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da: Claudio Riccadonna

Lo Zecchino d’oro, l’unica, forse, “superstite” rassegna musicale per l’infanzia, ora patrimonio culturale italiano delle generazioni nate e cresciute a partire dagli anni ’60, che, ancora oggi, stimola l’impegno di preparati compositori a scrivere “sane” canzoni destinate al mondo dei più piccoli.
Volti ingenui e sorridenti, sguardi innocenti, con qualche dentino storto o assente, che continuano a suscitare, nonostante il trascorrere inesorabile del tempo, una squisita tenerezza. Bambini veri, presentati nella loro dimensione candida ed autentica, che sanno ancora giocare con le bambole o con macchinine telecomandate, che guardano con incanto e con stupore disarmante le telecamere. Interagiscono genuinamente con il conduttore che li intervista, utilizzando simpatiche frasi spezzate e sgrammaticate, che “osano” ricordare che sono ancora “figli dell’infanzia”.
Chi non rammenta, oltretutto, l’eccezionale Cino Tortorella nei panni, tra il 1959 ed il 1972, del mitico mago Zurlì, il mago buono, dotato di regolare bacchetta magica, con i capelli luccicanti, corpetto aderente in vita e calzamaglia, che ha fatto sognare tanti di noi, incollati al piccolo schermo? Come dimenticare la gentile professionalità di Mariele Ventre, che è riuscita a coniugare dolcezza, rigore e tenacia nel dirigere il brillante coro dell’Antoniano per oltre trent’anni fino al 1995, anno della sua morte, incarnando quegli ideali etici e pedagogici a fondamento delle attività musicali del coro stesso?
Una manifestazione, tuttavia, oggi quasi anacronistica, superata da tutti quegli spettacoli che portano alle luci della ribalta “giovanissimi” precocemente adultizzati, che si scontrano in gare ad alta tensione e ad eliminazione. Programmi forse inadatti all’età dei loro minori protagonisti, come talvolta ha sottolineato anche il MOIGE, acronimo che identifica il Movimento Italiano Genitori, impegnato nell’ambito sociale ed educativo per la salvaguardia e per la tutela dei diritti dei minori.
Ragazzini, alcuni dei quali in età prescolare, che, fino all’altro ieri, bevevano ancora il latte dal biberon. Sicuramente, teneri bimbetti, carini e coccolosi, ma pur sempre giovanissimi. Padroni del palcoscenico, in un rapporto disinvolto con le telecamere, quasi fossero professionisti dall’esperienza consolidata; ostentano un’invidiabile sicurezza, “sfoggiano” un repertorio musicale straordinario, imitando la voce, il modo di abbigliarsi e le movenze dei loro beniamini. Penso ad un Michael Jackson in miniatura, con una riproposizione, peraltro, di quella sorta di “rito apotropaico” non proprio di rara eleganza. Non si può nemmeno scordare la bambina di 11 anni, che qualche anno prima aveva partecipato allo zecchino d’oro, e che ora duettando con Marcella Bella, si è cimentata in un pezzo non del tutto adatto ad una ragazzina così giovane, Nell’aria, caratterizzato dalla presenza di espliciti “contenuti per adulti”. C’è un passaggio dall’evidente ed imbarazzante allusione erotica come “La mia voglia è grande, è scandalosa ormai”… il che fa sorgere, quantomeno, qualche spontanea perplessità!
“Ma Che fretta c’è!” recitava, a proposito di canzoni, un testo di Biagio Antonacci. Let the Children be Children (lasciamo che i bambini siano bambini)!

Claudio Riccadonna Ala (Tn)

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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