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Roma, Primavera 2005
– Ragazzo, stiamo chiudendo. Non ce l’hai una casa? – disse bonariamente il bibliotecario, sorridendo.
– Veramente ce l’ho, ma purtroppo non c’è gente simpatica come te! – ribattei, contraccambiando il sorriso.
In effetti sono solito trattenermi fino all’orario di chiusura, se non oltre, quando faccio le mie ricerche serali dopo l’università. Ormai mi conoscono, e sono tollerato.
Quello che faccio, invece, non lo divulgo molto volentieri, anche perché molti non capirebbero. È difficile mettersi nei panni di mio padre. È difficile mettersi nei panni di un poliziotto degli anni Settanta.

Roma, Autunno 1979
– Ispetto’, che dobbiamo fa’? Lo chiude lei il verbale dell’arresto?
– Sì Proietti, vai pure. So che è il compleanno di tua figlia. Anzi, falle gli auguri da parte mia.
– Grazie Ispetto’, a domani.
– A domani Proietti. E se vi avanza una pastarella, ricordati di portarmela. Lo sai che adoro quelle che fa tua moglie.
– Comandi!
– Finiamo di scrivere ‘sto verbale. Ma possibile che questo qua lo abbiamo arrestato ieri e oggi stava di nuovo in giro a rubare? Sinceramente a quest’ora meglio non farsi troppe domande. Un bel timbro e il verbale è chiuso. Domani è un altro giorno, e lo inizierò con una bella pasta alla crema! – pensò l’Ispettore.
Scese dalle scale della questura con fare sicuro, si sistemò la fondina ascellare e salutò gli agenti nella guardiola. Una volta fuori dall’edificio tirò su il bavero del giaccone per proteggersi dal freddo, incamminandosi verso la sua macchina, parcheggiata poco distante. Arrivato alla portiera si pulì gli occhiali e nel farlo notò il riflesso di un luccichìo alle sue spalle. Il luccichìo di una pistola.

Roma, Autunno 1979. Il giorno seguente
– Ispetto’, poi non dica che non la penso – disse Proietti, entrando con un vassoio di paste appena fatte nell’ufficio dell’Ispettore Grazioli.
– Proietti ma che stai facendo? – rispose il vicequestore Annibaldi, visibilmente turbato.
– Buongiorno Dottore, cercavo l’Ispettore, gli ho portato le paste…
– Non hai sentito il TG stamattina?
– No – disse l’agente Proietti.
– Allora è meglio se ti siedi – disse il vicequestore Annibaldi.
A quelle parole seguì una sguardo, uno solo, e fu sufficiente per capire cos’era accaduto. Il vassoio si rovesciò, riversando il suo contenuto tra la disperazione dei due colleghi.

Roma, Estate 2005. Dieci giorni alla partenza
– Nicaragua? Hai capito Alfredo! Se ne va in Centro America! – disse Filippo con una certa sorpresa.
Ecco spiegato perché non mi piace dire ai quattro venti che cosa cerco affannosamente, quando passo i pomeriggi in biblioteca. La maggior parte delle persone capisce subito male, e io perdo la pazienza. A me non importa un accidente del Centro America, anzi, non avrei mai voluto fare quel biglietto. O forse sì, per andarci con una bella ragazza, non da solo. Il problema è che se lo dicessi a qualcuno, quello che vorrei andare a fare, mi bloccherebbero subito. E farebbero bene. Perché andare in un Paese che non conosci, dove si parla una lingua che non conosci, dove non hai nessun contatto, al solo scopo di cercare qualcuno che ventisei anni fa ha sparato a tuo padre, uccidendolo, non è una cosa normale. Ma d’altra parte cos’è la normalità? Non conoscere mai chi ti ha amato prima ancora che nascessi, mentre altri se ne vanno al mare con le mani sporche di sangue? Oppure, come è capitato al suo compare, uscire di galera dopo solo quattordici anni, nonostante gli ergastoli che hai alle spalle?
Non c’è un solo filo logico in tutto questo, ma non me ne importa. Ormai è deciso.

Roma, Estate 2005. Quattro giorni alla partenza
Mi piace fare i dolci alla crema. Mi piace farli ma non li assaggio mai: non importa quanto zucchero ci metta, mi lasciano sempre un retrogusto amaro. Ai miei amici piacciono molto, e in fondo va bene così. Gliene ho appena portato uno, ci siamo visti per un saluto: tra poco ci dividiamo per le vacanze. Sempre che così possano chiamarsi le mie. Ora comunque non voglio pensarci, sta arrivando l’autobus e ho fretta di tornare a casa.
Salgo sul bus affollato e, con un po’ di fortuna, trovo un posto a sedere. Mi metto comodo, ho ancora diverse fermate davanti a me.
A un certo punto, mentre ripercorro mentalmente le varie tappe che mi sono prefissato per il Nicaragua, un voce flebile cattura la mia attenzione.
– Giovanotto, mi farebbe sedere per cortesia?
Alzo lo sguardo e vedo un signore attempato con un’aria spenta e gli occhi malinconici. Abbozzo un sorriso e mi alzo per fargli spazio.
L’autobus è pieno, nel corridoio si passa male. Mentre mi scanso per agevolarlo, struscio leggermente sulla sua manica sinistra, scoprendogli il tatuaggio che ha sul polso. Al primo colpo d’occhio lo riconosco subito: è il simbolo del gruppo terroristico che ha ucciso mio padre. Alzo lo sguardo e sento un brivido lungo la schiena: ma certo, come ho fatto a non riconoscerlo?  È mister “quattordici anni di galera”, quello che non ha scontato neanche la metà della pena per i disastri che ha combinato.
Devo aver fatto una faccia strana, il vecchietto non ha più quell’aria docile che aveva prima. Sento la tensione montare, sparisce tutto intorno a me: siamo solo io e lui. Il suo sguardo adesso è più vigoroso, mi pare che abbia i muscoli della mascella contratti, anche se non ne sono sicuro. Potrebbe avermi riconosciuto a sua volta? Lo escludo, non ero nemmeno nato all’epoca. Sono sempre stato molto riservato, e poi alla stampa i familiari delle vittime interessano poco. Loro vogliono vedere i cadaveri a terra, quelli sì che fanno notizia.
Il vecchio fissa continuamente la mia tasca, e in quel momento mi accorgo che sto stringendo con la mano destra il coltello ancora sporco di crema con cui ho tagliato il dolce. Sento i battiti che aumentano rapidamente, mentre dalla fronte del vecchio scende una goccia di sudore.
Tiro fuori una mano dalla tasca, ma è la sinistra: prenoto la fermata, e anche se non sono ancora arrivato a casa scendo appena possibile, con l’autobus ancora in movimento.
Faccio qualche passo e lo vedo ripartire: il vecchio mi guarda dal finestrino. Non so se ha capito. Gli è comunque ritornato lo sguardo buono.
Continuo a camminare e appena trovo un cestino getto via sia il biglietto dell’autobus che il biglietto aereo per il Nicaragua, allontanandomi a passo veloce dalla parte peggiore del mio passato.
A quel punto rimetto le mani in tasca e sento nuovamente il coltello. Lo tiro fuori e lecco un po’ della crema che è rimasta attaccata. Stavolta ha un sapore buono. È dolce.

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Roberto Lanzi


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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