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Tutto è cominciato con un biglietto di sola andata per il Giappone, ma l’avventura di Valentina Brunet, 33 anni, proveniente dal cuore delle Dolomiti, è andata ben oltre l’idea iniziale, assumendo i toni di una vera esplorazione e scoperta di una geografia esteriore e in se stessa. Valentina si racconta in un’intervista che ci porterà là, dove tutto comincia e si evolve.

Partiamo dal Giappone, Valentina, dove ha inizio la grande avventura.

Là in Giappone [Qui] ho percorso in autostop per tre mesi l’intero tratto tra Tokyo e Fukuoka, città ricca di storia, indecisa se continuare il viaggio raggiungendo le Isole Okinawa o spingermi fino a Taiwan [Qui], la piccola nazione a soli 180 km dalle coste cinesi. Non volendo farmi mancare nulla, ho optato per visitare entrambi i luoghi, adottando come modalità di trasferta l’immancabile autostop, perfino sullo scooter di un ragazzo conosciuto su un sito di viaggiatori.

Concluso il tuo soggiorno in Giappone, è la volta del Vietnam [Qui], dove ha origine la grande avventura da cicloviaggiatrice.

Sono atterrata a Ho Chi Min (Saigon), la più popolosa città vietnamita del Sud, famosa per il ruolo chiave che rivestì nel corso della Guerra del Vietnam. Uno dei primi giorni di permanenza, ho acquistato una bicicletta, provando sensazioni che andavano dall’entusiasmo ed emozione, alla preoccupazione e alla consapevolezza di una nuova autonomia del viaggiare. Una cosa inaspettata, decisa all’istante.

Com’è stato il tuo approccio con quel Paese?

Ero impegnata in uno spostamento continuo non progettato e non pianificato e forse per questo affascinante e sorprendente. Ho trovato alloggio per cifre irrisorie tramite una delle tante piattaforme online, ma anche tanti expat, all’insegna dello scambio culturale, o piccoli ostelli. E se la gastronomia è un aspetto di culture e tradizioni, ho colto subito le differenze cibandomi di zuppa di cartilagini di ginocchio di maiale, café sua da (caffè, latte condensato e ghiaccio, che diventerà il mio vizietto di metà mattina), succo di canna da zucchero, ravioloni ripieni di bacarozzi e altre amenità.

Cosa ricordi con più enfasi del soggiorno di una settimana a Saigon?

Nella visita generale di Saigon, il traffico impressionante di quella città: schiere di scooter rumorosi e indisciplinati, la mancanza di indicazioni e riferimenti geografici per uscire e continuare il mio percorso, la pioggia continua e il fango, l’impegno nella ricerca per equipaggiare la mia nuova bicicletta con lo stretto necessario per ripartire: un caschetto, il materiale per ingegnarmi dei guanti, una pompa, indumenti, il contachilometri, il porta telefono e delle drybags da riempire con le mie cose, dei moschettoni. Oltre lo zaino da 75 lt.
Ricordo anche la mia determinazione nell’affrontare l’ignoto.

Come si è rivelato il resto del viaggio attraverso il Vietnam?

Il primo impatto è stato disorientante: uscita dalla città, puntando al Vietnam del Nord, quello che su maps.me risultava un ponte sul fiume Mekong, si è trasformato in un tunnel sott’acqua. La ricerca di ponti e punti di attracco è stata faticosa ma una volta allontanatami, ho assaporato la libertà di pedalare attraverso i villaggi, l’assenza di macchine, l’acqua azzurrissima, le palme, le case su palafitte dei pescatori, l’incontro con persone cordiali e amichevoli come Nafal, che viaggiava verso il Laos, destinazione India, e mi ha accompagnata per un tratto. Grazie a lui ho potuto dormire nei templi buddisti, disseminati lungo il percorso, dove non vengono accettate donne sole. Siamo stati invitati alla commemorazione di un defunto nel retro di un negozio di sanitari, dove i tavoli conviviali erano stati allestiti tra le tazze dei water in esposizione. Grandi e profondi discorsi, confronto di opinioni, risate con Nafal, che ha perso la vita con la sua bicicletta, poco tempo dopo in India, travolto in un incidente stradale.

Cosa ti ha riservato il breve soggiorno ad Hanoi, Capitale del Vietnam del Nord?

