’epoca pesava 35 chili, lo sapeva bene e per evitare problemi, legati ad una maldestra divisione del pane nero tra i sui 12 compagni di baracca, aveva inventato una piccola bilancia con spaghi e legno per dare a tutti la stessa razione. Anche le condizioni igieniche lasciavano molto a desiderare. Per tutto il periodo di internamento, nessuno di loro, ad esempio, ebbe la possibilità di cambiarsi i vestiti, peraltro troppo leggeri per il clima rigido di quella zona.

Liberati il primo maggio del 1945 dai soldati sovietici, per dieci giorni poterono rifornirsi di abiti e di cibo nelle zone limitrofe e fu allora che Adelmo sperimentò come l’esperienza del campo non avesse lasciato traccia di odio dentro di lui. Non ebbe infatti nessuna esitazione a dividere il pane con un gruppo di bambini tedeschi affamati e scalzi, ritenendoli non colpevoli di quanto era successo.

Dal momento della liberazione al definitivo ritorno a casa, avvenuto alla fine del mese di settembre, trascorsero alcuni mesi che gli permisero di riprendersi dal punto di vista fisico, recuperando parte del peso perso.

Per cinquant’anni non ha mai parlato della sua terribile esperienza, ma poi si è reso conto di come fosse importante trasmettere alle nuove generazioni la storia di un passato doloroso che può ripresentarsi, seppur sotto altre forme, anche nel presente: la conoscenza è infatti un ottimo deterrente per evitare il ripetersi degli stessi errori che tolgono la dignità all’uomo. Di qui l’invito rivolto ai suoi attenti ascoltatori a chiedersi il perché di quanto avviene nel mondo, a sentirsi protagonisti della propria vita senza lasciare che altri ne decidano il destino. La speranza in un futuro migliore è strettamente legata alle capacità individuali e collettive di estirpare l’odio e l’indifferenza, tema quest’ultimo che attualizza la massima di Martin Luther King “Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ho paura del silenzio degli onesti”. E con questa citazione, Adelmo Franceschini ha concluso la sua testimonianza di amore per la vita e di fiducia nei giovani.

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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