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di Franco Cardini*

Pasqua-Patruno
Un’opera di don Franco Patruno

Non sapevo tutte queste cose, o non ne sapevo abbastanza, o le sapevo male, quando una trentina d’anni fa e forse qualcosa di più, nella “mia” Ferrara – che amavo da quando l’avevo scoperta adolescente visitando il Castello e Schifanoia; da quando l’avevo visitata studente universitario amando e leggendo i versi dell’Ariosto e del Tasso e le storie di Bacchelli e di Bassani: e infine da quando, nel ’67, vi avevo risieduto lunghi mesi espletando il mio servizio militare come sottotenente d’aeronautica – conobbi don Franco e da allora spesso tornai a visitarlo in Casa Cini o indugiai al suo fianco, per le belle strade volute da Ercole d’Este e qualche volta in auto con amici, per la campagna circostante, magari in cerca di qualche salama da sugo da gustare insieme. Dovrei e vorrei ricordare insieme con Franco, accanto a Franco, tanti amici ferraresi che hanno condiviso quei momenti che ormai cominciano ad avvicinarsi nel tempo ma che restano vivi e presenti nella memoria. Si discuteva di tutto: di storia e di cinema, di arte e di letteratura, di Girolamo Savonarola e di Italo Balbo, magari incontrando talvolta personaggi come Vittorio Sgarbi o Roberto Pazzi e talvolta i tanti amici valorosissimi dell’Università ferrarese alla quale, senza avervi mai insegnato, sono peraltro legatissimo da anni di ricerche comuni e di una serrata attività congressuale. Dovrei elencare molti nomi, alcuni dei quali anche illustri: e certamente ne dimenticherei qualcuno. Preferisco quindi accumunarli tutti in un grazie profondo e sincero: sono tutti parte di quella che davvero è stata, per me e per molti anni, una bella stagione.
Ma stati di grazie del genere sono molto rari: e, quando si presentano, ciò accade perché v’è sempre un fulcro, un centro propulsore e animatore, una presenza che qualifica e che fornisce un senso preciso a esperienze che, altrimenti, resterebbero volatili e disorganiche.
Don Franco credeva nell’arte e nella cultura: credeva nella possibilità di coltivarle, d’incentivarle, di farle amare. Ma soprattutto credeva nella libertà. Una libertà sinceramente e rigorosamente vissuta, nel nome della quale nulla e nessuno doveva mai, secondo lui, venir disprezzato o messo in disparte. Don Franco era coltissimo e sapeva di esserlo, ma proprio per questo non si comportava mai come chi ritiene di aver la verità in tasca o chi vuol far trionfare a tutti i costi il suo punto di vista.
Ѐ per tale motivo che questo prete sempre allegro e sorridente anche nella lunga e pesante malattia, questo critico d’arte che non riteneva alcuna forma d’arte estranea, aliena o indegna d’attenzione, quest’uomo che credeva sempre anzitutto l’umanità in chiunque lo avvicinasse o fosse da lui avvicinato senza badar al sesso, all’età, alla confessione religiosa, alle convenzioni politiche, finiva col far paura e col suscitare anche inimicizie. Era opinion maker ascoltato e rispettato, scriveva articoli e saggi su organi di stampa prestigiosi: eppure dava sempre l’impressione di restar un marginale non sempre valorizzato e – soprattutto – tollerato a fatica.
Era un uomo pericoloso, uno che faceva paura.
Sì, perché ogni uomo ha un prezzo: e quello di don Franco era vertiginoso. C’è chi si vende per denaro, chi per vanità, chi per amore d’un uomo o d’una donna, chi per vendicarsi di qualcosa. Don Franco Patruno era un venduto alla Verità e alla Libertà: e non esiste prezzo che avrebbe potuto mai riscattarlo dal servizio di quelle due potentissime ed esigentissime signore.
Ѐ difficile rimpiangerlo, perché è quasi impossibile non sentirlo ancora fra noi.
Ma ora che fisicamente non c’è più la sua e “mia” città, d’inverno, mi sembra più nebbiosa, il suo sole d’estate più rovente, le sue zanzare notturne più crudeli, la salama meno saporita, il panpepato meno dolce, gli affreschi astrologici di Schifanoia meno luminosi. Don Franco è stato un’epoca della città di Ferrara e della chiesa di Ferrara. Non sempre, lui vivente, esse hanno dato prova di esser consce del tesoro che egli rappresentava per loro. Ora ch’è sopravvenuto il tempo del ricordo, auguriamoci ch’esso non venga meno.

Franco Cardini
Franco Cardini

*da Franco Patruno, Sugerio e san Bernardo: una polemica teologica ed estetica. Per una storia dell’estetica benedettina, 2010
Franco Cardini è professore ordinario di Storia medievale presso l’Università di Firenze e professore emerito dell’Istituto Italiano di Scienze Umane alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Come giornalista collabora alle pagine culturali di vari quotidiani.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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