Nei pressi di Hanoi, ad Hai Phong, ho fatto volontariato come insegnante di inglese; ho dato qualche lezione privata per poter acquistare il portapacchi anteriore della bici. Aspettavo anche delle borse nuove, gentilmente speditemi da Dino Lanzaretti, uno dei più conosciuti cicloviaggiatori italiani, scandalizzato da ciò che aveva visto in foto su fb (!). Attendevo anche il visto per la Cina, dove ero intenzionata a fare una breve visita. In quei giorni ho conosciuto molti appassionati di cicloturismo, scoprendo un mondo attorno a questo tema. Scambi di informazioni, consigli, indicazioni, raccomandazioni mi hanno fatto capire che non ero sola e… Julien, un ragazzo francese dagli occhi azzurro ghiaccio, in viaggio da sei anni, un incontro magico, di quelli che fanno sognare e al momento degli addii fa inumidire gli occhi.

Dal Vietnam alla Cina. Cosa ci racconti?

La prima difficoltà è stata la comunicazione: la lingua mandarina è ostica, fatta di ideogrammi e tonalità vocali per me incomprensibili, anche se mi affidavo a un podcast che risolveva solo parzialmente. Ho rinunciato. Una seconda difficoltà che mi ha creato disagio è stato il repentino cambio di temperatura rispetto al Vietnam: pioggia battente e freddo. Un percorso fatto di saliscendi e terreno collinare continuo. Un ingresso in Cina [Qui] faticoso ma, in preda al dolore della perdita, sentivo ancora Nefal che mi incoraggiava e mi pedalava accanto. Tra una salita e l’altra qualche famiglia mi ospitava generosamente, condividendo quel cibo delizioso ma pieno di glutammato, che nelle cucine asiatiche sta accanto al sale in grandi barattoli.

Prima di proseguire, hai voluto fare una breve interruzione visitando Hong Kong.

Sì. La prima fantastica scoperta è che non esiste solo uno spettacolare skyline e una fitta concentrazione antropica, ma il 75% dei suoi territori è parco nazionale, dove posso sostare in aree attrezzate con barbecue e servizi, godendomi anche il verde, i sentieri curati e ben segnalati. Spostarsi in bici nella città non è facile, non è un posto bike-friendly. Mi è venuta l’influenza, ma ho reagito bene e una volta ripresami, ho deciso di farmi un visto in ambasciata per il Myanmar con lo scopo di frequentare un corso di meditazione Vipassana, di cui mi avevano parlato. Ho lasciato la bicicletta a Hong Kong [Qui] e ho affrontato questa nuova, dura e indimenticabile esperienza. Tornata in città, ho ripreso il mio mezzo a cui avevo anche dato un nome: Rosa.

Come si è svolto il tuo viaggi cinese?

Proseguendo in Cina, nel tragitto per Pechino alternavo greenway a strade trafficate, senza alcuna divisoria tra auto e biciclette. Per campeggiare la notte, cercavo zone tranquille, nascosta tra le frasche, vicina ai corsi d’acqua, tra insetti e rospi, sempre sul ‘chi va là’. Ho utilizzato anche la ferrovia, caricando la mia bici, in quelle stazioni dove era ammessa, per una tratta di 27 ore. Era una terza classe, in compagnia di contadini e un gran fermento, dove tutti sputavano le bucce dei semi di girasole e non solo quelle, tra odori di ogni genere. Erano scompartimenti con letti a castello e le lenzuola non venivano mai cambiate tra un viaggiatore e l’altro. Di solito tutti si coricano indossando le scarpe e il mio coinquilino lasciava penzolare un piede bendato e sanguinante. In Cina il paesaggio è pesantemente industrializzato, il traffico esasperato e il grado di inquinamento insostenibile.

Cosa hai visitato arrivata a Pechino?

Spostandomi necessariamente con l’autobus, ho visitato la Muraglia cinese, l’ambiziosa opera architettonica a protezione degli attacchi esterni, ma anche linea di confine tra l’impero cinese e i ‘barbari’. Ho visitato Pechino in generale, perché non c’era molto tempo e il breve visto scadeva. Ero concentrata su ciò che mi attendeva in Mongolia, l’attraversata successiva e ho sostato nelle città di Chengdu e Chongqung per riposare, in attesa di condizioni climatiche più favorevoli prima di affrontare il deserto dei Gobi. Ma questa è un’altra storia che racconterò la prossima volta.

Segui tutti i lunedì su Ferraraitalia le interviste a Valentina Brunet, rilasciate durante l’intero percorso.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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